Amante Galattico
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RIFIUTI di Alberto Priora
I cartelli erano pronti e aspettavano, disposti lungo tutto il lato in ombra del cortile interno del caseggiato, chi li avrebbe portati orgogliosamente in giro. Qualcuno era ancora fresco di vernice, con lettere che terminavano con una gocciolina bastarda scesa per la forza di gravità; qualcuno mostrava errori d’ortografia corretti in maniera grossolana, peccati d’ingenuità che sarebbero comunque serviti allo scopo; qualcuno esibiva il suo slogan con le parole che partivano larghe a sinistra in alto e che poi dovevano restringersi, quasi che fossero infeltrite, per non rimanere troncate. Erano cartelli fatti un po’ male, ma erano cartelli genuini e questa era la cosa che contava. Il gatto nero senza un occhio, che di solito faceva la posta ai passeri disposti a rischiare la propria vita per beccare le briciole cadute dalle merende dei bambini, si avvicinò con cautela e li odorò. Dopo qualche istante arricciò il naso per il puzzo di vernice e preferì andare dietro a una lucertola. — Forza, che manca poco alla manifestazione! — esclamò Maria, che fin dal principio era stata una delle organizzatrici più vivaci del comitato e che si era sbattuta per trovare altri sostenitori e per convincere i dubbiosi. — Dividiamo adesso i cartelli fra di noi? – chiese qualcuno. Molte facce si voltarono verso di lei. — Sì, meglio se arriviamo già pronti. Ci saranno tutte quante le televisioni e alcune, le più importanti, saranno in diretta nazionale — guardò in cielo, contenta che fosse una bella giornata di sereno, avrebbe sottolineato il contrasto con la perenne colonna di fumo che lo macchiava — Però non possiamo sapere quanto tempo ci dedicheranno nei servizi dei telegiornali, quindi è molto meglio se ci riprendono quando abbiamo già i nostri cartelli e non mentre perdiamo tempo a stabilire chi prende cosa. Dobbiamo far capire che siamo decisi e organizzati, dobbiamo far capire che siamo inca… arrabbiati — Maria sfumò appena in tempo l’ultima parola. Si sapeva come andava con i bambini, ripetevano quello che sentivano dire dai grandi, soprattutto quando si trattava di parolacce. — Bene. Ottima idea — rispose qualcuno. Maria guardò la gente che si era raccolta nel cortile. Era davvero molto contenta che alla fine, dopo tante riunioni e anche parecchie discussioni animate, fossero così in tanti, e tutti decisi a lottare fino in fondo per un principio in cui credevano. Mise le mani attorno alla bocca, in modo da formare una specie di megafono. Dopo le sue prime parole, tutti le prestarono attenzione. — Allora: gli adulti devono prendere i cartelli più grandi, mentre i bambini hanno quelli piccoli… ecco proprio quelli che sono appoggiati lì, bravi. Uno alla volta, per favore; ci sono cartelli per tutti. Per i bambini più piccoli ci sono le bandierine con scritto sopra NO, mi raccomando tenetele diritte. Chi voleva tenere lo striscione? — si guardò intorno, poi riconobbe i volti dei quattro che avrebbero aperto il corteo, due uomini e due donne di età e generazioni differenti, ma appartenenti a un’unica famiglia. — Eccovi qui, molto bene. Srotolate lo striscione e controllate sempre che sia ben teso, in modo che le telecamere possano leggere che c’è scritto sopra "Noi diciamo no e diremo sempre no". Forza, disponiamoci bene. Così, ecco — la gente era tanta e tendeva ad assieparsi tutta insieme se non guidata. — Ehi, laggiù, chi ha le carrozzine con i neonati può infilarci una bandierina? Anche due se ci stanno. Passarono i minuti, e alla fine guardò soddisfatta il risultato. Sorrise agli altri del comitato che stavano consegnando a tutti i fischietti acquistati a prezzo speciale dal commerciante cinese, quello che aveva il negozio accanto alla piazza del mercato. Avevano dovuto discutere per avere lo sconto, ma almeno avevano risparmiato. Finalmente erano pronti. Si erano già dovuti arrendere una volta, in passato, ma non ci sarebbe stata una seconda sconfitta. Assolutamente no. Se la manifestazione di oggi non dava il risultato sperato, erano già dell’idea di fare delle barricate per impedire il passaggio dei camion e degli autobus. Non era certo l’unica a pensarla così; gli altri, in segreto, avevano già iniziato a recuperare molte delle cose necessarie: cassonetti, un vecchio furgone, delle biciclette che non usava più nessuno, delle transenne sottratte ai lavori in corso e parecchi rottami. I sacchi di spazzatura, poi, non erano difficili da recuperare. — Andiamo! Il corteo si mosse, uscendo come un formicolante serpentone dal cortile del complesso di case popolari, e si avviò lungo la strada. Qualche macchina si fermò e suonò a lungo il clacson, senza dubbio, così erano convinti i manifestanti, in loro supporto. Quando furono a poche centinaia di metri dal sito scelto dal governo e quando già si vedevano le telecamere e la polizia chiamata a tenere tutto sotto controllo, Maria incitò i manifestati. — Forza con i fischietti! Facciamoci sentire! È il nostro momento! Due ali di pubblico affollavano i marciapiedi e, a tratti, si spandevano sulla strada. C’erano parecchi curiosi, arrivati dai paesi vicini, e in parecchi si accodarono al corteo. Tutti erano lì per appoggiarli, anche se qualcuno era sicuramente preoccupato dal rischio che il problema, una volto risolto lì, potesse spostarsi sulle loro spalle. Il sito era un vecchio complesso industriale in disuso, che un decennio prima aveva prodotto chissà quale prodotto chimico, probabilmente tossico. Era circondato da un primo recinto di maglia metallica, con in cima del filo spinato, e da un secondo che era elettrificato e con il filo spinato intrecciato direttamente alle maglie metalliche. Nella terra di nessuno tra le due barriere stavano i militari, protetti da casematte di cemento da cui spuntavano le mitragliatrici. Altri soldati, impassibili e con i mitra in mano, scrutavano tutti dalla cima delle torrette. Il corteo si avvicinò, le telecamere riprendevano i manifestanti e li proiettavano nelle televisioni dei salotti e delle cucine, nei bar come pure nei telefonini. Le macchine fotografiche scattavano foto della gente armata di cartelli. Un cordone di polizia si trovava davanti ai cancelli. Un funzionario si fece avanti e Maria alzò una mano per fermare il corteo. — Mi spiace, ma l’autorizzazione data dal prefetto non vi permette di avvicinarvi a meno di cento metri. Dovete tornare indietro. Maria sorrise. — Altrimenti cosa fate? Caricate donne e bambini? Il poliziotto scosse la testa, senza guardare le telecamere. — Per favore, tornate indietro. La situazione è sotto controllo. — Siamo qui per fermare questo schifo, perché questo schifo non ci va bene. Noi diciamo no e diremo sempre no — le telecamere si soffermarono sullo striscione in testa al corteo. — Signora, se volete farvi riprendere va bene, però non dovete procedere oltre — il funzionario di polizia accennò, involontariamente, al sito che stava alle sue spalle. Oltre il secondo recinto, annerito in più punti dalle bruciature mortali di chi era rimasto fulminato cercando di superarlo, tanti occhi spenti guardavano verso l’esterno; pochi abiti laceri, i visi e le mani sporche di fango, i corpi consumati dalla vita nei fabbricati fatiscenti. Avevano ammesso tutte le loro colpe, vere o inventate che fossero; avevano pianto e gridato; avevano sperato e pregato. Non sapevano neppure più chi fossero in realtà. Gli avevano dato molti nomi, li avevano confusi con molti nomi. Forse non erano mai stati un popolo, forse non erano neppure mai stato un insieme di etnie, ma presto non sarebbero più stati niente. Aveva poca importanza, adesso, che li definissero nomadi, rom, sinti o zingari. Non aveva importanza chi avesse fatto cosa, non aveva importanza che ci fossero colpevoli o innocenti. Avevano capito troppo tardi o forse non avevano proprio capito. Adesso erano tutti assieme. Adesso erano tutti lì, con una colonna di fumo che saliva alle loro spalle, che li consumava pochi alla volta, in un destino accompagnato da uomini in tute bianche e maschere antigas. — Questo schifo deve finire — disse Maria — e lo dico a nome di tutti. Abbiamo sopportato abbastanza, ma adesso basta. Guardò la gente del corteo, guardò i giornalisti, guardò i poliziotti, guardò il pubblico. Guardò tutti noi e ignorò chi stava oltre il secondo recinto. — Perché i forni crematori non li vogliamo mica qui da noi, con tutto quello schifo che sale nell’aria. Dovete andare a costruirli da un’altra parte, lontano da casa nostra. Noi qui non li vogliamo! E sorrise trionfante.
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