Lo Scrittore Definitivo
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Lo Scrittore Definitivo

di Alfredo Mogavero

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    ecco... ora dovrebbe andare bene...

    Lo scrittore definitivo



    Diosanto, come sono arrivato a questo punto? La stanza è sempre la solita nell'appartamento 56, il suo soffitto crepato grava sopra di me come il coperchio di una bara chiusa. Una sedia, una scrivania, un computer, un grande armadio a due ante parcheggiato in un angolo e una libreria a muro ne costituiscono l'arredamento; sparpagliate sul pavimento, accanto al materasso chiazzato di vomito, buste di plastica e lattine vuote giacciono come caduti di una strana battaglia.
    C'è una lampada, da qualche parte, so che deve esserci quella fottuta lampada: mi sento addosso la sua luce pallida, indifferente, un bagliore maligno che per decenni ha evocato ombre senza padrone. Mi volto: è là su una mensola anche se non ricordo di avercela messa. A volte penso che si muova da sola, come un essere vivo, e se ogni sentimento diverso dal rimpianto non mi avesse abbandonato anni fa, lasciando il posto a uno spazio vuoto che mi sforzo inutilmente di riempire con il whiskey e la cocaina, credo che avrei paura. Invece non sento niente. Solo il mio respiro roco e la puzza della muffa che cresce sulle pareti.

    C'è una foto tra le mie dita, la foto di due ragazzi di vent'anni che si tengono la mano seduti al tavolino di un caffè. Lei è bella, ha i capelli neri e un paio di gambe lunghe e perfette, i suoi occhi nocciola sorridono all'indirizzo dell'obbiettivo che non riesce a catturarne l'intensità. Sembra felice, forse ubriaca, una fata in nero che s'è scolata un po' troppi shots alla vodka e se ne andrà a letto con un bel mal di testa. Guardarla mi fa male, ma è pur sempre un dolore insignificante rispetto all'unghia affilata che mi dilania il cuore quando sposto lo sguardo di appena qualche centimetro.
    Il tizio seduto accanto a lei mi è vagamente familiare, come qualcuno conosciuto una vita fa di cui ho perduto le tracce. Sorride anche lui, con un bicchiere in una mano e una sigaretta tra le dita, l'aria è quella di una testa di cazzo nel pieno delle sue facoltà sessuali. Lo guardo e mi sembra di precipitare in un pozzo buio, alla fine scorgo la sua maglietta dei Motorhead e mi ricordo di averla ancora, da qualche parte, seppellita in una'altra casa insieme ai cadaveri di una vita bruciata. Ricordo chi è quel tipo e come si chiama, il giorno e l'ora in cui era lì, perfino quello che stava pensando quando fu scattata quella fotografia. Un'altra esistenza riemerge dalla fossa del passato tirandosi dietro moncherini di memoria atrofizzata, mi sussurra cose che non voglio sentire, bussa alla porta chiusa della mia coscienza e si ritira senza ottenere risposta. Non aprirò neppure stasera. Non ancora. Non posso. Getto via la foto e mi prendo la testa tra le mani, prego e bestemmio senza riuscire a capire una sola parola di quel che dico. Accanto a me il monitor del PC riflette la patetica immagine di un vecchio che piange, occhi rossi seppelliti in una matassa di rughe, pochi capelli grigi appiccicati a un cranio solcato di vene. Lo guardo solo per un attimo, ed è già troppo, lo guardo e gli dico che non doveva andare così, che avrebbe dovuto cercare una strada diversa. Solo dopo alcuni minuti mi rendo conto di non sapere più se sto parlando a lui o al ragazzo della fotografia e smetto, ma l'eco di ciò che ho detto resta sospeso nell'aria come fumo di sigaretta e non riesco a pensare ad altro. Basta. C'è un limite a tutto.
    Stendo una pista di neve sulla scrivania e con un pezzo da dieci arrotolato a mo' di cannuccia me la sparo nelle narici, la sento strisciare come un verme fino al cervello e scacciare le voci con il suo oblìo allucinogeno. Sto un po' meglio, nonostante tutto. È ora di raccontare la mia storia.


    ********************



    1



    Buffo che tutto abbia avuto inizio quando credevo che fosse finita. Era una sera di trenta, forse trentacinque anni fa, e sedevo al bancone di un bar con il bicchiere in mano e le spalle piegate dal peso dei miei fallimenti. Sulle ginocchia tenevo una cartellina piena di fogli stampati e spillati, pagine e pagine in cui avevo riversato le mie sciocche speranze di diventare uno scrittore. Sogni di fama e di ricchezza evanescenti come spettri, destinati a riposare sul fondo buio di qualche cassetto. Era ora di cercarmi un lavoro serio, sempre che fossi stato ancora in tempo. Giocare all'artista underground non era più divertente.

    Non so dire in che momento il vecchio mi si sia seduto accanto, e in fondo non è importante. Me lo ritrovai vicino all'improvviso, con quel cappotto fradicio di pioggia e i guanti a mezze dita come un barbone, la barba lunga insudiciata di birra e un mozzicone di sigaro all'angolo delle labbra. Puzzava di sudore, tabacco e alcol, i suoi movimenti erano lenti fino all'esasperazione e tossiva come se fosse malato. Gli occhi erano cerulei, umidi e spenti, ma dietro il velo steso dagli anni e da chissà quali vizi potevo leggerci chiaramente la fiammella brillante di un'intelligenza affilata come un pugnale. Non era un semplice ubriacone, lo capii subito, ma di certo non immaginavo quale segreto si portasse dietro.
    – Ciao – esordì. – Non sembra che ti stia divertendo molto, eh?
    – Per niente – risposi. – E tu?
    – Io non mi diverto più da un sacco di tempo, ma ci ho fatto l'abitudine.
    – Che problemi hai?
    Sorrise, ma era un sorriso amaro, quasi un ghigno beffardo. – Troppi, perché possa parlartene. Tu, invece?
    – Nulla di particolare. Sto solo festeggiando la morte delle mie velleità di romanziere. Ti offro un drink, così partecipi al funerale.
    A quelle parole mi parve che s'illuminasse di una scintilla oscura, e non credo c'entrasse l'alcol che dichiaravo di volergli comprare. Mi si fece più vicino, quasi appoggiandosi a me, il corpo cadente scosso da fremiti incontrollati. Il suo alito assomigliava al tanfo di una tomba scoperchiata quando, con voce appena udibile, mi rivolse queste parole:
    – Un aspirante scrittore, eh? Di che genere?
    – Fantastico, perlopiù – sollevai il bicchiere vuoto, richiamando l'attenzione del barman.
    – Ah, capisco. Fammi indovinare: hai vinto qualche concorso in Rete per ragazzini, ti hanno pubblicato su un paio di antologie stampate con la carta da culo e hai creduto di essere il nuovo Hemingway, non è così?
    – Be'...
    – Poi hai scritto un romanzo, l'hai portato alle case editrici e ti hanno risposto picche. È andata più o meno in questa maniera? Se mi sbaglio dillo pure.
    Non si sbagliava, ed era avvilente sentir riassumere sei anni di tentativi in quelle poche parole. Mi rendevo conto solo adesso di quanto patetici fossero stati i miei sforzi, di quanto poveri in realtà erano i successi che sbandieravo fino alla nausea con amici e parenti. Come certi bulli delle scuole medie facevo la voce grossa con i più deboli sui forum degli autori emergenti, ma i grandi, quelli che picchiavano sodo, neppure sapevano della mia esistenza. Ero destinato alla serie C del campionato degli scrittori, gregario senza nome nel giro d'Italia della letteratura, ero il meccanico il cui nome compare sui giornali solo peché la macchina del pilota famoso l'ha tirato sotto e il maratoneta che arriva nello stadio quando gli spettatori se ne sono già andati. Ero niente, nessuno, un imbrattafogli qualsiasi. Il John Smith dell'Horror, il Mario Rossi della fantacienza. Che stupido ero stato, a illudermi a quel modo. Eppure non avevo più quindici anni.
    Mentre mi perdevo in questi pensieri il vecchio continuava a parlare.
    – Oh, mi ascolti? – bofonchiò. – Hai capito quello che ho detto?
    – Scusa, mi ero distratto un attimo. Lo prendi un altro bicchiere?
    – Smettila di bere, idiota, e ascolta quello che ho da dirti. Tu hai qualcosa, nella faccia, il guizzo giusto che ti farà diventare qualcuno. Perché è questo che vuoi, non è vero? Sì, è questo, non menarmela con la storia dello scrivere per necessità, ti prego, ho smesso di credere alle favole da quando mi cagavo nel pannolino. A te interessa firmare autografi nelle librerie, intervenire ai convegni, stringere mani e posare per i fotografi, vuoi essere invitato nei talk-show e vincere i premi che contano per davvero.
    – Mi... piacerebbe. – confessai, mentre cedevo a quelle fantasie proibite.
    – Non basta – continuò il vecchio. – E i soldi? E la soddisfazione di spiattellare il successo sul muso di quanti ti avevano liquidato come un fallito? Non ci hai mai pensato? Non ci credo! E la figa, dove la metti la figa? Avrai donne a palate, amico, più di quante immagini, girerai su macchine grosse come barche a vela, dormirai in suite extralusso a Parigi e a Londra. Io lo so come funziona, dammi retta. È per questo che la gente scrive!
    Mentre parlava aveva iniziato a sudare come una fontana, e la sua voce si era ridotta a un ansito spezzato. Mi guardava in un modo che non mi piaceva, lo stesso modo in cui avevo sempre immaginato che Dracula guardasse le sue vittime prima di affondare i canini. Era pazzo, e non serviva a nulla starlo a sentire. Feci per alzarmi, ma una delle sue mani mi si avvinghiò sulla spalla costringendomi a rimettere il culo sullo sgabello; l'altra, veloce come un ratto, strava frugando in una tasca estraendone un cd-rom.
    – Prendilo – disse. – Va' a casa e leggilo. È la bozza del mio romanzo. Se ti piace, domani sera fatti trovare qui a quest'ora. Ti dirò come fare per scrivere roba del genere.
    – Vaffanculo, vecchio. Devi farti curare.
    – Leggilo – ripeté. – Ce l'hai un computer, vero? Fallo per me, per il tuo vecchio amico. Vedrai, cazzo, vedrai se ti piacerà. Piacciono a tutti, le cose che scrivo. Se solo sapessero, se almeno potessero immaginare...
    A questo punto s'interruppe e scivolò in un improvviso stato di semi-demenza, ed era come se stesse guardando attraverso una finestra spalancata su un'altra dimensione. Ne approfittai per abbandonarlo, ripromettendomi di non frequentare mai più posti che facessero entrare gente del genere, e con in tasca il suo strano regalo me ne tornai a casa.

    2



    Il giorno dopo lessi la bozza nel cd-rom. Era fantastica, spettacolare, piena di idee meravigliose e situazioni al limite dell'immaginabile. Come accidenti avesse fatto quel vecchio rottame a partorire un capolavoro del genere non riuscivo a capirlo, ma non potevo negare che fosse un grandissimo scrittore, uno dei migliori che avessi letto di recente. Dio, cos'era capace di fare quell'uomo con le parole! Sapeva essere crudele e tenero nel giro di un paio di capitoli, tagliente come un'accetta e delicato come un fazzoletto di seta, ti prendeva all'amo trascinandoti dove voleva con una semplicità disarmante. Se esisteva un pantheon degli scrittori, il suo posto era già riservato accanto a quelli di Dickens, Dostoevskij e Cervantes, e devo dire che ci restai davvero male quando, giunto in fondo al documento, scoprii che si concludeva bruscamente a metà di un paragrafo. Il romanzo non era ancora finito, evidentemente.

    Quella sera tornai al bar e lo trovai dove lo avevo lasciato. Stava bevendo un birra scura, gli occhi chiusi come se pensasse a chissà che cosa. Gli sedetti accanto, gettai il cd-rom sul bancone e gli detti una scrollata per attirare la sua attenzione. Mi guardò sbattendo le palpebre, con un sorriso ebete dipinto sulle labbra volgari.
    – Facciamola corta, vecchio – mormorai saltando i convenevoli. – Ho letto la tua roba. Chi cazzo sei veramente?
    – Chi sono? – la sua risata assomigliava al grattare di una sega su un pezzo di legno. – Adesso vuoi saperlo, eh? Tu chi credi che sia?
    – Lo scrittore definitivo – risposi senza esitare. – Non ho mai letto nulla che regga il confronto con quella roba nel disco. E io ho letto un sacco di roba.
    – Ti ringrazio. Ehi, barista! Altre due birre! E una anche per il mio amico.
    – Dico sul serio – continuai, eccitato dal semplice fatto di sedergli accanto. – Stephen King, Terry Pratchett e William Gibson non avrebbero potuto fare di meglio se avessero messo assieme i loro cervelli e le loro dita. Sei il più grande romanziere moderno.
    – Mi sa che esageri. Sono solo un povero vecchio che butta giù qualche pagina per passare il tempo.
    – Col cazzo. Mi piacerebbe saper scrivere come te.
    Quest'ultima affermazione restò sospesa sopra le nostre teste per diversi minuti, ed entrambi ci rifugiammo nei nostri pensieri. I bicchieri vuoti davanti a noi si erano moltiplicati come i pesci del miracolo biblico quando gli rivolsi di nuovo la parola.
    – Mi stavo chiedendo una cosa: – bofonchiai con voce impastata. – Com'è che sei rimasto un pezzente, pur essendo così bravo? Qualsiasi casa editrice farebbe carte false per pubblicarti.
    – Lentezza, suppongo – sorrise lui. – Il romanzo che hai letto è il primo e unico che abbia mai buttato giù, e come hai potuto vedere non è ancora finito. Sono molti anni che ci lavoro, e in verità mi sono un po' stancato. Non ti andrebbe di terminarlo per me?
    Non avrei potuto essere più sorpreso se mi avesse chiesto di calarmi i pantaloni e ballare il tip-tap sul bancone con le chiappe di fuori. Feci per parlare, ma dalla bocca uscirono solo schizzi di saliva che sapevano di birra, le gambe cominciarono a tremarmi come se avessi la febbre gialla.
    – Non... non ci riuscirei mai... – balbettai dopo un po'. – Sei troppo bravo per me. Rovinerei tutto.
    – Ti insegnerò io a scrivere – rispose lui, tranquillo. – Hai la stoffa, ne sono sicuro. Ti manca solo di conoscere qualche trucchetto.
    – Trucchetto? Senti, amico, davvero io non credo...
    – Non mi interessa che ci sia il mio nome in copertina quando sarà finito. Voglio solo che lo porti a termine. Potrai prenderti tutto il merito, i soldi e la fama, le luci della ribalta splenderanno solo per te. Consideralo un mutuo scambio, se vuoi: io ti insegno l'arte, e tu per ripagarmi prometti di finire quello che ho cominciato. Non sputare in faccia alla fortuna, ragazzo. Un'occasione del genere non ti capiterà mai più!
    Non c'era quasi più nessuno nel locale, eccetto il barista e qualche ubriacone mezzo stordito. Alla luce rossastra delle lampade inchiodate alle pareti la faccia del vecchio sembrava quella di un miserabile demone intento a tentare l'anima di un peccatore, i suoi connotati fremevano e s'irrigidivano come se non riuscisse a dominare le sue emozioni. Fama, denaro, donne, suite a cinque stelle e automobili grandi come barche a vela. Mi stava offrendo tutto questo senza chiedere nulla in cambio. Come avrei potuto rifiutare?.

    ********************



    Già, come avrei potuto? Eppure ora so che avrei dovuto. Ora che tutto è finito, che la mia vita è stata consumata come lo stoppino di una candela da un fuoco impietoso, io mi pento di non essermi alzato ed essere fuggito via, mille miglia lontano da quel maledetto vecchio. Perché ha dovuto scegliere me, tra tanti? Quale infame destino mi ha fatto incappare in lui?

    Alle mie spalle l'armadio ha cominciato ad agitarsi paurosamente, il lucchetto con cui ne ho serrato le ante sobbalza e cigola sotto i colpi furibondi della cosa prigioniera lì dentro. Non gli piace che la si chiuda a chiave, lo so, così come so che me la farà pagare cara se riuscirà a uscire. Non me ne importa, io ho il mio piano, e se tutto va come deve andare riuscirò finalmente a fregarla. Intanto aspetto. E racconto la storia della mia dannazione.


    ********************



    3



    Uscimmo insieme dal bar, godendo del silenzio e dell'aria fresca della notte. Camminammo a lungo, apparentemente senza meta, chiacchierando di racconti, romanzi e nuove tendenze del mercato editoriale. Lo scrittore definitivo possedeva una cultura letteraria virtualmente sterminata, ma la snocciolava con una tale semplicità che neppure per un istante ebbi la sensazione che stesse vantandosi come tanti palloni gonfiati con cui mi ero ritrovato a scambiare opinioni. Anzi, sembrava a volte che gli pesasse conoscere tante cose, che se avesse potuto ne avrebbe fatto volentieri a meno. I suoi occhi acquosi si velavano spesso di tristezza, e un paio di volte si'interruppe a metà di una frase senza più riuscire a ritrovare il filo del discorso. Era un genio, ma non era sereno, e più che di un dono sembrava che parlasse delle sue capacità come di una maledizione. Io lo ammiravo troppo per vedere in certi comportamenti qualcosa di negativo, e seguitavo ad ascoltarlo pendendo dalle sue labbra puzzolenti di birra e tabacco.

    Dove stiamo andando? – gli chiesi dopo un po'. – Si è fatto un po' tardi.
    – Sì, ma devi assolutamente venire a casa mia – rispose lui. – Voglio farti vedere il posto dove scrivo.
    Sebbene fossi stanchissimo non riuscii a rifiutare quella proposta. Solo ritrovarmi sul luogo della creazione di un tale capolavoro mi riempiva d'emozione, come un misero accolito cui venisse permesso di penetrare nel tempio segreto del suo dio. Seguii perciò il vecchio con rinnovata energia, e in breve giungemmo al fatiscente palazzo dove abitava.

    Quel posto era davvero una topaia, e mi pentii di non aver rimandato la visita al giorno successivo: portone sfondato, ascensore scassato, impianto d'illuminazione fuori uso e pianerottoli deturpati da graffiti osceni. Nessuno in vista, silenzio di tomba. Sembrava di essere finiti in uno dei miei primi racconti horror, quelli che mi vergognavo di far leggere perfino agli amici più benevoli. Il vecchio mi condusse su per una serie di strette rampe di scale tirandomi per la manica della camicia, e alla luce tremula del mio accendino il suo volto emaciato e rugoso pareva tramutarsi di secondo in secondo in una maschera inumana, malvagia, il simulacro di un'anima persa che rivelava le sue vere fattezze. Cominciavo ad avere paura, ma non osavo mandare all'aria tutto. Non volevo mostrarmi scortese nei confronti dell'uomo che aveva promesso di trasformarmi in una celebrità.

    Alla fine ci fermammo davanti all'appartamento 56, che era la sua casa. Lo vidi chiaramente tendere l'orecchio e ascoltare preoccupato, inserire la chiave nella serratura e girarla con mano tutt'altro che salda. Nel momento in cui la porta s'aprì mi squillò il cellulare, e sebbene il suo sguardo cercasse di ammonirmi a non rispondere io lo tirai fuori di tasca e accettai la chiamata. Era Enrica, la mia ragazza. La fata in nero della fotografia.
    – Ciao, tesoro. Sei ancora sveglia?
    – Dove diavolo sei? Sono le due di notte.
    Non era il momento delle spiegazioni, lo sapevo bene, così cercai di rabbonirla.
    – Sono con un amico, stai tranquilla. Ti racconto tutto domani, ci sono delle novità in arrivo.
    – Novità? Di che tipo? Sei strano, hai bevuto?
    – Sì, ma non preoccuparti. Ehi, lo sai che stai parlando con il futuro scrittore definitivo?
    – Eh?
    Il vecchio, in piedi sulla porta semiaperta, mi faceva cenni impazienti perché troncassi la conversazione. Era spiritato, nervoso, sembrava che non potesse più aspettare e si guardava costantemente alle spalle ficcando la testa nell'oscurità dell'appartamento. Anch'io non stavo più nella pelle, e salutai in tutta fretta la mia fidanzata.
    – Ci sentiamo domattina, amore. Un bacio. Vedrai che cosa ti racconterò.
    – Ma...
    – Ora devo scappare, ciao.
    Chiusi la telefonata, mi rimisi il cellulare in tasca e non pensai più a lei. Quella fu l'ultima volta in cui sentii la sua voce.

    ********************



    Non c'è quasi più tempo, il lucchetto sta per cedere. Tra poco l'armadio si aprirà, oppure cadrà a terra, e ciò che contiene sarà libero di posarmi addosso i suoi artigli da rapace. Dio, concedimi qualche altro minuto, solo pochi altri minuti, e ti giuro che andrò tutti i giorni in chiesa. Tieni chiuso quel lucchetto, tieni chiuso quel lucchetto, tieni chiuso quel fottuto lucchetto!!!

    ********************



    4



    L'appartamento era buio e freddo, pervaso da una combinazione di cattivi odori che toglievano il fiato. La luce che sprigionava dal mio accendino non era sufficiente a guidarmi lì dentro senza rischiare che inciampassi in qualcosa, così rimasi fermo in attesa che il mio amico spingesse l'interruttore. Attesi quasi un minuto, cercando di dominare il disagio, ma non accadde nulla. Alla fine mi decisi ad aprire la bocca e dissi:
    – Ehi. Non potresti accendere la luce?
    Il vecchio non rispose. Era lì accanto a me, potevo sentire il suo respiro pesante e il rumore che faceva scartabellando tra chissà cosa, ma non sembrava intenzionato a rivolgermi la parola. Ciò naturalmente mi inquietava, perché da un po' avevo notato i suoi strani comportamenti e cominciavo a dubitare della sua sanità mentale. A un tratto mi ricordai che il cellulare aveva una piccola torcia, lo estrassi e lo puntai nel punto da cui proveniva il rumore; la prima e unica cosa che vidi nell'alone biancastro che squarciò l'oscurità fu lo scrittore definitivo che mi si lanciava addosso brandendo un attizzatoio da camino, poi un dolore tremendo mi esplose alla tempia sinistra e ruzzolai sul pavimento privo di sensi.

    5



    Non so dire per quanto tempo restai svenuto, ma quando riaprii gli occhi era ancora buio pesto. Il dolore alla tempia era fortissimo, e quando passai una mano laddove pulsava con più insistenza la ritirai intrisa di un liquido dolce e vischioso. Sangue. Perdevo sangue. Quel bastardo mi aveva spaccato la testa ed era fuggito.
    Mi tirai su a fatica, e a tastoni percorsi le pareti in cerca dell'interruttore. Lo trovai, lo schiacciai e la luce inondò l'ambiente ferendomi gli occhi. Una sedia, una scrivania, un computer e un materasso sporco di piscio furono tutto ciò che vidi all'inizio. Solo dopo qualche secondo mi accorsi dell'armadio.

    Cercai il cellulare, ma non lo trovai. Il vecchio doveva avermelo fregato. Allora tentai di aprire la porta, prima girando la maniglia e poi colpendola a calci e pugni, ma non ci fu nulla da fare. Ero chiuso dentro, prigioniero in un appartamento in cui nessuno sapeva che ero entrato.
    Cercai di affrontare la situazione da un punto di vista razionale, ma non ci riuscii. Non c'erano finestre abbastanza grandi per permettermi di uscire, solo un abbaino microscopico in alto chiuso da una grata arrugginita. Anche portando lì sotto una sedia non riuscivo ad arrivarci, e le urla che lanciai fino a sgolarmi non potevano essere udite da nessuno. Presi allora a picchiare ferocemente contro le pareti e sul pavimento, ma erano troppo spessi e il suono non passava. Un topo in trappola, ecco quello che ero. Disperato, spensi la luce e scivolai in un nuovo sonno popolato di incubi.

    Forse dormii un intero giorno, perché al risveglio la stanza era ancora avvolta nelle tenebre. Pure, qualcosa era cambiato, perché adesso udivo chiaramente dei passi strascicati risuonare sul pavimento. Pensai che il vecchio fosse tornato, e che si preparasse a finirmi, così balzai verso l'interruttore della luce e lo schiacciai deciso a non farmi sorprendere. Ciò che vidi rischiò d'uccidermi sul colpo: una creatura enorme, marcia, repellente in ogni centimetro del corpo, stava in piedi al centro della stanza e mi fissava con orbite vuote protendendo verso di me le sue mani artigliate. Era spezzata, giallastra, solo vagamente umana, dondolava da una parte e dall'altra e si lamentava come se soffrisse in maniera atroce. Qualunque cosa fosse, di una cosa sono stato sicuro sin da quel primo momento: non era viva, e forse non lo era mai stata.
    Scrivi – la sentii lamentarsi mentre mi appiattivo con la schiena contro il muro, troppo spaventato persino per urlare. – Scrivi... scrivi... scri-vi...
    – Scrivere? – ripetei, in qualche modo sollevato dalla possibilità di avere un dialogo con quell'orrore. – Cosa vuoi che scriva?
    Scrivi. Scrivi.
    – Non posso scrivere se tu non mi dici cosa. Perché non provi a...
    SCRIVI! – s'infuriò all'improvviso, sollevandomi come un fuscello e posandomi sulla sedia, davanti al computer. Atterrito, lo accesi e mi ritrovai davanti alla bozza che avevo già letto sul cd-rom. Non sapevo perché, ma lui voleva che la continuassi, e capii in quel momento che se avessi accettato sarei rimasto schiavo per sempre.
    – Non scriverò! – dichiarai. – Non lo farò, perché non voglio. Cerchiamo di ragionare, va bene? Chi sei, tu? Come mai ti trovi qui? Aspetta, asp... ti prego, non... nooooo!
    Aveva appoggiato una delle sue unghie, affilata come un enorme ago, dietro la mia nuca, e con estrema lentezza stava facendola penetrare nella carne. Era un dolore insopportabile, da impazzire, e in pochi istanti mi ritrovai a pregare e piangere senza ritegno.
    – Ti scongiuro, basta. Basta. Non più. Farò ciò che vuoi. Non più.
    Scrivi – fu il monotono ritornello che mi sentii sussurrare all'orecchio da quel fiato pestilenziale. E io cominciai a scrivere.

    ********************



    Ed è questo che ho fatto, per non so quanti anni. Solo, dimenticato da tutti, con l'unico conforto della foto che avevo nel portafogli, mi sono sforzato di terminare la bozza trovata nel PC. Cento e più volte la creatura che vive dentro l'armadio mi ha costretto a rivederla, a tornare sui miei passi, a cancellare interi capitoli. Non è stupida, sa come si scrive e sa farsi capire quando qualcosa non le sta bene, anche se non sono mai riuscito a comprendere come mai tenga tanto alla conclusione di questo romanzo. La sua natura mi è tutt'ora sconosciuta, né so dire come faccia a conoscere tutti gli artifici letterari che mi ha impartito, ma ho capito che non andrà via dal nostro mondo fino a che l'ultimo punto non sarà apposto su quella maledetta pagina di Word.

    Qui dentro le cose non seguono le leggi della Natura. Sulle prime ho creduto che sarei morto di fame e sete, ma presto ho capito che neppure quella scappatoia mi sarebbe stata concessa. La creatura si premura di tenermi in vita procurandomi cibo e bevande che trova chissà dove e in quale modo, entra nell'armadio e ne riemerge carica di tutto ciò che può servire al mio sostentamento. Nei primi giorni mi rifiutai di nutrirmi, ma poi la fame e la paura dei suoi artigli mi convinsero ad accettare i doni che mi portava, e da allora non ha mai smesso di occuparsi di me. Dopo un po', quando il dolore e la solitudine hanno iniziato a diventare troppo strazianti, ho cominciato a chiederle alcol e droghe, e neppure questi mi sono stati negati. Non c'è nulla che non possa darmi, questo oramai è chiaro. L'unico bene che non mi è concesso è la libertà.

    Anni e anni dopo, quando la disperazione si è stemperata in una lucida rassegnazione, ho individuato nella bozza non uno, ma due stili differenti, e mi sono fatto l'idea che il vecchio sia stato condotto qui dal precedente inquilino dell'appartamento, il quale lo ha fregato come lui ha fregato me. Dopo anni di segregazione deve aver trovato un doppione delle chiavi, ma invece di fuggire per non fare più ritorno si è premurato di procurare un rimpiazzo per questa specie di cella, un ospite che tenesse impegnata la creatura mentre lui fuggiva. Se avesse dovuto occuparsi di un altro scrittore, avrà ben pensato, di certo non si sarebbe presa la briga di inseguirlo per riportarlo qui. E così è stato. Maledetto, sordido vecchio, che la sua anima bruci all'inferno! A quest'ora sarà morto e sepolto, ma l'odio che provo per lui è così forte che credo possa sentirlo anche nell'Aldilà.

    Ma neppure io me ne sono stato con le mani in mano per tutto questo tempo. Poco a poco, durante i momenti in cui il mio orrido carceriere scompariva nell'armadio per procurarmi un po' di cibo o di droga, ho lavorato alla serratura con un pezzo di fil di ferro piegato ad arte, e ieri sera la porta si è aperta! Per prima cosa mi sono precipitato da un ferramenta, ho comprato il lucchetto più grosso che aveva e sono tornato su per serrare le ante dell'armadio, dopodiché me ne sono andato in giro tutta la notte e tutto il giorno alla ricerca di qualche sciocco con ambizioni da scrittore. L'ho trovato questa sera, verso le otto, e non c'è voluto molto per rimbambirlo con le chimere di fama, soldi e macchine grosse come barche a vela. Ha detto che al momento aveva da lavorare, ma che sarebbe passato verso mezzanotte. Sperando che dicesse la verità gli ho spiegato come raggiungermi e sono venuto qui a scrivere, ed è qui che adesso lo aspetto come un lupo nascosto nella sua tana. Ho lasciato l'uscio socchiuso, quando l'attraverserà lo colpirò con il vecchio attizzatoio fino a farlo svenire, dopodiché scapperò via richiudendomi la porta alle spalle e lo abbandonerò alla mercè della cosa dentro l'armadio.

    Eccolo! I suoi passi risuonano lungo le scale, la sua voce mi chiama incerta, si chiede come sia possibile che qualcuno viva in questo squallore. La porta cigola, si apre, l'attizzatoio è già nelle mie mani, il timido schermo di un cellulare cerca di farsi largo nelle tenebre in cui risuonano i tonfi sordi. Non tremate, mani, non tremate almeno per qualche secondo! Pochi attimi, il tempo di un respiro, e lui sarà riverso sul pavimento mentre io scappo via, vado a cercare la mia fata in nero, grato per il tempo che mi resta da vivere. Sì, pochi, pochissimi attimi e il testimone passerà di mano, il lucchetto dell'armadio cederà e un altro scrittore definitivo siederà davanti al romanzo che neppure io sono riuscito a finire, torturato e terrorizzato dall'orrore senza nome. Dovrei avere dei sensi di colpa, so che dovrei, eppure non provo che gioia. Tra poco rivedrò l'alba, la gente, respirerò a pieni polmoni l'aria di una libertà che da troppo tempo mi è stata negata. È qui, mi ha sentito, si è fermato e punta il fascio di luce verso l'armadio che continua a sussultare. Mi avvicino in punta di piedi, badando di non fare troppo rumore. Non tremate, mani, non tremate...


    Edited by bravecharlie - 3/6/2008, 12:45
     
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  2. shivan01
     
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    magistrale come sempre.
    La storia mi ha preso un po' meno di quella del mese scorso ma è ottima, davvero.
    C'è qualche errore di battitura, un "peché" e un "fantacienza", ma un 4 non te lo leva nessuno.

    :clap:
     
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  3. federica68
     
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    Magistrale, come al solito, bravo Brave!
    qualche errorino di battitura, ma poca roba.

    all'inizio credevo che il vecchio fosse il diavolo, il classico patto col diavolo rivisitato in chiave moderna, poi alla fine credevo che lui si ritrovasse in un circolo temporale chiuso in cui il se stesso vecchio colpisce il se stesso giovane e poi alla fine si trova sempre solo lui con sta bestia... bho, non devo essere tanto normale

    voto 4, mi pare logico :woot:
     
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  4. dixit
     
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    Proprio una gran storia. Concordo!
     
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  5. bravecharlie
     
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    la solita storia ogni mese: qualcuno vota e non lascia neanche due parole di commento. <_<

    qualcuno sembra non aver capito che 'sto USAM è fondamentalmente un modo per ricevere feedback immediati sulle proprie opere, e non certo una gara da vincere a tutti i costi. se mi dai il voto e non mi dici cosa ti è piaciuto e cosa non ti è piaciuto, a che mi serve che tu abbia letto il mio racconto? eh? dico a te, sì, proprio a te che te ne stai lì a far finta di nulla image . Avanti, fai lo sforzo di scrivermi le tue impressioni, almeno un rigo. a me interessa sinceramente.
     
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  6. ArkDark1
     
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    CITAZIONE (bravecharlie @ 1/6/2008, 20:10)
    la solita storia ogni mese: qualcuno vota e non lascia neanche due parole di commento. <_<

    qualcuno sembra non aver capito che 'sto USAM è fondamentalmente un modo per ricevere feedback immediati sulle proprie opere, e non certo una gara da vincere a tutti i costi.

    A questo proposito ricordo (modalità MOD ON) che non siete obbligati a commentare, ma siete espressamente pregati di farlo; non serve all'Autore ricevere un voto.
    All'Autore serve ricevere il commento critico, che deve essere crudele e spietato.
    Questo mio post si apre e si chiude qui, non diamo seguito ai commenti in questa sezione (modalità MOD OFF).

    Alfredo, scusa se ho approfittato del tuo spazio per ricordare a tutti questa cosa, che ritengo, come te, fondamentale.
     
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  7. dixit
     
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    Ok, allora mi dilungo qualche rigo in più.
    SPOILER (click to view)
    Sono rimasto sinceramente stupito dalla trama, non mi aspettavo fosse così... uno s'immagina diversamente, una cosa tipo patto col diavolo. Pensavo a una storia completamente diversa. Questo è un complimento. Poi nel finale però s'intuisce abbastanza ben come andrà a finire.
    In molti punti mi ha tenuto incollato al testo, si legge piacevolmente. La battuta delle due birre ci stava proprio bene ihihihihih

    Lo stile è scorrevole, si consuma come una birra al bar :XD: Scrivi scrivi... come me lo tolgo dalla testa adesso? :killer:
     
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  8. Gamberetta
     
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    Si legge bene, è divertente, è c’è la voglia di sapere come vada a finire la storia. Il protagonista è simpatico, anche se si lascia abbindolare come un fesso.

    SPOILER (click to view)
    Però ci sono un paio di cose che non funzionano:
    a) È assurdo che il protagonista impieghi 30 anni (!) per riuscire ad aprire la porta.
    b) È deludente che non si sappia chi sia il mostro e perché costringa a scrivere il romanzo. Soprattutto, visto che il mostro a quanto pare ne capisce più di tutti di letteratura, perché non scrive lui?


    Bello comunque. Tre di voto.
     
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  9. bravecharlie
     
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    grazie, comunque non mi riferivo a Dixit, ma a un utente rimastro anonimo che proprio non ha postato nessun commento. io, federica, shivan e dixit abbiamo votato 4, gamberetta 3. di chi è l'altro 3? mistero :ph34r:
     
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  10. tar-alima
     
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    Il tuo stile mi piace sempre molto, e quello sarebbe un 4 sicuro.
    In questa storia, non mi ha convinta del tutto la creatura mostruosa, forse perché mi sembra troppo indefinita.
    Bella descrizione, quella dello scrittore di mezza tacca... Sigh...
    SPOILER (click to view)
    Puzzava di sudore, tabacco e alcol, i suoi movimenti erano lenti fino all'esasperazione e tossiva come se fosse malato. Gli occhi erano cerulei, umidi e spenti...
    Mi suona malino questo accostamento di tre sostantivi e poi tre aggettivi, così vicini nella frase.

    Voto 3. ;)
     
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  11. isotta
     
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    A me è piaciuto molto. Se ti può interessare il giudizio di una che scrive solo favole (o quasi) e capisce poco di scrittura...
    Il mio voto è il massimo per:
    1 la bella idea
    2 il sentimento
    3 la scorrevolezza.
    Ma cosa nascondi sotto qulla brutta maschera?
     
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  12. bravecharlie
     
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    CITAZIONE
    Ma cosa nascondi sotto qulla brutta maschera?

    se te lo dicessi poi dovrei ucciderti.
     
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  13. silente2.0
     
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    Sorvolo sullo stile. Che sai che è inutile perdere il mio tempo preziosissimo, e lasciare così il mondo in balia delle creature del male, per dirti quanto sei bravo e grande e blablabla,
    Mi fiondo sulla trama.

    In generale molto buona, semplice e godibile. Mi è piaciuto che non dici chi sia il bestio: lasciare tutto nel mistero mi è sembrata la soluzione migliore per non scadere in qualche banalità. Per il resto, sentimenti e stati d’animo del protagonista sono resi bene.

    Quindi tutto bello, a parte questo:

    SPOILER (click to view)
    1. Ma in che epoca è ambientato il racconto? Nel 2040? Perché il protagonista dice che l’incontro col vecchio è avvenuto trent’anni prima, e vengono toccati argomenti quali concorsi in rete, forum, ecc. Io toglierei questi riferimenti, che in fondo non sono così importanti e necessari, anche perché non mi piacerebbe per niente collocare il tutto in una data era temporale futura. Voglio dire, non che ci sia niente di male se il presente è nel 2040, ma inserirci questo accenno sci-fi è, boh, fuori luogo. Oppure riduci quei trent’anni, anche perché…
    2. Come suggerisce la pescatrice di gamberi, trent’anni per aprire una porta è assurdo. Passi un po’ di tempo in cui il protagonista è distrutto/destabilizzato/impotente, ma dopo un po’, quando capisce che il bestio se ne va al supermercato, cercare di scassinare la porta sarebbe la prima cosa che si metterebbe a fare.


    Tre.
     
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  14. bravecharlie
     
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    i vostri dubbi sono stati anche i miei dopo che l'ho scritto, tant'è che sapevo che questo racconto aveva qualche falla. eccone, come avete giustamente rilevato, alcune:

    1) Il mostro: non si sa chi o cosa sia - questa è stata una scelta, può piacere o no.

    2) La faccenda del 2040 - a questo non avevo proprio pensato :blink:

    3) Perché il mostro non scrive lui il romanzo? - ho parlato con lui una mezz'oretta fa, e gliel'ho chiesto. Ha detto che con quegli unghioni ogni volta che batteva su un tasto rompeva tutto (certo, dovrei inserire questo particolare da qualche parte)

    4) 30 anni per forzare una porta - questa è una cazzata, lo so bene, non c'è niente da aggiungere.

    Il fatto è che volevo che il protagonista fosse vecchio, che passasse là un sacco di tempo per insistere sulla tragedia di una così lunga prigionia. Avevo anche pensato una cosa tipo "più scrive più invecchia", tipo che il romanzo gli mangiava la vita, però, bah... non mi convinceva.
     
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  15. federica68
     
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    CITAZIONE (bravecharlie @ 2/6/2008, 21:06)
    4) 30 anni per forzare una porta - questa è una cazzata, lo so bene, non c'è niente da aggiungere.

    magari lui l'aveva forzata subito e usciva quando il mostro andava al supermercato, ma aveva un rapporto di attrazione fatale per sto romanzo e non riusciva ad andarsene pure se lo voleva...così senza sapere come nè perchè era sempre costretto a tornare dentro sto tugurio a scrivere. Alla fine ci ha messo 30 anni per tagliare sto cordone ombelicale perverso e assassino

    boh, mi sa che ho detto una cazzata
     
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20 replies since 1/6/2008, 13:15   399 views
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