Arrotolatrice di boa
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“Esperimento numero zero-quattro in animazione sospesa. L’impianto di potenziatori muscolari ha richiesto tre operazioni aggiuntive, oltre le quattro preventivate. Si è scelta l’animazione sospesa in liquido antirigenerazione, per evitare il rigetto.”
Uno dei due uomini con il camice, quello che sembrava essere il capo, si avvicinò alla grande teca verticale sul fondo della stanza. Non erano solo il bianco latte degli arredi e la lucentezza delle pareti a darle un'aria asettica e fredda. Sfiorò lo schermo e con dita esperte sequenziò un codice a sei cifre. I led sulla destra si accesero, iniziando a pulsare. «Dobbiamo svegliarlo, ci hanno commissionato dei nuovi test e le sue ferite sono perfette per lo scopo.» Il secondo uomo si portò a lato della teca, accovacciandosi quanto bastava per porre il viso alla stessa altezza di quello del ragazzo all’interno. Il liquido denso nel quale lo avevano immerso ne rendeva la pelle opalescente e sembrava quasi sfumarne i contorni. «Però se lo svegliamo ora soffrirà. Sono incisioni da operazione quelle che ha sull’addome e sono ancora aperte.» L’altro lo liquidò in maniera veloce e scortese, spostandolo da un lato. «Non posso farci niente, gli altri tre sono morti, non abbiamo materia prima a parte lui.» Girò la chiavetta sotto lo schermo e il liquido lattiginoso iniziò a defluire. Man mano che la teca si svuotava, il corpo iniziava a scivolare verso il basso, assoggettato nuovamente alla forza di gravità. I capelli neri impiastricciati di denso liquido opaco, appiccicati al volto scarno e al respiratore. Quando la teca fu vuota, le ginocchia del ragazzo toccarono il vetro del pavimento con un tonfo, solo le manette magnetiche ancorate al soffitto gli impedirono di accasciarsi al suolo. Improvviso un grido, il primo. I due uomini fecero un istintivo balzo all’indietro nell’attimo in cui la loro vittima aprì i profondi occhi blu e iniziò a urlare. Le due lunghe ferite a ipsilon ai lati del ventre, liberate dalla sostanza collosa, presero a sanguinare. Con colpi disarticolati delle ginocchia, il ragazzo cercava di rompere il vetro; il sangue gli aveva ormai colorato le cosce e non accennava a smettere. «Zero-quattro stai calmo, ti tiriamo fuori ma tu stai calmo.» L’uomo che aveva svuotato la vasca disattivò le manette dal pannello di controllo e aprì la porta anteriore della teca. Come un sacco vuoto, il ragazzo cadde riverso a terra. Mugolò qualcosa, e si afferrò le ginocchia, accovacciandosi in posizione fetale. Aveva smesso di gridare ma il suo corpo era pervaso dai sussulti di un pianto mal celato. Un gemito flebile, quasi una nenia, mentre il sangue tingeva di rosso il liquido che aveva invaso il pavimento. Il secondo uomo infilò un paio di guanti, si inginocchiò e gli toccò le spalle, suscitando un ulteriore sussulto. Lui sollevò lo sguardo, attraverso le ciocche scomposte, «Dottor Sciallo la prego, lo faccia smettere.» L'uomo guardò per poco meno di un istante il suo superiore, in cerca di un cenno d’assenso, poi tornò a osservare quel corpo sempre più bianco. «Cosa devo far smettere?» «Il dolore.» Si levò repentino estraendo una pistola iniettante dal taschino del camice. Senza degnare di nota l’altro medico si inginocchiò di nuovo e sparò nella spalla del ragazzo tutto il liquido bluastro che conteneva. Gli oggetti iniziarono a perdere la loro forma originaria, almeno agli occhi di Zero-quattro. Presero a vorticare aumentando di velocità, le voci dei due uomini si fusero, pochi attimi prima di cedere al sonno innaturale. «Complimenti Sciallo! Ora dormirà e i nuovi test andranno a puttane! Non avresti dovuto sedarlo, dobbiamo monitorare la velocità del suo processo di guarigione in situazione di stress. E vacca miseria, mi sembrava abbastanza stressante come situazione!» Il sottoposto abbassò lo sguardo sul corpo ancora accovacciato che cominciava a distendersi. «Posso passare sopra a molte cose dottor Golia. Agli inserti bionici illegali che gli abbiamo impiantato, all’isolamento in cui ci obbliga a tenerlo da quando è nato. Passerò sopra anche alla sua morte, perché è questo ciò che gli accadrà, come è accaduto agli altri. Ma non lo farò crepare per terra come un maiale scannato. Se deve essere, sarà indolore.» Il volto del dottor Golia si contrasse in una smorfia che poteva assomigliare a un sorriso. La luce intensa delle lampade a soffitto ne accentuò l’espressione, definendo d’ombra le rughe del volto spigoloso. Con la punta della scarpa girò il corpo del giovane a terra, voltandolo supino. Con un secondo tocco gli spostò il braccio, scoprendo le due ferite lungo l’addome. Le pelle pareva muoversi, come precorsa da fremiti veloci. I lembi dal taglio preciso parevano ora frastagliati, mentre si ricongiungevano a una velocità irrazionale. Sciallo chiuse le palpebre un paio di volte e vide la pelle rimarginarsi del tutto. In pochi minuti, degli squarci rimasero soltanto due lunghe linee arrossate. «Lui non è come gli altri Sciallo, il suo organismo si rigenera molto velocemente quando è incosciente, ma non quando è sveglio. Perché pensavi lo avessimo immerso nel composto 2H? Il committente vuole sapere quanto potrebbe impiegare a rigenerarsi durante uno scontro, fare la prova adesso gli avrebbe evitato altro dolore. La tua buona azione mi obbligherà a inciderlo di nuovo appena si sarà svegliato.» Si voltò regalandogli un sorriso crudele. «Te ne sarà grato non c’è dubbio!»
Il mattino arrivò senza essere notato nel grande edificio privo di finestre, ma tutte le luci si accesero contemporaneamente alle sei e dieci. A imitazione del naturale ciclo del giorno e della notte. Il carrello portavivande automatico si fermò con precisione cronometrica davanti alla porta di Zero-quattro scaricando sul pavimento il vassoio con la sua colazione. Pochi minuti più tardi l’infermiera Francesca stava riempiendo la terza provetta con il sangue del ragazzo. «Devi ricominciare con gli allenamenti, hai perso tono muscolare.» «Quanto tempo sono rimasto dentro quella vasca?» Lei prese una delle bustine in plastica con cui avrebbe sigillato le provette, la poggiò sul proprio palmo e gli accarezzò il viso. «Qualche mese, ci sei mancato!» Istintivamente lui sollevò la mano e sfiorò quella dell’infermiera, la schiacciò contro il proprio viso subito dopo, facendo pressione con la guancia. Francesca la ritrasse, ma non abbastanza velocemente. Nell’istante in cui la sua pelle sfiorò per la prima volta quella di un altro essere umano, un vortice di informazioni gli carambolò nella mente. Immagini dapprima sfocate, poi sempre più nitide presero ad accavallarsi, tutta la giornata di Francesca: i suoi ricordi di adolescente, il suo primo bacio, il ballo della scuola e, fra tutti, il ricordo della voce del dottor Golia. “Nel primo pomeriggio provvederai alle nuove incisioni Sciallo, e assicurati che almeno questa volta rimanga sveglio!”, “Se scopre a cosa è destinato dovremo ricondizionarlo”, “La fortuna è che sia un animaletto cresciuto in cattività, se fosse conscio della sua forza ci potrebbe spazzare via in pochi minuti”. «Non dovevi toccarmi, sai quali sono le regole!» L’infermiera schiacciò il pulsante rosso nel piccolo dispositivo che portava al collo come un ciondolo. L’allarme echeggiò nella filodiffusione e la parete alle spalle di Zero-quattro si magnetizzò, come di routine. L’attrazione esercitata sulle sue manette lo sollevò di colpo, e si ritrovò appeso sulla parete a venti centimetri da terra. Tre uomini della sicurezza completamente schermati da indumenti protettivi piombarono nella stanza, solo un minuto più tardi. Francesca li accolse gridando, visibilmente concitata, «mi ha toccato il dorso della mano, non so cosa possa aver captato, ho cercato di pensare a cose passate per sviarlo ma…» Uno dei tre la interruppe. «Stai parlando troppo anche ora. Zero-quattro stai calmo, adesso smagnetizzerò la parete e voglio che tu ti stenda a terra con le mani sopra alla testa. Non ti farò del male se farai esattamente quello che ti dico. La cosa principale è che tu stia calmo.» “Stai calmo”, se lo sentiva ripetere da tutta la vita. Aveva dovuto stare calmo quando gli erano stati impediti tutti i contatti con gli esseri umani, quando i suoi tre compagni, i suoi unici amici erano morti. Aveva dovuto mantenere la calma quando lo avevano costretto a imparare vari tipi di lotta e a usarli contro persone e animali in inutili prove di forza. Quando gli avevano impiantato arti bionici, quando lo avevano torturato fino allo svenimento senza che ne avesse mai capito la motivazione. Era stanco di rimanere calmo. Sentì il sangue pulsare più velocemente e le vene del collo e delle braccia gonfiarsi. Un’ondata di calore si sprigionò dal petto fino ad avvampare nel viso. I tre uomini fecero un passo indietro, il terrore nel volto di Francesca, mal nascosta dietro la porta scorrevole. «Sta mutando!» Gridò uno dei tre rivolto all’infermiera, «Francesca chiama rinforzi, non lo fermeremo mai da soli!» Mentre la donna correva urlando per il lungo corridoio bianco, Zero-quattro sentì le sue membra aumentare di volume. Il torace sembrava dovergli scoppiare, quasi le costole volessero strappargli la pelle e uscire dal corpo. In un'esplosione di dolore e forza, percepì i polmoni espandersi tra lo scricchiolio delle ossa. Gridò, e il grido che non aveva più nulla di umano sembrava uscirgli direttamente dallo stomaco senza passare dalla gola. I pantaloni grigio chiaro della sua divisa si lacerarono sotto la spinta dei quadricipiti, turgidi e gonfi quanto non possono esserlo quelli di un essere umano, sentiva la pelle del viso dilatarsi, estendersi in una misura che non credeva possibile. Dei fiotti di liquido denso e caldo gli colarono dalle labbra, senza che riuscisse a capire se fosse saliva o sangue. «Che succede, che cosa mi succede?» Riuscì a ringhiare. Uno degli uomini accorsi in aiuto dei primi tre gli piantò la biforcazione di un bastone eletrico sotto la gola, cosicché il suo viso rimanesse in alto e ben schiacciato contro la parete. Altri due fecero la stessa cosa alle braccia. Il respiro del ragazzo era più affannoso e irregolare. La pelle stava diventando scura, di un azzurro intenso con profonde ombre violacee sotto gli occhi e sugli zigomi che ora sembravano decisamente più spigolosi e sporgenti. «Marco devi sedarlo o non ne usciremo vivi!» Uno degli uomini rimasti liberi prese una pistola iniettante, si avvicinò a Zero-quattro estraendo dalla tasca dell’uniforme una usb organica. Zero-quattro roteò gli occhi verso l’uomo che si stava avvicinando, cercò di divincolarsi mentre i bastoni che lo inchiodavano alla parete rilasciavano scariche elettriche sufficienti a paralizzare un cavallo. «Che cos’è quello?» Tuonò con una voce cha aveva ben poco di umano, ormai. Marco avvicinò con mano tremante la periferica alla porta organica impiantata nella parte discendente del sopracciglio del ragazzo. «Questo ti aiuterà vedrai, dimenticherai questa brutta giornata.» In un ultimo disperato tentativo di liberarsi, Zero-quattro si spinse in avanti, facendo leva sui gomiti. Il bastone elettrico posto sotto il suo collo si spaccò all’altezza della biforcazione e uno dei pezzi cozzò con il bastone del braccio destro mandandolo in corto. La stessa cosa accadde alle manette, il suo corpo aveva fatto da conduttore senza ucciderlo. Per liberarsi del terzo bastone impiegò pochi secondi. Due uomini erano a terra privi di sensi, per la forte scossa elettrica che avevano ricevuto di rimando, Francesca che non aveva mai smesso di piangere era accovacciata all’angolo opposto alla scena. Zero-quattro aveva le mani e un ginocchio poggiati a terra, pronto per scattare. I suoi occhi saettarono per la stanza: due uomini a terra. Quello poggiato alla parete era in evidente stato di panico, quindi non un problema. Gli ultimi due stavano per lanciarsi contro di lui con pistole iniettanti e taser. Saltò verso il primo superandolo, come gli fu alle spalle gli circondò il collo con un braccio e facendo pressione con la mano libera glielo ruppe. Un rumore sordo e il corpo gli si accasciò tra le braccia. La cosa che fino a poco tempo prima era un ragazzo impaurito, superò il corpo balzando sulle quattro zampe e si portò di fronte al secondo uomo. Ancora carponi, ringhiò. «Zero-quattro guardami, sono Marco. Ti ricordi di me?» Uno sbuffo, poi annusò l’aria alla stregua di un animale braccato, si sollevò in piedi e con entrambe le mani spintonò Marco, lanciandolo diversi metri più indietro. Uno sguardo verso la donna, la testa tra le ginocchia, bloccata dal terrore e dal pianto. Con un balzo si portò all’esterno, e mentre la sua pelle tornava color rame, iniziò a correre lungo il corridoio.
“Esperimento numero Zero-quattro, il primo condizionamento neurale ha dato i suoi frutti, il soggetto ha sviluppato la prima mutazione spontanea in stato di stress, sarà monitorato strettamente all’esterno del laboratorio bunker. La perfetta riuscita della missione prevede la sua assoluta inconsapevolezza.”
Il corridoio terminava su una porta bianco latte senza serratura, il suo corpo era tornato normale e i vestiti gli cadevano addosso a brandelli. Tornò sui suoi passi per una decina di metri, poi iniziò a correre più velocemente e spallò la porta. Il primo tentativo lo sbalzò all’indietro facendolo rotolare su se stesso un paio di volte. L’allarme aumentava di volume ogni minuto, i passi in lontananza rimbombavano sempre più forti e sempre più vicini, un secondo colpo di spalla e la porta cedette. Il cortile nel quale aveva passato gli unici momenti di svago della sua infanzia gli appariva ora incredibilmente piccolo. Corse i trecento metri che lo separavano dal muro di cinta. Non aveva mai pensato a scappare, non era mai uscito dal laboratorio dove era nato e tutto quello che conosceva dell’esterno era quanto aveva appreso dai libri. Eppure era sicuro che ce l’avrebbe fatta. Sapeva esattamente cosa ci fosse al di là del muro pur non essendoci mai stato. Gli bastò un salto per arrivare ad aggrapparsi alla rete sopra al muro. Il filo spinato gli ferì il palmo sinistro mentre lo strappava via. Rimase in piedi in cima al muro per qualche secondo, i suoni dell’interno erano diminuiti, ma forse era solo la sua immaginazione. La strada poco trafficata sotto di lui lo separava dal dedalo di viuzze dove sarebbe potuto scomparire. Conosceva il nome delle vie che aveva davanti, sapeva dove conducevano e quale avrebbe dovuto imboccare per allontanarsi il più velocemente possibile. Non aveva idea di come potesse essere in possesso di quelle informazioni ma in quel momento non lo ritenne importante e semplicemente saltò.
“L’esperimento numero Zero-quattro ha arbitrariamente preso una decisione, le informazioni che gli abbiamo impiantato tramite la usb organica gli permetteranno di sopravvivere in ogni livello della città, è allenato a cinque diversi tipi di lotta, conosce tutta la planimetria dei primi due livelli e ha nozioni degli altri due.”
Nuova Milano era un esplosione di rumore e movimento, il primo livello del grande agglomerato era quasi tutto addobbato per l’imminenza delle festività Natalizie. Ovviamente la temperatura sotto la cupola non scendeva mai al di sotto dei ventisette gradi, quindi l’amministrazione aveva adibito uno dei parchi cittadini a parco invernale, inondandolo di neve artificiale e creando una pista di pattinaggio che emulava un laghetto naturale. Zero-quattro passò accanto al parco tenendosi il più lontano possibile dalle persone, aveva scoperto delle cose orribili toccandone una e non voleva ripetere l’esperienza. Riuscì a rubare una giacca di jeans da sopra una panchina vicino al laghetto gelato, pochi isolati più avanti uno stand espositivo di un negozio di abbigliamento gli permise di avere anche un paio di pantaloni. Aveva fame ed era stanco, non ricordava molto bene quanto fosse accaduto, aveva nitida in mente l’immagine di se stesso che fuggiva dal cortile, ma il vuoto rispetto al modo in cui ci era arrivato. Si sedette sullo scalino della vetrina di una pasticceria. Era scalzo, i piedi erano escoriati ma il dolore più forte era alla testa. Prese a massaggiarsi le tempie, indugiando sopra la porta usb, un piccolo triangolo metallico proprio sopra il suo sopracciglio. Era sempre stato lì, per quanto ne sapeva poteva esserci nato. Una pattuglia della polizia stradale gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo, non li aveva mai visti dal vivo, ma aveva riconosciuto le uniformi dalle immagini del suo computer. Abbassò istintivamente lo sguardo, finché non l’ebbero sorpassato. «Ragazzo, stai allontanando i clienti, prendi questo e vai a morire da un'altra parte.» La donna dalla pelle rosa confetto lo guardava con occhi furenti dalla porta socchiusa della pasticceria, gli lanciò un fagotto vicino ai piedi e si richiuse la porta alle spalle. Raccolse l’incarto bianco che profumava di buono e si alzò, barcollando appena. Comminò per un centinaio di metri attraverso un'infinita sequenza di vetrine addobbate e luminose. Nell’ultima, prima di una svolta si vide riflesso; il vetro oscurato della banca gli permise quasi di specchiarsi. I capelli erano appiccicati al viso, ad un viso nel quale quasi non si riconosceva, le occhiaie profonde e scure, rese ancora più visibili dal colore blu intenso degli occhi. Le labbra erano secche e spaccate. Fece un cenno di saluto al fantasma di se stesso dal vetro scuro e si diresse verso la galleria del varco con il secondo livello. Sapeva che non poteva superare il varco senza una scansione della retina, quindi entrò in una delle nicchie di servizio e si sedette a terra, scartò il fagotto scoprendo dei dolci caldi che non conosceva, ne addentò uno.
«Ragazzo non puoi stare qui.» L’uomo doveva avere poco meno di trent’anni, era ben pettinato e i suoi vestiti odoravano di pulito. Zero-quattro si rese conto solo in quel momento di essersi addormentato con il dolce morsicato tra le mani. Balbettò, perché non era sicuro di che suono avrebbe avuto la sua voce. «Non faccio nulla di male, signore.» L’altro si piegò sulle ginocchia per portarsi al suo stesso piano. «Nessuno lo dice amico, ma stanno arrivando gli escavatori, devono aprire una nuova via di accesso al secondo livello e se rimani qui... Bè, potresti diventare parte dell’intonaco! Non hai un posto dove andare?» Gli offrì la destra nel gentile gesto di aiutarlo ad alzarsi, ma lui non la strinse. Si sollevò appoggiando la schiena alla parete alle sue spalle. Il suo interlocutore gli diede una pacca amichevole sulla spalla. Non c’era odio nella persona che aveva di fronte, né paura o ribrezzo. Gli prese allora la mano tra le sue e cercò di captare quanto più potesse. Era attratto da lui, era una brava persona e non aveva cattive intenzioni. «Vieni hai una gran faccia da fame, ti offro il pranzo. Come ti chiami?» Zero-quattro sapeva che il suo era solo un codice e che probabilmente avrebbe creato disagio nella gente. Aveva imparato che le persone normali, hanno nomi normali, Francesca, Marco, Golia, Sciallo. Lui e i suoi defunti “fratelli” non avevano mai avuto un nome, nessuno aveva mai pensato di imporglielo, quindi venivano chiamati semplicemente con il codice delle loro stanze. Pensò ai nomi che aveva sentito nel corso degli anni, poi l’immagine della targa in bronzo all’interno dell’ufficio del dottor Golia gli apparve in mente. Nitida come una fotografia. Medical Institute for Silical Human Advancement. «Misha, mi chiamo Misha.» Il giovane gli diede una seconda pacca sulla spalla. «Bene Misha, io sono Lucas, ti piace la cucina messicana?»
Lucas aveva indossato il suo pigiama preferito, si era rasato e aveva fatto un bagno profumato, prima di portargli la colazione a letto. Misha aveva ancora gli occhi chiusi quando sorrise, inebriato dal profumo del caffè. Addentò il pane, e baciò sulle labbra il suo compagno. «Devo andare o farò tardi al colloquio. Non puoi mantenermi a vita!» Lo aveva seguito nel bagno, parlandogli da dietro il vetro smerigliato della doccia, le braccia incrociate sul petto e un aria imbronciata che nessuno poteva vedere, «potrei in realtà!» Non gli rispose, ma si fece consigliare un abito elegante. Un po’ rammaricato, Lucas lo accompagnò alla porta, «sono geloso, lo sai?» Misha gli donò una lunga carezza sul viso, lo fissò a lungo e il suo volto parve distendersi. Tutto il corpo di Lucas era pervaso da una sorta di innaturale rilassamento. Socchiuse gli occhi addirittura. «Non devi essere geloso, non ce n’è motivo. Tornerò presto.» Gli disse con voce improvvisamente atona. Quasi meccanicamente l’uomo rispose, senza smettere di fissarlo. «Non devo essere geloso, non ce n’è motivo. Tornerai presto.»
Soltanto qualche isolato più avanti, avvertì una fitta alla testa. Il dolore era talmente acuto che dovette inginocchiarsi a terra, si coprì le orecchie con le mani come se comprimerle potesse, in qualche modo dargli beneficio. Una voce maschile iniziò a recitare una serie di numeri, una sorta di codice che non capiva e non conosceva. Si voltò di scatto, un giro su se stesso, poi un altro. Solo un paio di macchine a levitazione parcheggiate, mentre la sequenza numerica veniva recitata con un tono più alto. Il dolore diventò in pochi attimi talmente lancinante che semplicemente, svenne. Il corpo di Misha si alzò da terra soltanto una manciata di secondi dopo averla toccata, i suoi occhi, privi di espressione vorticarono velocemente nelle quattro direzioni. Iniziò a correre incurante degli sguardi impauriti delle persone che superava, incurante del colore bluastro che la sua pelle stava assumendo. Si portò in pochi minuti davanti al varco del primo livello, superandolo di corsa. Le robo-sentinelle intimarono un inutile alt, poi spararono. Cinque colpi lo raggiunsero alle spalle, vacillò qualche istante, poi cadde, un ginocchio a terra. Scrollò la testa, come un cane bagnato, e nel poco tempo in cui il suo corpo ierminò di mutare si era già sollevato e aveva ripreso a correre. Con un tintinnio stonato i proiettili caddero a terra, scivolando fuori dai propri fori di entrata, un istante prima che si rimarginassero. La macchina a levitazione era parcheggiata davanti alla fermata del fluttuabus. Un uomo sulla quarantina all’interno stava aspettando qualcuno. Misha saltò sul cofano dell’automezzo, non una parola, non un solo suono comprensibile uscì dalle sue labbra, mentre con un pugno infrangeva il vetro anteriore e sollevava l’uomo dal bavero della giacca. Non ebbe il tempo di capire cosa stessa accadendo, i suoi occhi rimasero fissi in una muta espressione stupita. Vitrei e spenti osservarono il mondo, dalla testa strappata di netto. Con la stessa velocità con la quale era arrivato Misha scomparve.
“L’esperimento Zero-quattro ha portato a termine la sua prima missione con successo, eliminando il terrorista Matteo Miliati. Ha risposto positivamente al richiamo silente ed è tornato senza ricordare altro se non il bisogno di rientrare. Nelle ultime settimane si è perfettamente integrato nella città, non rovineremo questa copertura. Abbiamo cancellato le ultime ore dai suoi ricordi e i segni fisici della missione. Possiamo concludere. Finalmente abbiamo il soldato perfetto.”
Mishà aprì gli occhi lentamente, socchiuse le palpebre più volte prima di rendersi conto di essere a un paio di isolati da casa. Girò il polso per guardare l’orologio, aveva due ore di ritardo. Inizialmente spiazzato, pensò al dolore alla testa, usandolo come spiegazione. Girò sui tacchi per tornare indietro, l’appuntamento ormai era saltato. Almeno qualcuno ne avrebbe gioito, pensò, immaginando la faccia soddisfatta del suo Lucas.
Questo è parte di una cosa molto, ma molto più ampia. Spero di aver lavorato bene nei tagli e averlo riadattato in modo che possa "viaggiare" da solo!
Edited by Polissena C. - 16/9/2011, 11:02
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