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L’odore dell’asfalto bagnato, stranamente, gli era sempre piaciuto. Ma Paolo quella sera, sdraiato bocconi in quel vicolo buio, il peso di un ginocchio sulla schiena e il freddo acciaio della pistola piantato nella nuca, non era dell’umore di assaporarne l’insolita fragranza.
Non l’aveva visto arrivare. Tornava a casa come tutte le sere dopo una giornata di discreta merda a spalare scartoffie. A volte pensava che la sua scrivania fosse in fondo a uno scivolo per le rotture di coglioni, e che tutto finisse fatalmente là sopra. Vabbé, era cosciente pure di non essere l’unico a pensarlo. Lo sport preferito dell’essere umano non è il calcio, ma lamentarsi, questo Paolo lo sapeva, come anche di non fare eccezione. Il suo lavoro gli garantiva anche quel tanto di anonimato, vista la sua sostanziale inutilità, da consentirgli di eclissarsi alla fine della giornata di lavoro sereno, senza che qualcuno lo cercasse mai dopo. Poteva andargli peggio. Spegneva il cervello quando usciva dall’ufficio, e il sistema neurovegetativo lo portava a casa, ma non quella sera.
“Dammi i soldi stronzo!” una voce profonda, giovane e disperata, gli sussurrava nell’orecchio per non attirare attenzione.
“S-sì, sì aspetta!” Paolo si frugava frettolosamente nel soprabito, nel labirinto di tasche che tutti gli anni lo mandava al manicomio tra ottobre e marzo. Mai che le cose che cercava fossero nella prima tasca che frugava oh! “Sbrigati!” lo sconosciuto ringhiava a un centimetro dall’orecchio, calcando di più la canna della pistola, ma il suo tono era strano, quasi stesse piangendo. “S-sì scusi!” Frugava freneticamente e alla fine trovò la molletta con le banconote, lui non usava portafogli per non avere malloppi esagerati addosso.
Alla fine allungò il braccio all’indietro, e le banconote gli furono ghermite dalla mano con violenza. Sentì la pressione del ginocchio allentarsi, l’aggressore si stava alzando. Per cautela rimase steso bocconi, senza guardarlo per non fargli temere che in un futuro confronto lo avrebbe potuto riconoscere.
Lo sconosciuto si alzò. “Grazie…e scusa…” Paolo non si mosse. Aveva perso un bel po’ di soldi, ma teneva alla sua vita più di quanto lui gli aveva rubato. Rimase in ascolto, immobile. “Ti ho detto scusa…”. Perché non scappava? Paolo non capiva e si preoccupò che la disavventura non fosse finita. “Di nulla…” patetico, non gli venne niente di meglio. “Ma come di nulla? MA COME DI NULLA CAZZO!” Paolo lo sentiva scalciare furiosamente cartacce e lattine nel vicolo. Se avesse attirato l’attenzione di qualcuno le cose potevano mettersi peggio, ma quello d’altra parte era un quartiere dormitorio, di zombi viventi, di fantasmi silenziosi, bianchicci ectoplasmi dietro tende di cotone leggero alla finestra. Nessuno sarebbe intervenuto.
“Alzati di lì dài…” Paolo non si mosse. “Alzati ho detto!” la sua voce fu come un calcio nelle costole. Paolo si mise carponi e si girò a guardarlo. Era giovane, emaciato, sgarrupato quanto basta e con una luce fosca negli occhi. Lo guardava senza parlare, accucciato contro il muro del vicolo, la pistola, moscia, nella mano destra.
Paolo non sapeva cosa fare “Chi sei?” gli chiese. Non sapeva se fosse la cosa più giusta da dire, ma altro non gli venne. “Nessuno, non sono nessuno, non più ormai” mormorò l'altro. Era stata la cosa giusta.
Lo sconosciuto non lo guardava più, lo sguardo chino su un selciato che forse nemmeno vedeva. Paolo sedette a terra di fronte a lui, le braccia sulle ginocchia, non avvertiva pericolo. La pistola non gli sembrava più uno strumento di morte, ma solo uno scudo, una difesa, un modo di dire “esisto anch’io!”, o forse nemmeno quello. Paolo decise di attendere.
“Non sono nessuno, o forse niente” lo sconosciuto lo guardò. “Che ti è successo?” chiese Paolo, ancora guardingo, ma stupito dalla piega che avevano preso gli eventi. “Niente, solo una vita a sgobbare, per tirar su una casa, una famiglia, un’esistenza. E poi arriva una lista di mobilità, uno stronzo in doppio petto, e all’improvviso sei un peso, sei inutile. Tu ti senti inutile?”
“Qualche volta…” meglio assecondarlo.
Lui tacque. La sera era umida e fresca, non fredda. Un passante dall’altro lato della strada li scorse, uno sguardo fugace, indifferente, e passò oltre. Lo sconosciuto lo guardò andar via. “Non sono più niente…” mormorò tra sé. Sembrava non accorgersi più della presenza di Paolo.
Silenzio, una lieve brezza si portò via un pezzo di giornale che passò tra loro leggero, un titolone sulla squadra locale campeggiante sulla carta sporca. Lui lo guardò. “Perché ti senti inutile?” Paolo non seppe cosa rispondere “Non so…” Lo sconosciuto non si scompose, forse se lo aspettava, anzi ombreggiò un lieve sorriso sul volto stanco, rivolse di nuovo lo sguardo a terra. “Mia moglie se ne è andata, e mio figlio con lei… forse non si ricorderà di me, è piccolo, sai?” Amava quel bambino, Paolo glielo lesse negli occhi, sembrava come se il pensiero di lui gli desse gioia anche in quel momento.
Paolo si stava rilassando a poco a poco, l’odore della notte nascente e dell’asfalto umido cominciarono a farsi strada nelle sue sensazioni, come se il suo subconscio percepisse che il peggio stava passando.
“Perché dovrebbe dimenticarti?” chiese Paolo, “E’ lontano da qui?” Lui sorrise, più tra sé che a Paolo, e non rispose.
“Come ti chiami?” gli chiese l’uomo. “Paolo.” “Paolo…” ripeté lui guardandolo, “Paolo… non pensavo che sarei finito qui a parlare con te un giorno, sai Paolo?” “Beh neanche io lo pensavo. E tu come ti chiami?”
Lui non rispose, ma disse: “Sei felice Paolo?” Domandaccia, in fin dei conti quell’uomo era armato e disperato. Paolo soppesò le parole: “La mia vita è grigia, direi, poteva andare meglio, ma non mi lamento troppo.” Lo sconosciuto lo guardò: “Sei fortunato allora Paolo.” sorrise. Alzò la pistola e gli sparò al petto.
Paolo stramazzò a terrà, gli occhi strabuzzati più per la sorpresa che per il dolore. Dal suo campo visivo il suo aggressore era sparito, solo cielo blu scuro e due alte mura nella sera.
“Sei fortunato” ripeté una voce lontanissima mentre si faceva tutto scuro alla vista. Paolo non capiva il senso di tutto questo, non capiva, non connetteva. “Addio Paolo.” Un altro sparo, e il tonfo di una disperazione che aveva fine.
Paolo non capiva, non capiva…
Edited by shivan01 - 17/4/2008, 18:28
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