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Il sig. De Marchi si rimise a posto gli occhiali e si rivolse ad Alex. — Sig. Marini, vengo subito al sodo. Il suo romanzo fa pena, otto righe mi sono bastate. — Ma… Sig. De Marchi, legga almeno il resto… — Sig. Marini, la prego non insista. Tenga presente che lei è qua solo perché mi è stato raccomandato da suo padre. Se crede nel suo romanzo lo porti altrove! Alex avrebbe voluto sprofondare nel divano, ma aveva un aperitivo con Mirko e Attilio, e in fondo un Martini era quello che ci voleva.
Il sig. De Marchi si girava sulla sua sedia blaterando tra se e se. Afferrò la cornetta e chiamò la segretaria: — Ilma, chiama quelli della squadra 8. Falli venire subito qua!
— Raga, ma ci credete? Mi ha detto che faceva schifo dritto in faccia! — Che stronzi questi colletti bianchi! — rispose Mirko — Magari il tuo incipit non aveva un forte impatto narrativo! Forse avresti dovuto mettere una morte violenta nelle prime righe, in modo da fare salire la tensione, non credi? — disse invece Attilio. — Attilio, era una storia d’amore, cosa vuoi che ci mettessi, una sparatoria? — un Negroni per me e il mio amico! — urlò ancora Mirko. — Ma tu sempre a bere pensi? Ma sì, ordina pure, oggi mi ubriaco! Dopo il quarto locale della serata i navigli erano ormai vuoti. Mirko e Alex ondeggiavano rischiando più d’una volta di cadere dentro al lurido fiumiciattolo, mentre Attilio recitava versi de il corvo.
Milano a quest’ora torna a essere una città come le altre: qualche macchina sfreccia indisturbata, due ragazzi si fumano uno spinello su una panchina in santa pace, e i ragionieri dormono nelle loro caserme di periferia. Alex cammina come una barca alla deriva, convinto di potersi mettere finalmente la giornata alle spalle. Un barbone osserva un’auto che sgomma, frena di botto, e ingoia un ragazzo dallo sportello. Poi sputa per terra e si gira dall’altra parte.
Alex si ritrovò su un pavimento freddo, aveva brividi, mal di testa, e una melma giallastra testimoniava che aveva vomitato. Udì dei passi arrivare e una porta cigolare. Due figure gli si avvicinarono e solo quando gli furono vicino si accorse che indossavano dei passamontagna. Una voce femminile si rivolse a lui: ¬— E’ lei il sig. Alex Marini? — Sì, voi chi siete? — Non dovete avere paura. Non le faremo del male. Lo condussero in un’altra stanza dove un altro uomo a volto coperto lo aspettava per interrogarlo. — Dunque, lei è Alex Marini, di professione scrittore. Cosa ha scritto prima d’ora per definirsi come tale? — Be’, qualche racconto. Ho fatto parte di due o tre antologie, e una volta ho vinto anche un premio. — Perciò lei non ha mai pubblicato nulla! — No, ma… — E mi dica: come pensa di aver imparato l’arte? — Con l’esperienza… — E cosa ha letto lei per farsi questa esperienza? — Se leggessi non avrei tempo di scrivere! — Dunque lei non ha mai letto Calvino o Eco; nemmeno un piccolo saggio di scrittura? — Soldi inutili! Io imparo scrivendo! E poi chi è lei e che diritto ha di tenermi qua? Questo è sequestro di persona! Mio padre mi cercherà e saranno cazzi vostri! — Fase uno: la conoscenza! Alex venne portato in un’altra stanza . Lo fecero sedere in una poltrona collegata ad un macchinario, dove venne legato ai polsi, alla vita e alle caviglie. La testa era bloccata tramite un collare; gli vennero applicati alcuni elettrodi vicino le tempie e una cuffia alle orecchie. — Aiuto! Cosa state facendo! — Non ti preoccupare. La macchina del dottor ER non ti farà male. — rispose stavolta una voce maschile. Si accese uno schermo cinematografico. Vennero proiettate immagini alternate a testi ad alta velocità, mentre la donna da una postazione di controllo rilevava i dati dai sensori. Alex si irrigidì. Teneva gli occhi spalancati. Le figure scorrevano e sembravano averlo ipnotizzato. Nei timpani gli risuonava il rumore stridulo di una voce accelerata. Due elettrodi rilasciavano una breve scarica elettrica ogni qual volta il computer rilevava un calo di attenzione. Il cervello continuava ad assorbire tutti gli impulsi che riceveva.
La donna fece un cenno al compagno e questi spense il macchinario. — Che succede? — La concentrazione scende. Le scariche hanno una frequenza troppo elevata. — Che si fa? — Iniettagli lo stupefacente. Alex venne drogato e il trattamento proseguì. Continuò così fino alla sera successiva.
A mezzogiorno il ragazzo si svegliò nel pavimento del suo appartamento con una bottiglia di whisky nelle mani. Forti fitte gli laceravano le tempie. Immagini come scene di un film gli venivano in mente in brevi flash. Neorealismo. D’un tratto si stupì di conoscerne il significato. Vittorio De Sica gli apparse recitando paragrafi di Fontamara. Lo riconobbe, ma non ricordava di averlo mai letto. Un suono sembrò perforargli i timpani e si dovette premere le orecchie con le mani, ma subito capì che era soltanto il campanello.
I suoi due compagni di sbronze lo guardarono perplessi. — Figo! Bevi da ieri notte? — disse Mirko. —Ragazzi andatevene per favore, credo di non sentirmi bene adesso. Lasciò la bottiglia a Mirko e chiuse la porta. Trascorsero trenta giorni nei quali, accompagnati a forti fitte, parole e immagini fermentarono nel cervello di Alex. Una notte fu svegliato di soprassalto. Lo prelevarono dal suo letto e lo anestetizzarono. Quando riprese conoscenze era attaccato a quella stessa macchina che più volte gli era apparsa nelle sue visioni e che era convinto fosse tratta da una scena di Arancia Meccanica! — Fase due: le emozioni! Le luci si spensero. Alex era nudo e sentiva il freddo umido delle ventose in tutto il corpo. In un silenzio tombale un rumore metallico diede inizio alla caduta. Il ragazzo si sentì precipitare nel vuoto. Le sue urla uscivano strozzate e si sentiva stringere il petto. Da quanti secondi cadeva? Sembravano ore, il cuore pompava sempre più forte ma nei polmoni non arrivava più aria. D’improvviso tutto finì e lui era ancora seduto. Non riusciva a respirare e si sentì mancare. Quando riaprì gli occhi era ancora legato, ma al sedile posteriore di un auto, dal quale solo da un piccolo spiraglio si vedeva la strada. La macchina partì, prima adagio, poi sempre più veloce. Vide un pedone salvarsi per miracolo, poi un rumore sordo lo indusse a voltarsi verso il finestrino laterale: una signora stava sdraiata in una pozza di sangue. Alex cominciò a gridare a squarciagola. Quindi chiuse gli occhi e cominciò a pregare.
Di quella notte Alex ricordò una sparatoria, un bombardamento, un tuffo a mare da uno strapiombo di quindici metri e d’aver fatto l’amore con una rivoluzionaria cubana. Fu sicuro inoltre di aver sognato un inseguimento degli UFO, un plotone di esecuzione dei nazisti e d’aver subito violenza da un rivoluzionario cubano!
Dopo quella notte stava quasi per uscire fuori di senno quando fu salvato dalla Fase tre: la perdita della memoria fisica!
L’operazione stavolta fu portata a termine dal dottor ER in persona, utilizzando un bisturi laser capace di intervenire a livello del singolo neurone. I due carcerieri lo guardavano dall’altra parte del vetro. — Ancora non riesco a capire perché deve fargli dimenticare tutto!— disse l’uomo. — Non rimuove tutto, solo le sensazioni fisiche! I rapimenti, la nostra esistenza e via dicendo! Ma le emozioni resteranno intatte! Da queste prenderà vita la sua immaginazione, quel pozzo di idee dal quale attingerà senza ricordare di esserne stato protagonista. Capisci? Diventerà lo scrittore perfetto. — Bah… Basta che mi paghino. — Già!
Un anno dopo Alex venne chiamato nuovamente dal dott. De Marchi. — Dunque, suo padre mi ha detto che ha fatto progressi. Le confesso che non do mai seconde possibilità, ma il suo caso mi ha intenerito. — Si riferisce all’amnesia? Non volevo che mio padre gliene parlasse, comunque i dottori dicono che ho perso solo alcune informazioni relative all’ultimo anno. Per esempio non mi ricordo del nostro vecchio incontro, e non so più che fine ha fatto quel manoscritto. Soprattutto mi dispiace per tutti quei libri e quei i film di cui so tutto, tranne che del momento in cui ne ho goduto. E’ un peccato, vero? — Certo, certo, comunque la prego, mi passi il suo nuovo lavoro.
De Marchi prese a leggere con attenzione. — E questo lei lo ha scritto di recente? — Sì, credo che il mio stile sia molto cambiato di recente… —Se ne vada la prego. — disse facendo segno con la mano di levarsi di torno. Non appena vide il giovane uscire dalla stanza alzò la cornetta e compose un numero. — Dottore? Sì, è andato via adesso... Sì, sì, stava bene certo. Com’è andata? Ecco, mi ha portato un romanzo perfettamente identico a quello dell’anno scorso! Dunque… cercherò di essere franco con lei: o il suo macchinario non funziona come dovrebbe, o suo figlio è proprio un deficiente!
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