Cinquemila euro
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Cinquemila euro

di Stefano Valbonesi (Genere:psico-horror / 20.300 caratteri)

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  1. avva_necate
     
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    Eccomi!!! Non mi sarei perso questa competizione per nulla al mondo!!! :D

    Cinquemila Euro di Stefano Valbonesi

    — Solo cinquemila euro! Non scherziamo, cazzo!
    L’odore di disinfettante galleggia nel capannone, mi brucia la gola e aumenta la nausea. Le finestre sono oscurate da lamiere arrugginite e grate di ferro, avvitate sui telai e piene di sporcizia. Un neon scava un quadrato di luce nel locale, rivelando la presenza di qualche armadietto e di due tavoli di metallo. Su di essi giacciono i due cadaveri nudi.
    Il dottore è in piedi, il suo fisico storto è nascosto da un camice pulito e con le pieghe della stiratura ancora in vista. Pende sui corpi, ne osserva con attenzione ogni centimetro, allunga le braccia e con le mani protette dai guanti tasta la pelle. La risposta alle mie parole arriva dopo un lungo silenzio.
    — Me li hai portati in condizioni disastrose.
    La sua voce ricorda un foglio accartocciato, e questa sensazione mi fa stare ancora più male.
    — Ma cosa dice?
    Il dottore si prende il tempo di palpeggiare il seno della donna e strizzarle i capezzoli.
    — Hai spaccato il cranio a entrambi, il loro viso è maciullato. L’uomo ha uno squarcio che gli corre dal petto all’addome, la donna ha fratture alle braccia e alle costole. Ecchimosi e lacerazioni ovunque.
    — Non volevano collaborare — dico, e provo ad allungare le labbra in un sorriso, ma un tremito le storce in un ghigno.
    — Io ti pago per portarmi dei cadaveri freschi e sani, non questa immondizia! La volta scorsa hai lavorato meglio.
    — Ma i reni, il fegato, i polmoni e il cuore potrebbero essere ancora in buone condizioni. Sul mercato nero potrebbe rimediare una bella somma.
    Il dottore non mi risponde, si limita a guardare i corpi buttati sui tavoli, vedo i suoi occhi dondolare qualche istante fra le gambe dell’uomo, la bocca gli si piega in una smorfia di delusione. Si volta e va a lavarsi le mani in un lavandino.
    — Cinquemila euro è la mia unica offerta, ti conviene accettarla.
    Gira lo sguardo verso un angolo buio e fa un cenno. Dall’ombra emergono le guardie del corpo, due tizi enormi che non sono di queste parti. So che accompagnano il dottore durante i suoi incontri privati. Non parlano mai, ma hanno sempre le mani troppo vicine alle fondine delle loro pistole.
    Trattengo il fiato e conto i secondi che ci metto a inghiottire la saliva. Fisso la mazzetta di soldi poggiata su un angolo del tavolo, le banconote sul ripiano d’acciaio hanno un colore più intenso e invitante, ma forse è solo colpa dei nervi. Il dottore si asciuga le mani e mi osserva con la stessa attenzione con la quale studiava i cadaveri.
    — Con cinquemila euro ti puoi fare di tremexedrina fino a scoppiare! Considerali una dimostrazione della mia fiducia. Sono sicuro che la prossima volta mi servirai meglio.
    In un istante afferro i soldi e corro verso l’uscita, inseguito dalle risate del dottore e dei due gorilla.
    All’aperto mi aspetta l’aria bruciata di luglio e le cicale, che con il loro orribile verso grattano dentro il cervello, come una raspa. La luce del sole è così violenta che quasi mi butta a terra, una bolla di dolore comincia a gonfiarsi dentro la testa.
    Mi muovo velocemente e taglio per i campi. In pochi minuti arrivo sulla provinciale, poco prima del cartello che segna il nome del paese nel quale trascino la mia esistenza. Poco lontano ci sono le prime case di mattoni nudi e i vecchi piantati sulle panchine, pronti a squartare la vita di chi gli passa davanti.
    Stringo la mazzetta di soldi nella tasca. Cinquemila euro. Trecento euro al mese d’affitto, sessanta di condominio; di luce e gas non spendo tanto. Potrei stare tranquillo per tre, quattro mesi. Così duemila euro me li sparerei come Cristo comanda.
    Non entro in paese, ma attraverso la strada e scavalco il guardrail. Scendo a fatica per un sentiero ripido che s’infila nella boscaglia. Il sudore è un acido che mi scende per le braccia e mi scava la pelle. Per un paio di volte rischio di inciampare nelle radici degli alberi, ma in qualche modo riesco a mantenere l’equilibrio. Dopo dieci minuti arrivo al casolare di Sergio, una costruzione bianca circondata da ulivi. Mi butto sulla porta e comincio a suonare e a battere sul legno.
    Sergio compare con la sua faccia tonda, la pelle tirata e rossa, mi ricorda il palloncino di una fiera. Mi fa accomodare in salotto, una stanza che pare il negozio di un antiquario. Le credenze e le mensole sono piene di soprammobili preziosi, tappeti e quadri di valore coprono ogni centimetro dell’ambiente. Mi butto sul divano, mi asciugo il sudore e cerco di riprendere fiato. Sergio sprofonda in una poltrona di pelle, mi regala uno dei suoi sorrisi troppo larghi da dietro il suo ventre gonfio, poi prende una matita e scribacchia qualcosa su un foglio.
    — Che cosa stai facendo?
    — È per la festa del patrono — dice con una voce morbida. — È tra due mesi, ed è bene che cominci a scegliere chi tra i nostri compaesani avrà l’onore di portare le reliquie di S. Funezio durante la processione. Sai bene che il parroco è ben lieto di affidarmi questo compito.
    — Immagino che avrai già ricevuto degli incentivi da parte dei candidati.
    — Piccole cose! — dice Sergio, agitando nell’aria una mano, come se scacciasse una mosca. — L’atmosfera si deve ancora scaldare. In ogni modo oggi sono contento: il signor Paolini ha finalmente saldato il debito, restituendomi per intero il prestito.
    — Con gli interessi…
    — Si capisce.
    — Ecco perché ha venduto tutti i mobili e la macchina!
    La risata di Sergio è soffice come il passo su una moquette; la mia, invece, è un verso orribile. Sento le ossa tese, sul punto di spezzarsi.
    — Dammi tre dosi — sussurro all’improvviso. — Ne voglio tre.
    Sergio piega con calma il foglietto, si prende il tempo per far combaciare gli angoli della carta, passa con le dita più volte sui bordi, e alla fine se lo mette in tasca.
    — Ce li hai i soldi? — mi chiede con un tono elegante, quasi come se mi presentasse a una sfilata di moda.
    Gli sventolo davanti tutti i colori delle banconote, poi estraggo tre biglietti da cento e li stendo sul tavolo di noce. Gli occhi di Sergio s’illuminano, il sorriso si fa ancora più largo, tra poco la bocca farà un giro completo e la sua testa si aprirà come un uovo di pasqua. La mano passa sul tavolo e raccoglie al volo la moneta, dopodiché si alza e scompare in una stanza.
    Mentre aspetto, penso che potrei pagare le bollette e la spesa per due mesi, o magari solo per uno. Così avrei quattromila euro per annegare nella tremexedrina e andare sottoterra nel migliore dei modi. Ci uscirebbero quaranta dosi. Una al giorno e sarei in paradiso per un mese e dieci giorni.
    — Hai rapinato qualcuno? — dice Sergio, mentre ricompare dagli anfratti della casa. A stento riemergo dai miei calcoli, ho gli occhi che si chiudono per il mal di testa. Si siede di nuovo di fronte a me e mette sul tavolo tre fialette color ambra. I miei visceri battono come nacchere impazzite.
    Agguanto le fiale e un lampo mi brucia gli occhi. Il mio amico continua a sedere come un re obeso sul trono, ma la testa è diventata quella di un rospo gigante. Un liquido grigiastro gli bagna la pelle viscida e grinzosa, delle pulsazioni gli scuotono una vescica enorme al di sotto della bocca.
    — Tutto bene? — dice la creatura, facendo ballare gli occhi umidi, grossi come palloni da basket.
    Mi alzo di scatto e senza dire una parola schizzo verso l’uscita. Risalgo il sentiero sassoso e cerco di togliermi dagli occhi quella visione. La paura di essere seguito da Sergio — o da quella cosa — mi costringe a voltarmi indietro più volte, ma non vedo nessuno nella boscaglia.
    C’è solo una spiegazione: senza tremexedrina il mio cervello è ridotto a una spugna secca ed è sul punto di abbandonarmi. Il sole continua ad accoltellarmi, la campagna mi assale con i suoi rumori, anche le fronde degli alberi si abbassano apposta per sbattermi contro la testa. Dopo aver arrancato come uno zombi, sono di nuovo all’entrata del paese.
    Stringo le tre fiale in mano e un’eccitazione mi corre dal polso fino al culo. Con tre dosi starei bene tre giorni e non incontrerei più uomini anfibi. E se volessi strafare? Magari me ne faccio una subito e una stanotte.
    E sicuramente non vedrei l’alba di domani.
    Passo strisciando contro i muri, ma le persone mi riconoscono e mi lanciano le solite occhiate di paura e condanna. Per fortuna, niente rospi. All’ombra della chiesa c’è la truppa di vecchie, chiuse a cerchio come una squadra di football americano pronta a devastare l’avversario. La vedova Geronzi mi allunga uno sguardo d’odio con i suoi occhi rattrappiti. Molti la considerano una specie di santa, perché si riempie la bocca con le frasi dei vangeli, sparando profezie e cazzate del genere. Del resto ha capeggiato la rivolta contro De Turris, colpevole di aver scoperto che il parroco passava troppo tempo in sacrestia con alcuni bambini. Grazie a lei l’uomo ha perduto il posto di lavoro. La donna mi lancia una maledizione e io trattengo a stento un ‘fanculo fra i denti.
    Entro nella farmacia della piazza. Immerso in un odore di pulito vagamente aromatico, mi preparo allo scontro con il padrone, ma dietro al bancone c’è Milena, la ragazza assunta da poco. È la figlia di una delle bigotte, è tornata da Roma subito dopo la laurea, e secondo me non ha un gran cervello se il suo sogno è davvero quello di rintanarsi nella farmacia di questo paese di merda.
    Chiedo siringhe da 2,5 e aghi. Lei non mi guarda neppure in faccia. Si nasconde dietro i lunghi capelli neri e io ne approfitto per lasciar scivolare lo sguardo dalle sue labbra piene giù fino alla profonda scollatura. Si allontana per andare a rovistare in un cassetto. Il camice informe è aperto, una gonna ridotta a una striscia di tessuto mi mostra un paio di cosce sode, strette nei collant neri. Dicono che per cinquanta euro ti lascia fare tutto. Cinquanta euro è mezza dose, due botte sono una dose in meno. Con una dose sto bene un giorno… e con due botte?
    Saluto Milena puntando gli occhi in mezzo alle tette, e lei non può fare altro che girarsi e scomparire nel retro. Per un secondo vedo un tentacolo che le esce dalla gonna, in mezzo alle gambe. È una specie di cazzo lungo circa un metro, un tubo grinzoso che oscilla nell’aria e termina in una bocca piena di denti.
    Esco dalla farmacia di corsa. Allucinazioni da tremexedrina, non ci sono dubbi! Prendo un bel respiro e solo adesso mi ricordo della promessa.
    Merda, il regalo!
    Solo ora mi viene in mente Luchino. Ha detto che non mi avrebbe mai perdonato se fossi tornato a casa senza un regalo. Ha distrutto il suo orso di peluche e gliene devo trovare assolutamente un altro. Se mi avesse chiesto un gioco per la Playstation sarebbe stato più semplice, ma ne abbiamo già una vagonata e Luchino si è fissato con il pupazzo. Quello vecchio se lo portava sempre dietro. E ci parlava.
    Mi ficco in un vicolo con il fondo stradale fatto di buche, i muri di vecchi edifici si fronteggiano a due metri di distanza. La vetrina sporca del negozio di giocattoli spunta come un neo maligno. Entro e mi trovo in uno stanzone quasi buio, con la merce buttata sul pavimento impolverato o che pende dagli scaffali nascosti nell’ombra. Dietro il bancone c’è una vecchia signora nera, al posto dei capelli ha una matassa di filo di stagno per le saldature. La faccia è orribile, piena di rughe, e non accenna un sorriso. Mi sembra di essere a un funerale, e lei è la vedova che neppure piange.
    C’è qualcosa di terribilmente sbagliato. Una donna così dovrebbe stare in chiesa o in farmacia, non in un negozio di giocattoli. Qui ci vorrebbero più luci, e come commessa ci vedrei bene quella troia di Milena.
    — Desidera? — mi chiede la strega.
    Non rispondo ed evito di guardarla, faccio un giro per il negozio, cercando di non inciampare nelle scatole. Osservo gli articoli, ma sono impegnato anche a fuggire al minimo accenno di rospi e tentacoli lunghi più di un metro.
    Alla fine scopro un orso enorme, un peluche alto un metro e mezzo, con una faccia da ritardato e due occhi che ispirano simpatia anche a me.
    Guardo il prezzo, questo pupazzo costa più di due dosi e mezzo, almeno cinque scopate con Milena. Di che materiale è fatto per valere così tanto? Però so che Luchino non accetterà niente di meno e la mia prima dose dopo quattro giorni di astinenza me la voglio godere in pace. Oggi è festa per me, altro che la processione di S. Funezio! E voglio che anche mio fratello festeggi.
    — Questo orso — dico alla commessa. — Devo fare un regalo a mio fratello.
    — Quell’articolo costa…
    Prima che posso finire la frase, gli sventolo sotto il naso il contante. Una sensazione di potere mi pervade, mi fa stare con la schiena più dritta. Posso sbattere i soldi in faccia alla gente e comprare quello che voglio, azzittire questa massa di merda che vuole schiacciarmi. Fisso negli occhi la strega, si nasconde dietro le rughe e allunga una mano scheletrica verso i soldi.
    — Lo porta via lei o glielo consegniamo a casa noi?
    La sua voce è gelida.
    — No! — dico. — Lo porto via io, così. E se mio fratello vuole, torno e compro tutto questo locale di merda.
    Afferro l’orso come se stessi bloccando una vittima per il dottore e guadagno l’uscita. Il sole continua a torturarmi lungo il pomeriggio, bastano due minuti di cammino per distruggere l’entusiasmo di poco prima.
    L’afa mi brucia anche l’ultimo strato di pelle, sento gli occhi dei passanti che s’infilano come spilli nella nuca, le risate e i commenti si mescolano con l’odioso richiamo delle cicale. A un tratto ho un forte giramento di testa, mi pianto con la schiena su un muro, le forze mi abbandonano e sono convinto che non arriverò a casa. Magari mi potrei buttare qui dietro, in Via Serafini, dove c’è una casa disabitata invasa dall’erba. Potrei trovare rifugio lì e farmi la prima dose. Mi asciugo la fronte sulla zampa pelosa dell’orso e quando rialzo la testa mi sfugge un grido.
    La strada è affollata, pare che tutto il paese sia uscito per passeggiare su questa via. Molto probabilmente un migliaio di neuroni sono saltati per sempre dentro il mio cranio. Non riesco più a distinguere i corpi, vedo solo facce che volano a cavallo di strani oggetti viola, lombrichi giganti che si muovono nell’aria come fulmini.
    C’è la santa vedova Geronzi con il suo drappello di baciapile; il dottore, che si affretta a tornare dalla moglie; Milena, con le labbra incollate a quelle del parroco. E tutti si girano verso di me e ridono, mentre i vermi volanti spalancano la bocca, cercando di ingoiarmi.
    La paura tira fuori le mie ultime energie, esco dal centro quasi di corsa, le ginocchia mi sbattono contro le zampe dell’orso e rischio più volte di cadere in avanti. Finalmente gli edifici si diradano e arrivo di fronte al mio vecchio palazzo. Per la fatica non sento più le braccia e le gambe. Salgo all’ultimo piano e ci metto cinque minuti per aprire la porta di casa. Guardo le scale, convinto che vedrò sbucare da un momento all’altro l’esercito di vermi. Finalmente entro, chiudo a chiave, poggio il pupazzo per terra e mi affloscio su una sedia.
    Morto. Ci metto un minuto solo per ricominciare a respirare.
    Mio fratello esce dall’altra stanza, nemmeno mi saluta. Appena vede l’orso grida di gioia, lancia versi acuti che strappano l’aria. Devo essere la maschera della morte, ma Luchino non ci fa caso.
    — È bellissimo! Bellissimo!
    È impazzito, si butta sull’orso e insieme rotolano per terra, poi cerca di rimetterlo seduto, ma non ci riesce, l’orso s’inclina e cade di lato, schiacciandolo a terra. Lui ride, prova ad appoggiare la schiena del pupazzo contro la parete, lo riempie di carezze e comincia a parlarci. Credo che questo sia il momento più giusto.
    — Luchì, mamma e papà non tornano stasera. Sono andati a trovare i nonni.
    Mio fratello si gira, mi guarda con un’espressione strana, poi abbassa gli occhi, come se cercasse qualcosa sul pavimento. Un po’ di gioia gli è colata via.
    — Quando tornano?
    — Fra due giorni, massimo tre. Non ti preoccupare, ci penso io a te. E in questi giorni potrai stare alzato fino a tardi e giocare quanto ti pare con il tuo nuovo amico. Inoltre la mamma mi ha assicurato che quando torna ti porterà un altro gioco.
    Per un minuto Luchino rimane con gli occhi persi nel vuoto. Se si mette a piangere è finita. Poi guarda l’orso e gli torna il sorriso. Un secondo dopo è di nuovo impegnato e muovere le zampe del pupazzo in posizioni impossibili. A un tratto lo afferra e lo trascina in camera.
    Mio fratello è sistemato, ora devo pensare a salvarmi dagli incubi. Un brivido mi corre lungo la schiena, come se qualcuno mi osservasse. Mi giro di scatto verso la finestra, ma non vedo nulla di strano.
    Prendo un altro respiro prima di alzarmi, poi vado in bagno e mi chiudo a chiave. Il cuore batte a mille, mi guardo allo specchio e vedo solo un teschio bianco con un po’ di pelle avvizzita sopra le ossa. Tiro fuori dalla tasca tutto il necessario. Apro la confezione di una siringa, agito una fiala, sego il beccuccio con una lima per le unghie e premo sul punto di rottura. Aspiro il liquido e con la punta dell’ago faccio il giro di tutto il fondo del contenitore, non voglio sprecare neppure una goccia. Butto via l’ago e ne attacco un altro pulito. Cominciano a tremarmi i denti, le dita scattano.
    A un tratto sento battere alla porta.
    Non adesso, cazzo. Non ora.
    Apro.
    — Che cosa c’è? — urlo.
    Luchino non mi risponde, ma mi mette sotto il muso un oggetto peloso. Il resto dell’animale è per terra. Mio fratello ha staccato una zampa al pupazzo. L’imbottitura esce dallo squarcio, sangue bianco-giallastro a forma di nuvole, piume e cubetti. Un orso da più di due dosi e mezzo, e basta un moccioso per distruggerlo.
    Vorrei sgridarlo, ma proprio in quell’istante avverto un rumore alle mie spalle. Butto un’occhiata e vedo fuori della finestra le facce dei paesani che premono contro i vetri. I bastardi mi hanno seguito, e scommetto che sono ancora a cavallo dei loro vermi giganti.
    Il dottore guarda mio fratello con desiderio, la vedova srotola un metro di lingua, vedo anche il tentacolo di Milena. Mio fratello continua a piangere, ma ora la pelle e i muscoli del viso gli colano come cera. Se la strappa con le mani e in poco tempo spunta il cranio, le ossa sono piene di vermi viola.
    — Anche tu! — grido.
    Non ci penso un attimo, mi appoggio agli stipiti della porta del bagno e gli assesto un calcio in faccia. Luchino cade a terra e io gli sono subito addosso. Continuo a colpirlo, sui fianchi e ancora in testa. Poi mi siedo sulla sua pancia, afferro una manciata del sangue dell’orso e gliela ficco in bocca. Lui si agita, ma ora il pianto è soffocato. Ancora un’altra manciata, la spingo forte, giù in gola. Luchino si agita, i suoi movimenti si trasformano in scatti violenti. Io continuo a riempirgli la bocca, gli rompo anche i denti, gli infilo così tanta roba che alla fine la sua testa è tutta coperta dall’imbottitura.
    Osservo il corpo di mio fratello steso a terra, immobile, a fianco del suo amico orso. Mi chiudo di nuovo in bagno, mi siedo sul bordo della vasca e fisso la siringa sul lavandino.
    Cerco di respirare con calma.
    Dio, che cosa ho fatto!
    No, devo respirare piano. Uno… due…
    Purtroppo, però, le ombre continuano premere contro il vetro della finestra, e con rinnovata energia. Come se quello che ho appena fatto le avesse eccitate.
    Non ho voglia di piangere, mi domando solo cosa posso fare ora. Posso portare Luchino dal dottore, come ho fatto con i miei genitori, e rimediare soldi per altra tremexedrina.
    Magari altri cinquemila euro. E per farci cosa?
    Questo paese è l’inferno, e una dose al giorno non mi permetterà di uscire dalla gabbia.
    Cacato qui, senza la possibilità di fuggire.
    Preparo un’altra siringa e la riempio con le due dosi rimaste.
    Stringo un laccio emostatico intorno al braccio. Stavolta faccio fatica a trovare la vena, non ne spunta nessuna. Guardo sul dorso della mano, scorgo una scia blu che passa fra le nocche. La buco ripetutamente. Tre dosi.
    La soluzione preme contro il mio sangue, poi avverto che si mescola con esso e provo una sensazione di piacere che allaga il mio corpo. La mia pelle è fresca, comincia a sciogliersi e mi cade ai piedi, come se fosse un abito vecchio. I compaesani gridano. All’inizio mi paiono imprecazioni di rabbia, poi capisco che ridono. Nel silenzio che le inghiotte si trascinano il mio corpo. Il mio cuore ha un sussulto, una scarica di pulsazioni confuse, poi cessa di battere.
    Sì, le ombre ridono. Ma io sono libero.

    FINE

    Ciao ciaooo,
    Stefano
     
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  2. federica68
     
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    User deleted


    Ciao Stefano!
    vedo che sono la prima a commentare il tuo racconto fresco fresco.

    cazzarola che stile! non ti molla un attimo! grande davvero, non ti smentisci eh!
    SPOILER (click to view)
    Ma c'è una incongruenza di base "da addetta ai lavori", che inficia in partenza la trama.
    Non è possibile prelevare gli organi da un cadavere "morto", tranne le cornee. Proprio non si può fare. Cioè, se uno vuole lo fa, ma poi li butta via. Non servono. Io lavoro in rianimazione, sono infermiera, facciamo anche i prelievi d'organo. La procedura è molto lunga e complessa, non ti sto a tediare con i particolari tecnici, ma quando si prelevano gli organi, anche se l'elettroencefalogramma è piatto da minimo 6 h, dunque il donatore è morto perchè ha il cervello "staccato", il circolo sanguigno deve essere presente (si fa con i farmaci) e i polmoni devono respirare (si fa con una macchina). Altrimenti nel giro di poche decine di minuti gli organi si deteriorano irrimediabilmente e non se ne fa più niente. Sono da buttare. Fai conto che il sangue nelle vene più grosse è già coagulato dopo 10-15 minuti, figurati in organi come il fegato o i polmoni, che sono un intrico di vene, venuzze, ecc. Credo che quelli che organizzano il traffico di organi godano di strutture ospedaliere compiacenti, e i rapiti sono in ottima salute e vengono operati da vivi, immagino, per cui non hanno poi bisogno di strutture come una rianimazione, basta una sala operatoria bene attrezzata. (La procedura che ti ho descritto è quella legale :asd:).I 5000 euro sarebbero solo per le cornee, quindi, cosa che potrebbe pure essere difficile perchè il protagonista gli ha maciullato il viso. Potresti aggiustarla così. Il medico non si lamenta che siano malconci, ma che siano morti, e ha dei dubbi sulle cornee. Ma a questo punto la sua impresa gli avrebbe fruttato 5000 euro sulla fiducia?


    l'altra cosa che ho notato, sempre da addetta ai lavori, è che quando lui si fa la dose cambia l'ago. Questa cosa non ha senso con una fiala come quella che descrivi, perchè si cambia l'ago solo con le fiale dove bisogna bucare il tappino di gomma, e si fa perchè l'ago si spunta e non per avercelo pulito. Infatti le fiale sono sterili, anche il liquido è sterile, e anche l'ago lo è, quindi la catena della sterilità è mantenuta. In una fiala di vetro senza tappino l'ago non si spunta, e quindi a maggior ragione non serve cambiarlo...

    ti segnalo anche una piccola svista:
    gli sventolò sotto il naso il contante
    alla vecchia dei giocattoli: quindi le sventolò


    Ti dò solo 3, (che sarebbe un 3 1/2 molto abbondante grazie allo stile), a causa del fatto degli organi, perchè anche se capisco che è una cosa che non tutti sono tenuti a sapere, credo che in rete si trovino diversi siti, alcuni anche abbastanza tecnici, dove c'è spiegato a grandi linee il tutto.
    prova qui:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Trapianto_di_organi
    Non odiarmi, lo dico come consiglio da "collega". Uno scrittore con le tue potenzialità di scrittura credo che sia in grado curare il proprio scritto sotto ogni punto di vista, anche documentandosi sulle cose che non conosce per non toppare sui fondamentali...
    Il narratore morto invece non mi ha inceppata più di tanto, anche se di solito non è un espediente che amo.
    Mi spiace perchè avrebbe potuto essere un 4 con lode...
    un bacione e alla prossima

    Edited by federica68 - 8/8/2008, 12:25
     
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  3. avva_necate
     
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    User deleted


    Ammazza, come sei veloce a commentare. Al confronto, io sono una lumaca!

    Ti ringrazio per avermi delucidato sul fatto degli organi. Si può considerare un errore, perché immaginavo che dopo un po' di tempo gli organi non sono più buoni in un cadavere, ma - chi sa perché - ce l'ho messo lo stesso. Imperdonabile. :) (vabbe', contiamo che a dire 'sta stupidaggine è il protagonista drogato, che non sa nulla di medicina, eh ehe he ;) ).

    Ti ringrazio anche per la precisazione sul cambio dell'ago. A dirti il vero, però, 'sto fatto del cambio dell'ago l'ho chiesto a un paio di medici, che mi hanno detto che loro - per precauzione - cambiano l'ago anche quando fanno le intramuscolo tipo voltaren e/o muscoril. Del resto la ditta produttrice può garantire un soddisfacente livello di sterilità fino a quando la confezione è integra e il prodotto chiuso. Ma già quando apri la fiala (sia con il gommino, sia per rottura del beccuccio, il liquido contenuto entra - seppure per breve tempo - a contatto con l'aria normale, e quindi quel livello di sterilità decade necessariamente. Certo, non è che succede niente, ma, dato che so che alcuni medici cambiano l'ago comunque, mi sono permesso di metterlo nel racconto.

    La cosa che mi fa piacere è che il racconto ti abbia preso.

    Grazie per i preziosi consigli! :)

    Stefano

     
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  4. federica68
     
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    User deleted


    ohibò!
    l'ago in effetti non è un errore, ma un eccesso di prudenza. Dall' 89 che lavoro, però non l'ho mai fatto, e nemmeno i miei colleghi, e non è mai successo niente... ti ripeto, infatti, non è un errore. Mi spiacerebbe se la mia precisazione ti avesse dato l'impressione di un appunto, non era nelle mie intenzioni.

    Eh, sì, il racconto non mi ha preso, ma presissimo!! :D

    un baciottolone e ancora complimenti per lo stile trascinante e coinvolgente e per l'ottima costruzione del racconto ;)
    F
     
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  5. bravecharlie
     
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    User deleted


    ehilà :sunglass:

    il tuo modo di scrivere lo conosco bene, ed è uno dei migliori che abbia incontrato da quando bazzico i vari forum/concorsi/macellerie. E' quel tipo di stile che rende leggero e veloce anche un pezzo di 40000 e passa battutte, senza mai cali di tono o tensione. si parte, e si arriva in fondo che è una bellezza.

    dopo questo preambolo, ti dico che il racconto è bello, ma a mio parere ha potenzialità inespresse. Il dottore, la farmacista, lo spacciatore... ottimi spunti per tirare fuori qualcosa di veramente tosto, abbinato alla dipendenza da droga del protagonista, che però vengono relegati al ruolo di comparse. credo sia stata una tua precisa scelta, in quanto hai deciso di focalizzare tutta l'attenzione sull'inferno di allucinazioni della sua astinenza che alla fine lo porta a compiere il "fratellicidio". Per me è un po' un peccato, perché forse, allungandolo un po', avresti potuto tirar fuori una storia davvero da pugno allo stomaco, mentre così rimane "solo" un ottimo racconto. Unico appunto formale:

    CITAZIONE
    I miei visceri

    non sarebbe più corretto "le mie viscere"?

    il mio voto è tre, a rileggerci, metalhead image
     
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  6. avva_necate
     
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    x Federica68: No, no, hai fatto bene a dirmelo. E se è un appunto, tanto meglio. :) Se mi dovesse ricapitare di scrivere una scena simile, sta' sicura che l'ago non glielo faccio cambiare al drogato. :) Mi pare di capire che è un eccesso di prudenza... tranquillamente eliminabile. :)

    x Bravecharlie: Grazie Alfredo. In effetti, anche a me 'sto racconto mi rimane un po' in mezzo. Forse aver dato spazio alle allucinazioni del drogato e aver lasciato dietro i vari personaggi non è stata la scelta migliore. Perché mi è uscito "i visceri"? Boh, forse perché mi suonava più... rude? meglio cercare un'altra espressione, sì. Grazie anche per le note positive. Dette da te, poi, hanno ancora più valore.

    Stefano
     
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  7. tar-alima
     
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    Ciao Stefano.
    Bello stile, il racconto prende alla grande! :sisi:
    Per il problema dei corpi - già segnalato da Federica - io mi ero immaginata che il dottore ci facesse chissaché, invece di pensare che il protagonista è fuori di testa per la droga.
    Il narratore morto, invece, non mi disturba affatto.
    Concordo con brave, lo stile è dei migliori trovati in giro (a me il pugno nello stomaco è arrivato comunque).
    Sarebbe un 3 e 1/2, ma per via dello stile voto 4.
    Spero di rileggerti presto. :)
     
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  8. Okamis
     
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    Ciao Stefano.
    Che posso dire? Il tuo racconto è... è... è come una droga. Prende sin dall'inizio e poi colpisce il lettore sino alla fine. Scorrevole, ma mai banale. Tratteggi i tuoi personaggi con cura (anche se forse qualche riga in più a loro dedicata non avrebbe guastato). Ma ciò che più mi ha colpito sono le descrizioni. Mentre leggevo il tuo racconto riuscivo sempre ad aver perfettamente chiaro in mente le immagini oniriche da te create, nonostante la loro alterità, e questo non è da tutti. I miei più vivissimi complimenti.

    CITAZIONE
    ‘fanculo

    Però qui c'è un apostrofo di troppo.

    Eh, mi sa che a questo punto ti darò solo 3 per via di quest'errore gravissimo. Vabbè, per stavolta chiudo un occhio e ti dò 4 XD
     
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  9. post-apo
     
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    Che dire, complimenti. Il racconto mi è piaciuto molto, mi ha letteralmente preso, l'ho letto tutto di un fiato. Ti becchi il massimo dei voti.

    ciao
     
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  10. Daniele_QM
     
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    Il racconto è intenso, si "beve" tutto d'un fiato... il fatto dell'espianto degli organi da morto l'avevo notato (mai visto il film Turistas?), forse sui dialoghi potevi fare meglio. L'io narrante di uno psicodisturbato da allucinazioni sicuramente colpisce, anche se era prevedibile la finaccia del fratellino... c'è tuttavia un senso di "fastidio" che non so descriverti... credo mi provenga dalla totale mancanza di equilibrio del personaggio, anche se è chiaro che proprio questo è il fulcro del racconto... ma si odia troppo secondo me. Lo odi quando uccide il fratellino e quando deduci che ha ucciso anche i genitori... alla pena iniziale subentra l'odio... e alla fine quando va in overdose, quella frase "ma sono libero" mi fa anche un po' arrabbiare...
    Perciò sono indeciso tra il 2 e il 3... perché nonostante l'indubbio coinvolgimento emotivo, la lettura lascia l'amaro in bocca... devo pensarci un po'.
     
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  11. shivan01
     
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    complimenti! Un grande rientro dopo un'assenza bella lunga. Ma un bel rientro davvero!
    anche secondo me ci sono ancora potenzialita' inespresse, potevi tirar fuori un pezzo alla King d'annata, ma anche così e' certamente da quattro.

    Ciao e non far passare altri 4 mesi prima di tornare a trovarci.
     
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  12. avva_necate
     
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    Vi ringrazio per i commenti, ragazzi! ;)

    x Okamis: grazie per aver notato l'apostrofo. Lo eliminerò subito.

    x Shivan: cercherò di essere più presente! E di commentare di più, gulp! ;) :P :D

    x Daniele_QM: Sì, in effetti il personaggio pricipale è troppo odioso e sicuramente il finale - con quella sensazione di liberazione - può dare fastidio per vie traverse. Ma, del resto, non siamo nella sua mente, nella sua "odiosa" misura dei valori e del mondo? Forse la cosa non risulta efficace da un punto di vista narrativo. Grazie per la segnalazione.

    Ciaooo,
    Stefano
     
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  13. Jakken
     
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    Ciao Stefano.

    SPOILER (click to view)
    Abbi pazienza se ripeto quanto hanno detto sopra.
    In partenza c'è il problema espianto d'organi. Tempo fa mi sono documentato per un racconto che stavo scrivendo (ora a riposo...) e mi è balzato all'occhio.
    Ma la cosa si può risolvere. In qualche modo il protagonista potrebbe riuscire a farli giungere vivi sin dal dottore... Conci ma vivi. Li imbavaglia, li lega, li chiude in un furgone o altro e via...

    Poi c'è il discorso blackbox (narratore morto). Per me non è un problema... sono disposto a vedere le cose accadere nel momento in cui leggo. Mi son chiesto, però, se è necessario farlo morire. Potresti solo dire che il piacere e il silenzio lo avvolge. Punto. Del come possa risolvere i suoi problemi, una volta tornato in sé, non c'importa. Al limite possiamo considerarlo un finale aperto che continua a girare nella mente del lettore...
    In questo modo eviti di dover cambiare il taglio della narrazione (da prima a terza).

    Per il resto è ok. La tua scrittura diretta e colorita mi piace molto, e per questo racconto è azzeccata.

    Editing: segnalo solo questo scemenza. Manca una "a"...

    Purtroppo, però, le ombre continuano (QUI) premere contro il vetro della finestra, e con rinnovata energia.


    Voto: 3 che può diventare un 4 tondo e granitico se rimedi alle lacune, apparentemente gravi ma risolvibili con due pennellate.

    Ciao ;)
     
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  14. avva_necate
     
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    Grazie, Jakken, per i preziosi consigli. Rimedierò senz'altro! :)

    Stefano
     
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  15. kiwi65a
     
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    Una grande idea, violento e truce quanto basta e scritto da dio.
    Complimenti, Stefano.
    Quattro.

    Ciao
    Piero
     
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18 replies since 7/8/2008, 22:10   367 views
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