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Volevo scrivere un racconto apposta, ma non ho fatto in tempo. Ho pensato di riciclare questo, ma non ho fatto in tempo lo stesso e in più il forum mi ha sballato tutta la formattazione. Dadass, mi rimetto al tuo giudizio, se posso gareggiare lo stesso, sistemo tutto per bene, altrimenti puoi nuclearizzare il mio post e mi ripropongo il mese prossimo (con un altro racconto, non con questo ).
LA VOCE CONTRO LA STRONZA
La macchina non dava segni di vita. Forse perché faceva un freddo boia. Forse perché perfino quel rottame aveva capito che non stavamo partendo per una gita di piacere. Feci ricorso al mio infallibile rituale: la bestemmia. Il motore, magicamente, iniziò a tossire. Falso allarme: il catorcio si spense dopo pochi secondi. Sconsolato, mi passai le mani tra i capelli, sospirando. Inutile cercare il guasto, mai saputo un accidente di automobili e meccanica. Mi sarebbe stato più facile capire la teoria della relatività di Einstein, probabilmente. Presi il telefonino dalla giacca, ma bestemmiai di nuovo quando mi accorsi che non c’era segnale. D’altra parte era abbastanza logico, visto che ero sperduto in mezzo a una strada di montagna. Feci l’unica cosa sensata che mi era rimasta da fare: uscii dall’auto e mi allontanai a piedi, sperando di cogliere un punto in cui il cellulare avesse un minimo di ricezione. Mentre camminavo, continuavo a rimuginare e maledire quel deficiente di Oscar, al diavolo lui e il suo cazzo di chalet. Poi però me la presi con me stesso: in fondo se avevo accettato di andare era solo perché ci sarebbe stata anche Anna, quel fine settimana. La parte forte del mio ego disse che ero un coglione a star dietro a una stronza che più di una volta mi aveva dato buca. La parte debole reagì, sostenendo che lei era il meglio. La parte forte stava per controbattere, quando mi accorsi che lungo la strada c’era una deviazione sulla sinistra, un viottolo sterrato che si perdeva all’interno del bosco. Il mio sguardo vagò tra la vegetazione, finchè non riuscì a individuare quello che speravo: una casa. Mi fermai un attimo a pensare, perché la situazione non mi piaceva per niente. Forse avevo visto troppi film horror in cui le case sperdute in mezzo al nulla riservano sempre spiacevoli sorprese. La voce della parte forte gracchiò di non fare l’idiota e di andare a vedere se in quella casa ci fosse un telefono. Non potevo certo continuare a macinare chilometri sperando di trovare aiuto o che un ripetitore mandasse segnali radio per misericordia divina. Concordai con la voce, purtroppo aveva tutte le ragioni. Mi incamminai, sperando di non dovermene pentire, perchè la strana sensazione non mi aveva abbandonato: era come se il mio cervello si sforzasse di mettere a fuoco un elemento, qualcosa di molto importante. Lo ammetto, non sono mai stato un fegataccio, semmai proprio il contrario. Il mio carattere non tradì la sua essenza: mi schizzò il cuore in gola quando sentii un rumore di catene. Mentre il cuore continuava a pompare a mille, mi guardai attorno, tendendo le orecchie. Ancora quel rumore. Più forte e spaventosamente reale. «Ehilà!» urlò qualcuno. Ma Cristo! Sobbalzai come un capra di montagna, pronto a squagliarmela di gran carriera. Dagli alberi sbucò fuori un uomo, sorridendo. Fece un cenno con la mano per salutare. Nell’altra mano stringeva in effetti una catena. Guardando meglio, notai che attaccata alla catena vi era una tagliola. Probabilmente il vecchio – dimostrava una sessantina d’anni, a occhio e croce – stava tendendo trappole in giro per acchiappare qualche volpe. Mi calmai, mentre il vecchio si avvicinava. «Salve» dissi. «Che succede, giovanotto? Che ci fai qui in giro?» Gli spiegai il mio problema, senza giri di parole. Mi guardò, inarcando un sopracciglio. Speravo non pensasse che fossi un malintenzionato. «Non c’è problema», disse infine «puoi telefonare da casa mia.» Sollevato, lo ringraziai di cuore. «Figurati. Si sta facendo buio e non puoi certo andartene in giro, visto che non c’è anima viva nel raggio di quindici chilometri.» Lo ringraziai di nuovo e ci stringemmo la mano, presentandoci. Carlo – così si chiamava – abitava con la moglie in quel posto dimenticato da Dio da quasi vent’anni. Solo di tanto in tanto scendevano in paese – che era distante circa quindici chilometri, per l’appunto – per far compere, naturalmente. Domandai se in paese ci fosse un meccanico che potesse muoversi subito per accomodare la mia macchina. «Ma certo. Giuseppe è un mio amico, ci parlo io. Se non è nulla di grave, te la sistemerà in men che non si dica, altrimenti dovrà rimorchiarla fino alla sua officina, giù in paese.» Bestemmiai mentalmente per l’ennesima volta. Se la seconda opzione di Carlo si fosse avverata probabilmente mi sarei dovuto fermare chissà quanti giorni in attesa della riparazione, dando addio al fine settimana in chalet. Hai visto? – disse severa la parte forte del mio ego – Così impari ad andar dietro a quella stronza. Touchè.
«È una vecchia casa», disse Carlo «ma le fondamenta sono solide, non crollerà tanto facilmente.» Mi limitai ad annuire. Non erano certo le crepe sulle pareti che mi spaventavano. Non saprei come spiegarlo, ma quella casa aveva qualcosa di lugubre, di vagamente sinistro. Ma in quel momento la paura di fare una figura di merda e di rimanere bloccato in mezzo al nulla prevalse sul desiderio di tagliare la corda. Entrammo. Per un momento avevo anche pensato che la moglie di Carlo fosse una megera degna di una casa come quella, ma mi sbagliavo. La signora Franca era una donna simpatica e dimostrava meno dei sessantadue anni che diceva di avere. Sbrigati i convenevoli, Carlo mi fece cenno di seguirlo. Andammo in soggiorno, dove c’era il telefono. Nonostante l’andamento delle cose, permaneva in me quella strana sensazione che ci fosse qualcosa di storto, fuori posto. Cercai di non agitarmi, sorridendo a Carlo che nel frattempo era riuscito a rintracciare Giuseppe. «D’accordo, Giuseppe, ti ringrazio. Si, a dopo, ciao.» Carlo appese la cornetta. Era tutto a posto, Giuseppe sarebbe arrivato prima possibile. Stavo per ringraziare il vecchio, quando mi resi conto, troppo tardi, cosa c’era che non andava. Sono una grandissima testa di cazzo! – pensai, prima di perdere conoscenza.
Ricordavo vagamente quel che era successo dopo. Come sempre, del resto, quando mi capita di trasformarmi. Mi svegliai la mattina seguente, nudo e accucciato vicino al caminetto del soggiorno. La vista del cadavere di Carlo – o meglio, di quel che ne restava – mi fece vomitare all’istante. Piansi, ripulendomi alla meglio la bocca con il braccio. Come potevo essere stato così deficiente da dimenticare che quel fine settimana ci sarebbe stata la luna piena? Perché sei uno zerbino – sentenziò la voce forte – Hai sentito il nome “Anna” e non hai capito più un cazzo. Voce di merda, ha sempre ragione. Notai una scia di sangue sulle scale che portavano dal soggiorno al piano superiore. Probabilmente, la signora Franca aveva cercato di scappare di sopra. Non avevo il coraggio di andare a guardare, era già un miracolo che non fossi svenuto vedendo i resti del povero vecchio. Che cazzo, fossi stato un vampiro almeno non mi sarebbe toccato ritrovare ogni volta gente a brandelli. Cadaveri pallidi, al più, ma comunque interi. D’un tratto, ricordai qualcos’altro. Qualcuno che bussava con insistenza. Chiusi gli occhi, bestemmiando a tutto spiano: avevo fatto fuori pure Giuseppe, che non immaginava certo che ad aprirgli la porta sarebbe stato un lupo mannaro. Di bene in meglio, mi ero pappato l’unico meccanico nel raggio di chilometri e chilometri. Ero nei guai: impossibile chiamare la polizia e raccontare una storiella, c'erano troppi indizi a mio sfavore per pensare di poter gabbare qualcuno. Non era nemmeno possibile ripulire la scena e nascondere i resti di quei tre. Primo, perchè avrei continuato a vomitare; secondo, c'era sangue dappertutto: sul pavimento, sui mobili, sulle tende. Ci sarebbe voluta un'intera impresa di pulizie. L'unica soluzione logica era di battermela, e alla svelta anche, ma la mia auto era in panne. Gli sbirri l'avrebbero trovata e non ci avrebbero messo molto a fare due più due. Sveglia, imbecille. Lo sai bene che c'è un'altra soluzione – disse la solita voce. Dovevo arrendermi all'evidenza, purtroppo. Potevo solo far perdere le mie tracce e crearmi una nuova identità in un altro posto, come in passato. Non era tanto questo a pesarmi, quanto il fatto che così facendo avrei perso definitivamente Anna. Non si rinuncia a cuor leggero alla donna della propria vita, no? Infatti non puoi. Dille tutto e portala via con te – suggerì la voce debole. Come no, sarà felice di vivere il resto dei suoi giorni con un mostro che un giorno potrebbe sbranarla senza volerlo – replicò la controparte.
La luna piena stava spuntando tra le nuvole. Avevo preso la mia decisione: fuggire e ricominciare. Senza Anna. Cercai di non pensarci, di non darla vinta alle lacrime che insistevano per colare lungo le guance. Non vedevo più un futuro senza quella ragazza. Coraggio – tentò di consolarmi la vocina – L'amore che hai ti aiuterà ad andare ancora avanti. Il tuo cuore non smetterà mai di battere per lei. Beh, nemmeno la stronza smetterà di battere – rispose sghignazzando la voce forte.
Edited by HeLLVaMpYR - 13/8/2008, 15:53
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