Oltre la collina
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Oltre la collina

drammatico - 20000 battute - Nicola Roserba

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  1. shivan01
     
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    puntuale come na cambiale, e tra un turno di Royal Rumble e l'altro, trovo tempo di ammollarvi questa nuova creatura.
    Abbiatene cura.

    EDIT: modificato in alcune parti secondo le vostre indicazioni, grazie a tutti

    OLTRE LA COLLINA



    Nubi candide rotolavano nel cielo blu delle Orcadi, incorniciate nella finestra della camera.
    Lei sedeva, ai piedi del suo letto, e ammirava l’immensità degli spazi fuori dalla stanza. Lo faceva tutte le mattine, un sorso d’infinito prima di iniziare una nuova giornata.
    Viveva sola, Rowena, nella fattoria che sua madre le aveva lasciato insieme a tanti ricordi di un’infanzia che era durata troppo poco.
    Coltivava la sua terra, senza vedere all’orizzonte altro, per il suo futuro, che quello che le donava la natura tutte le mattine.
    Che fosse bello o brutto, il tempo, colorava la natura intorno alla ragazza di colori e profumi che lei aveva imparato ad amare. La sua esistenza scivolava placida, come l’acqua fresca del ruscello che dava vita ai campi, e a lei non serviva altro che quella sensazione di pace, e di comunione col Creato.
    Non era tanto un farsi andar bene gli scherzi che la vita le aveva giocato, quanto un sentirsi al proprio posto, e non avvertire alcun bisogno di avere di più.

    Rowena si alzò e si preparò a uscire. Quella mattina sarebbe andata in paese a far compere, come tutti i giovedì. Il resto della sua settimana lo viveva in pacifica solitudine alla fattoria.
    Non aveva amici, ma solo sguardi torvi che la ferivano un po’, quando li incrociava. Ne conosceva il motivo e ci aveva fatto l’abitudine. Certe cicatrici con l’andare del tempo ci mettono sempre meno a rimarginarsi.

    Vestita in modo semplice ma ordinato, si ravviò i capelli secondo i movimenti che aveva imparato da sua madre, prima che la malattia la riducesse a una larva.
    Ricordava gli ultimi momenti di lei, quando la sua piccola mente acerba aveva compreso quello che stava per accadere. Le tornavano spesso alla memoria le sue stesse grida, e con quanta disperazione aveva tirato la gonna di sua nonna chiedendole aiuto.
    Quest’ultima aveva contemplato la fine della sua unica figlia con compassione e serenità, ma Rowena non aveva compreso e non la finiva di piangere. L’anziana donna l’aveva presa tra le braccia, allora, e le aveva sussurrato che quando fosse stata più grande le avrebbe spiegato, e che lei avrebbe capito.
    Sua madre era morta in pace, quasi sorridendo, e Rowena ora sapeva perché.
    Sua nonna le era stata vicina per tutta la sua adolescenza a farle da Madre e guida, insegnandole l’amore e la comunione con la natura finché vita glielo aveva permesso.
    Da allora era rimasta sola, con la fattoria, la natura e gli insegnamenti di quella vecchia saggia. Ed era serena, e grata.
    Pedalava per il viottolo che la portava verso il piccolo agglomerato di case che era tutto il mondo che conosceva. Il vento fresco del mare del nord carezzava il suo volto con dita leggere, e il sole vivace di quell’estate in boccio le riscaldava le ossa.
    Non aveva in programma di attardarsi in quel paese che non aveva mai amato né lei né la sua famiglia, ma solo di acquistare le poche cose che le occorrevano e poi tornar subito nel suo piccolo universo privato.

    Appoggiò la bicicletta a un muro vicino alla piazza grande, scavata come l’orma di un gigante in mezzo a un boschetto di case, e si avviò tra le bancarelle.
    Staccato il cestino dal manubrio, Rowena si inoltrò negli stretti passaggi, tra le urla dei venditori e le mercanzie che traboccavano dalle casse. Doveva prendere poche cose, la sua terra le dava quasi tutto le occorresse.
    Camminava svelta, cercando di non incrociare gli sguardi della gente. Non sempre le riuscì, e occhiate torve la trafissero più volte, prima che riuscisse a scansarle.
    La luce giocava a nascondino tra i tendoni delle bancarelle, e illuminava in barbagli di luce multicolore i festoni sgargianti che ornavano tutto il mercato. Era giorno di festa quando la comunità condivideva le ricchezze che la terra aveva donato.
    Almeno, questa era la tradizione, perché i viottoli tra le mercanzie erano affollati di gente che non aveva gran voglia di festeggiare, quel giorno. Il raccolto era stato scarso, e fare la spesa costava caro.
    Sapeva dove andare, e cercò il banco di Feargal da cui sempre si serviva, ma non lo trovò.
    Rowena per un istante temette di essersi persa tra la gente, e pensò di fermarsi dal primo venditore che avesse i tuberi che le occorrevano. Ben presto ne trovò uno.
    Il mercante era un uomo enorme, dal volto rubizzo e un paio di baffi che finivano in corte trecce. Lo conosceva. Fece un sospiro e si avvicinò.
    Attese con pazienza il suo turno, e quando toccò a lei si sporse per scegliere i pezzi migliori, ma fu spinta via da una vecchia grassa, che si volse a guardarla con un’espressione schifata.
    La ragazza era minuta, e non si oppose al sopruso. La donna pagò e si allontanò. Fece per allungarsi, allora, ma il mercante tirò via la cassa coi tuberi. I loro sguardi si incontrarono.
    “Non servo quelle come te, vattene!” l’apostrofò lui.
    “Ma io ho bisogno di quelle patate…”
    Un ragazzo, che sembrava la copia più giovane del mercante, si avvicinò e la prese per un braccio spingendola via. “Non hai sentito mio padre? Vattene, maledetta!”
    Rowena perse l’equilibrio e si ritrovò a terra, nel fango, una foresta di occhi divertiti e risolini acidi in cerchio intorno a lei.
    Si rialzò in fretta e sgattaiolò via, facendosi largo tra la folla che rumoreggiava.
    Umiliata, cercava di tornare alla sua bicicletta, ma non trovò l’uscita e vagò per qualche minuto in quel dedalo di passaggi.
    “Rowena!” si sentì chiamare.
    Feargal era lì, che le sorrideva un po’ guardingo.
    “Ciao…”
    “Tutto a posto?” le chiese lui adocchiando le macchie di fango sul vestito.
    “S… sì, scusa, potresti darmi un po’ di quelle?” gli indicò lei con fare frettoloso.
    Il ragazzo sembrò afferrare al volo la situazione, e si affrettò a riempirle la cesta. “Offro io, oggi.” le disse sorridendo.
    Rowena tentò di rifiutare, ma di soldi ne aveva pochi, e allora, ringraziandolo, si limitò a chiedergli da che parte fosse l’uscita del mercato.
    In pochi minuti fu di nuovo in sella, pedalando forte verso casa, finalmente libera di piangere.

    Era sollevata di non esser costretta ad andare in paese più spesso. Trovava già abbastanza pesante doverlo fare una volta a settimana.
    Era tardo pomeriggio, e riposava in veranda, mentre il sole agonizzava dietro le colline.
    Un movimento sulla strada, in lontananza.
    Si fece schermo agli occhi con la mano, aguzzando incuriosita la vista. Nessuno veniva mai lì, ed era quasi ora di cena.
    La luce rossa della sera ritagliò in controluce la sagoma snella di Feargal. Il ragazzo pedalava veloce, e fermò la bici proprio ai piedi della scaletta della veranda.
    Si tolse il cappello e le disse “Ciao!” in tono entusiastico, cercando di dissimulare un fiatone che doveva pensare fosse poco virile.
    “Feargal! Che ci fai qui?” le chiese Rowena sorpresa, alzandosi dalla sedia per raggiungerlo.
    Il ragazzo trasse un sacchetto dal cesto della bici e glielo porse, godendosi l’espressione meravigliata di lei nello scoprire che era pieno di patate e altro. “Sono per te! Offre la ditta!” le disse col sorriso più largo che gli riuscì.
    “Ma come, scusa…”
    “Non fa niente. Ho capito cos’è successo oggi, e d’ora in poi per te solo servizio a domicilio.”
    “Ma non ho soldi, io…”
    “Non importa, ti dico, mio padre non lo saprà mai!”
    Il sorriso a lei riuscì molto meglio. “Grazie, Feargal! Sei un amico…” gli rispose allora guardandolo negli occhi.
    Una nuvola scura passò nell’espressione di lui, lei lo percepì. Ma fu solo un attimo.
    “D’accordo allora? Facciamo così che è meglio, eh?”
    Lei guardò quell’esile ragazzo che le sorrideva, il cappello stretto al petto, come per proteggere il cuore.
    “Sì, facciamo così, d’accordo!” e gli porse la mano per stringere il patto.
    Lui la prese nella sua con delicatezza, quasi fosse un pulcino, e la strinse piano.
    D’improvviso, l’impaccio di lui fu evidente, e Rowena ruppe il ghiaccio chiedendogli, “Volevi dirmi qualcosa?”
    Il volto di lui, appena ombrato da una barba che in futuro sarebbe cresciuta folta, avvampò, ma Feargal riuscì lo stesso a dirle, “Ti dispiace se ogni tanto ti vengo a trovare?”
    Espulse quella frase come fosse un macigno che gli gravava sul cuore, e parve sollevato di aver avuto il coraggio di parlare. Lei sorrise, divertita, “No! Certo! Vieni quando vuoi! Da oggi mi troverai sempre qui!”

    Il ragazzo filò via, pompando sui pedali con la gioia degli adolescenti che toccano il cielo con un dito, e si voltò più volte a guardare quella figura esile, ai piedi della veranda, che lo salutava con una mano, l’altra stretta sul sacchetto.
    Rowena sapeva di averlo fatto felice, e un po’ lo era anche lei.

    E Feargal venne a trovarla, spesso.
    Quando poteva, fuggiva dai suoi compiti di figlio obbediente e volava alla fattoria.
    Passavano ore a chiacchierare, ridere, rincorrersi, o anche solo a lavorare insieme ai campi di lei.
    Lo fecero per mesi, s’era fatto autunno, inverno e di nuovo primavera.
    Un pomeriggio erano saliti sulla collina dietro la fattoria, per vedere il mare al tramonto.
    Avevano corso, lei a scappare e lui a inseguirla, facendo finta di non riuscire a raggiungerla.
    Proprio in cima, lei rallentò, quasi che non ce la facesse più, e lui la cinse da dietro con le braccia. Persero l’equilibrio e caddero nell’erba alta, rotolando e ridendo come pazzi.
    Si fermarono sotto un vecchio albero, i volti a pochi centimetri, e il tempo si fermò.
    I loro sguardi s’incontrarono, e Rowena lesse negli occhi del ragazzo il desiderio, l’interrogativo, la speranza. E lo baciò.
    Lo fece senza pensare, sicura, tranquilla. La nonna le aveva detto, sin da piccola, che le cose che vengono dal cuore non vanno mai fermate, perché sono le uniche sincere.
    Lo baciò a lungo, e poi stettero abbracciati. Lei sentiva il cuore di Feargal battere all’impazzata. O era il suo?

    Nei tempi a venire non andarono mai oltre quel primo passo, quasi fossero timorosi di rompere quell’incantesimo prezioso. Lei sapeva a cosa avrebbe portato quel giovane amore, ma lui le sembrava di no. Non aveva alcuna intenzione di forzarlo, né di farlo sentire inadeguato, inesperto.
    Ma non giocavano più. Passavano ore a parlare di tante cose, o soltanto abbracciati, senza dire nulla.
    Rowena sentiva di aver bisogno di lui, e lasciarlo andar via la sera era ogni volta come morire un po’.

    “La gente è stupida, sai?” le disse Feargal un giorno.
    “Perché dici questo?” gli chiese perplessa.
    “Dico, per come ti trattano…”
    “Non voglio parlare di questo.” Tagliò corto lei.
    “Sono ignoranti, non sanno che persona meravigliosa sei”, provò a incalzarla.
    “Forse, ma io non posso cambiare per loro, lo sai.”
    “Non devi cambiare. Io ti amo per quel che sei!” proruppe il ragazzo, diventando d’improvviso paonazzo.
    Lei si volse a guardarlo con un gran sorriso. Non le aveva ancora mai detto di amarla.
    “Anch’io ti amo, Feargal. E anch’io avevo paura a dirtelo.”

    Non passò molto che Feargal le chiese di sposarlo, e ancor meno perché lei accettasse.
    Il ragazzo era preoccupato di dirlo a suo padre, però, e non ne fece mistero. Rowena gli diceva sempre che lo capiva, e che non c’era fretta, ma lui non si dava pace. Si sentiva un debole, un vigliacco, e a nulla valevano le parole di lei che cercavano di rincuorarlo.

    Una mattina le disse che quello sarebbe stato il gran giorno. Risoluto, sostenne che la vita era sua, che ormai aveva diciannove anni e che suo padre avrebbe capito, o almeno accettato la cosa. Lei lo vide scomparire dietro la collina, in sella alla sua bicicletta, e qualcosa si ruppe in lei.
    Certa che non lo avrebbe più rivisto, proruppe in un pianto disperato.

    Bussarono alla porta. Rowena, spossata per il lungo disperarsi, si era assopita. Si alzò in fretta e andò ad aprire.
    La sagoma imponente di Cadogan Tierney, il padre di Feargal, oscurava la vista dell’esterno.
    L’uomo alzò un braccio e la spinse dentro. Rowena barcollò ma rimase in piedi.
    “Maledetta strega! Cos’hai fatto a mio figlio?”
    “C… cosa?” balbettò lei.
    Il volto dell’uomo era contratto in una smorfia di furore, era evidente che faceva fatica a non aggredirla.
    “Gli hai fatto un sortilegio?”
    “No!”
    “Tu sei una fattucchiera, Rowena Llewellyn, lo sanno tutti! Lo hai stregato! Confessa o ti ammazzo!”
    “Signor Tierney, io non potrei far del male a Feargal, io lo amo e…”
    “Non pronunciare il nome di mio figlio, maledetta!” proruppe lui, e le tirò un potente manrovescio che la mandò a sbattere al muro.
    Rowena scivolò a terra, come una pezza bagnata, un rivolo di sangue le colava dal labbro e si mescolava alle lacrime che le bagnavano le guance.
    Tierney si avvicinò, e la ragazza lo vide torreggiare su di lei. ‘È finita’, pensò.
    L’uomo si chinò, e le ruggì “Lascia in pace mio figlio, bastarda, hai capito? La prossima volta non te la caverai così!”
    La porta sbatté così forte che i vetri incastonati in essa andarono in frantumi.
    Lei rimase a lungo a terra. Piangeva, rassegnata, mentre attraverso l’uscio rotto filtrava l’aria calda dell’estate.

    Feargal non si fece vedere, quel giorno, nemmeno quello successivo, e per molti altri a venire. Rowena riprese a vivere la sua vita solitaria, ma era spenta, la mente ovattata in quei meccanismi che escludono il dolore, quando è troppo forte, ma al prezzo di non aver più coscienza di sé.
    Svolgeva i suoi compiti quotidiani senza quasi accorgersene, compreso il dover andare in paese ad approvvigionarsi.
    Un paio di volte aveva intravisto Feargal al mercato, ma il ragazzo era stato lesto a distogliere lo sguardo. Quando era rivolta altrove, sentiva gli occhi di lui su di sé, fatti di nostalgia e rimorso, forse, ma quel pensiero non le era di conforto.

    L’estate stava morendo e l’aria, la sera, era sempre più fredda. Faceva notte presto.
    Rowena mangiucchiava un frutto in veranda, assorta nei suoi pensieri, e quasi non vide quella bicicletta che conosceva così bene aggredire famelica la strada verso la fattoria.
    Sentì un’onda di calore salire dal profondo di lei e lottò per dominarla, come quando si spinge la roba dentro un sacco, con i piedi, se necessario.
    Feargal arrestò il suo mezzo all’ultimo istante, rischiando quasi di andare a schiantarsi sul muro portante, e lei scese le scale della veranda, pronta a corrergli incontro.
    Lo sguardo di lui, però, la frenò.
    Il ragazzo non perse tempo, “Mio padre sta molto male, Rowena, puoi aiutarci?”
    Lei rimase immobile, davanti a quel giovane uomo che sapeva di amare ancora come quando era uscito dalla porta della sua fattoria, tutto fiero nell’andare a conquistarsi il suo futuro.
    Lo guardava mentre lui la implorava di aiutarli. E le sembrava tutto così assurdo, quasi ironico.
    Non gli rispose che un “Andiamo”, mentre prendeva la sua bicicletta.

    Non era mai entrata in casa di Feargal, in verità non era mai entrata in quella di nessuno, al villaggio. La sua nomea di strega l’aveva sempre tenuta lontana da tutti, com’era accaduto per sua madre e la nonna prima di lei.
    Era un’abitazione modesta, si trovò a pensare, ancor più della sua fattoria.
    Un focolare svogliato irradiava un po’ di calore, e i segni di una cena frettolosa giacevano sparsi sul tavolo spoglio.
    La madre di Feargal li aveva accolti senza una parola, non che lei se ne aspettasse qualcuna, e poi il ragazzo l’aveva guidata al letto dove giaceva il padre.
    Rowena si accostò al malato. Tierney si lamentava, in uno stato di evidente semi incoscienza.
    La ragazza pose le mani sulla fronte e sul torace di lui e chiuse gli occhi. Feargal e la madre, a lato del capezzale, sembravano statue di marmo vestite da contadini.
    Passarono alcuni lunghi istanti, poi la ragazza si rivolse ai due. “Aiutatemi a portarlo fuori. Feargal, vai a prendere il carretto.”
    Lui non fece obiezioni e filò fuori.
    L’uomo era più pesante di quanto lei temesse, e dovettero faticare parecchio tutti e tre per caricarlo sul mezzo.
    Rowena prese le redini e, fatti salire i familiari del malato, partì senza dire una parola.
    “Dove andiamo?”, chiese Feargal, senza ottenere risposta.

    Fermò il carretto in mezzo alla campagna, dove il ragazzo ricordò che c’era uno di quegli strani, antichissimi monumenti. Era buio, ma la ragazza però sembrava sapere dove andare.
    Presero l’uomo a spalla e lo trascinarono sbuffando verso le pietre rituali.
    “Aiutatemi a metterlo lì”, disse lei affannata, indicando un grosso masso orizzontale.
    Una volta disteso Tierney, Rowena fece segno agli altri di allontanarsi.
    Feargal vide la donna che aveva chiesto in moglie allargare le braccia verso la notte, salmodiando in lingue sconosciute, intorno a lei, le alte rocce verticali sembravano dita adunche che graffiavano l’infinito.
    Il canto di Rowena saliva d’intensità, per poi ridiscendere fino a ridursi a un mormorio. La ragazza si chinava a terra, a prendere manciate di terriccio, e le tendeva di nuovo verso le stelle, gridando più forte.
    Feargal, nel sentire il potere sgorgare da quella figura minuta, provava la paura primitiva che assale quando l’ignoto si manifesta, e si fece sfuggire un lamento quando la vide cadere in ginocchio con un grido straziante.
    L’aria sembrò fermarsi, e anche le la luce delle stelle fermò il suo sfarfallio per un attimo.
    La voce di Rowena, in ginocchio, crebbe a diventare un ruggito possente, quando la ragazza pronunciò le ultime parole. Il suo salmodiare al cielo assunse una tono quasi imperioso, come se stesse imponendo il suo volere a forze sconosciute. Un alone di luce disegnò un arco tra le mani aperte.
    Con un ultimo potente grido, la ragazza si accasciò al suolo.
    La madre di Feargal gemette, mentre il ragazzo riuscì a scuotersi e corse da Rowena. La raccolse da terra; sembrava a prima vista incosciente ma non appena lo vide sorrise debolmente.
    “Portateci a casa, ora…” riuscì a dire prima di perdere i sensi.

    Durante il viaggio di ritorno la ragazza si riprese, e si accoccolò sul vano di carico del trasporto fino a casa. Non lasciò mai la mano del malato.
    Lo adagiarono di nuovo sul letto, e poi Rowena chiese di esser lasciata sola con lui.
    I Tierney acconsentirono senza parlare e passarono il resto di quella notte interminabile a fissare la porta chiusa della camera da letto. Attraverso di essa, giungeva loro il salmodiare incessante della ragazza.
    Al mattino, la porta si aprì, e Rowena, spossata, sorrise ai due dicendo “Vivrà.”

    L’uomo era cosciente, e la ragazza si chinò su di lui per salutarlo. Lui le prese una mano e le disse, “So cos’hai fatto, Rowena Llewellyn, grazie. Ti sono debitore.” Lei gli sorrise, e non rispose, non ce n’era bisogno.

    Non volle trattenersi a casa dei Tierney per riposare, ma chiese solo a Feargal di riaccompagnarla a casa. Pedalarono lenti verso casa sua, nell’aria fresca del mattino.
    Nei giorni a seguire, mentre lei recuperava le forze, il ragazzo passava spesso a trovarla, per portarle da mangiare e accudirla.
    I due ragazzi parlarono di tante cose, ma quando il discorso sfiorava quel che era successo quella notte, il ragazzo taceva e si rabbuiava.
    Lui era gentile, ma sembrava sempre che non vedesse l’ora di scappare, come se il pavimento di tutta la fattoria fosse coperto di carboni ardenti.
    Era tormentato, e Rowena sentiva di aver capito perché.

    Una luminosa mattina di ottobre lei lo attendeva in veranda, come faceva sempre. Lo vide arrivare carico di beni, e lo ringraziò mentre lui entrava in casa a sistemare le cose. Poi sedettero insieme, e lei decise di rompere quel silenzio opprimente che troppo spesso scendeva tra loro.
    “Cosa devi dirmi, Feargal?”, gli chiese allora. Lui tacque, senza guardarla, e lei capì che il suo destino si era compiuto.
    Si avvicinò, e lo fissò dritto negli occhi. “Io ti amo, Feargal, e ti amerò sempre. E ora fà quello che devi.”
    Lui si agitò sulla sedia, neanche fosse incandescente. Guardò la ragazza, i suoi occhi verdi che luccicavano al sole in mezzo alla cascata di capelli neri come la notte.
    Scrutò quel viso così perfetto da essere insopportabile alla vista, e quell’espressione orgogliosa di chi sa già, ma pretende lo stesso.
    E fece quello che doveva fare, “Io ti amo, Rowena, hai salvato mio padre, ma sei una strega. E io ho paura di te, addio.”

    I piccoli pugni stretti tanto da ferirsi i palmi delle mani con le unghie, e gli occhi che non ne volevano sapere di lacrimare, Rowena vide la sua vita alzarsi e sfilar via da lei, sparendo oltre la collina.


    Edited by shivan01 - 10/11/2008, 00:17
     
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  2. Paola_Milli
     
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    Sono contenta di essere la prima a commentare.
    CATTIVO CATTIVO CATTIVO!
    SPOILER (click to view)
    Il finale mi ha assolutamente spiazzato, pensavo a una rincocigliazione invece una cippa.

    E' scritto bene, forse anche meglio del solito. Personaggi ben descritti, storia che ti tira dentro. Sembra quasi di sentire il profumo dell'erica in fiore, nella scena finale.
    SPOILER (click to view)
    Ti odio per come l'hai fatto finire, ma non posso abbassarti il voto solo perchè sono irrimediabilmente arrabbiata con te :P :P :P


    Voto: 4
     
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  3. shivan01
     
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    uuu quante storie!

    grazie!
     
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  4. kiwi65a
     
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    Piccola osservazione:
    SPOILER (click to view)
    Vestita in modo semplice ma ordinato, si ravviò i capelli secondo i movimenti che aveva imparato da sua madre, prima che la malattia la riducesse a una larva.
    Non ne sono sicuro, ma secondo me ravvivò va meglio.

    Comunque, niente da dire, a parte questo. La storia è molto avvincente, romantica. Anche le immagini sono efficaci. Il finale ti trancia di netto, completamente inaspettato.
    Quattro.
    Ciao
    Piero
     
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  5. shivan01
     
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    grazie Piero
    SPOILER (click to view)
    il termine "ravviare" significa "dare una sistemata", nell'accezione in cui l'ho usato.
    Ho avuto una divertente discussione con Paola a questo riguardo, anche lei propugnava "ravvivare", ma quello serve in caso ti fai le meches, i boccoli, o altre cosette che io non posso fare per mancanza di materia prima
     
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  6. kiwi65a
     
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    CITAZIONE (shivan01 @ 4/11/2008, 14:22)
    grazie Piero
    SPOILER (click to view)
    il termine "ravviare" significa "dare una sistemata", nell'accezione in cui l'ho usato.
    Ho avuto una divertente discussione con Paola a questo riguardo, anche lei propugnava "ravvivare", ma quello serve in caso ti fai le meches, i boccoli, o altre cosette che io non posso fare per mancanza di materia prima

    Ah, caspita, scusa l'ignoranzità!
    Se la cosa ti può consolare, anche io non ho di questi problemi!
    Ciao
    Piero
     
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  7. shivan01
     
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    CITAZIONE (kiwi65a @ 4/11/2008, 15:38)
    Se la cosa ti può consolare, anche io non ho di questi problemi!
    Ciao
    Piero

    :asd:
     
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  8. Iceburn
     
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    Esprimo la mia opinione.
    SPOILER (click to view)
    Io considero che un racconto abbia bisogno di un qualche genere di conflitto.
    E soprattutto all'inizio di un racconto è utile che si renda subito evidente il conflitto.

    Per questo io inizierei da:
    CITAZIONE
    Un ragazzo, che sembrava la copia più giovane del mercante, si avvicinò e la prese per un braccio spingendola via. “Non hai sentito mio padre? Vattene maledetta!”

    Nella parte prima non c'era nessun conflitto degno di nota, erano molte descrizioni e un flashback. Le informazioni 'necessarie al racconto' dette prima di questo punto si potevano spargere in parti successive.

    Per quanto riguarda Feargal io gli avrei dato più difficoltà (giusto per aggiungere conflitto), in città alla fine sembra quasi che nessuno si lamenta di lui... insomma avrei forse provato a creare un crescendo di problemi prima di arrivare alla separazione a cui i due sono costretti. Avrei inoltre aggiunto qualche parte in più sul perchè a Feargal piace Rowena, e sul come affronta con se stesso il fatto di stare insieme a una strega (o al contrario sarebbe stato interessante mostrare quali scuse adduceva per credere che lei non fosse una strega).

    Inoltre, sempre a mio avviso, la scena finale sarebbe dovuta venire preparata, in qualche modo sarebbe stato utile giustificare come mai in tutta la città è stato male PROPRIO il padre di Feargal, PROPRIO dopo la richiesta di matrimonio... e come mai gli altri non andavano da lei prima a farsi curare?

    Voto 2, diventerebbe un 3 abbondante anche solo levando tutte le descrizioni e le scene dove non accade niente.
     
    .
  9. shivan01
     
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    CITAZIONE (Iceburn @ 4/11/2008, 16:44)
    Esprimo la mia opinione.
    SPOILER (click to view)
    Io considero che un racconto abbia bisogno di un qualche genere di conflitto.
    E soprattutto all'inizio di un racconto è utile che si renda subito evidente il conflitto.

    Per questo io inizierei da:
    CITAZIONE
    Un ragazzo, che sembrava la copia più giovane del mercante, si avvicinò e la prese per un braccio spingendola via. “Non hai sentito mio padre? Vattene maledetta!”

    Nella parte prima non c'era nessun conflitto degno di nota, erano molte descrizioni e un flashback. Le informazioni 'necessarie al racconto' dette prima di questo punto si potevano spargere in parti successive.

    Per quanto riguarda Feargal io gli avrei dato più difficoltà (giusto per aggiungere conflitto), in città alla fine sembra quasi che nessuno si lamenta di lui... insomma avrei forse provato a creare un crescendo di problemi prima di arrivare alla separazione a cui i due sono costretti. Avrei inoltre aggiunto qualche parte in più sul perchè a Feargal piace Rowena, e sul come affronta con se stesso il fatto di stare insieme a una strega (o al contrario sarebbe stato interessante mostrare quali scuse adduceva per credere che lei non fosse una strega).

    Inoltre, sempre a mio avviso, la scena finale sarebbe dovuta venire preparata, in qualche modo sarebbe stato utile giustificare come mai in tutta la città è stato male PROPRIO il padre di Feargal, PROPRIO dopo la richiesta di matrimonio... e come mai gli altri non andavano da lei prima a farsi curare?

    Voto 2, diventerebbe un 3 abbondante anche solo levando tutte le descrizioni e le scene dove non accade niente.

    ué con me ti impegni proprio eh? :asd:
    ti conosco?

    vabé a parte gli scherzi non posso rispondere qui perché sarebbe un po' lungo, se vuoi ti mando un PM
     
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  10. federica68
     
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    eccomi!
    SPOILER (click to view)
    il racconto mi piace e lo sai
    è ben scritto, il ritmo è azzeccato, secondo me, e le ottime descrizioni iniziali servono a far capire l'ambiente meschino e pieno di pregiudizi in cui la ragazza si muove, tanto che alla fine viene chiamata solo quando hanno bisogno di lei e poi viene messa di nuovo da parte senza tanti complimenti.
    Amaro ma realistico...

    voto? ma 4, no?

    Edited by federica68 - 4/11/2008, 19:26
     
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  11. shivan01
     
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    grazie federì, ma metti in spoiler te prego
     
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  12. federica68
     
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    CITAZIONE (shivan01 @ 4/11/2008, 18:09)
    grazie federì, ma metti in spoiler te prego

    prego

    ah, fatto, spoilerato

    sorry spero di non aver fatto danni... :down:
     
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  13. VdB
     
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    Il mio voto è tre.
    Hai dipinto la storia usando dei colori appropriati, un tratto preciso anche se appare, qua è là, qualche sbavatura. Per aspirare al quattro, a mio avviso, dovresti ripulire la tela dalle pennellate superflue. Di seguito esprimo qualche elemento critico.
    SPOILER (click to view)
    Mi pare strano l’atteggiamento di Feargal, non appropriato rispetto ai sentimenti mostrati (prima dice di amare la ragazza nonostante le dicerie che la “infamano”) poi quando lei salva il padre da morte sicura ( è lui che gli chiede aiuto mica altri quindi "sa" che lei è una strega) anziché chiedere il consenso dal padre (riconoscente lui stesso), la lascia perché è una strega.
    Per me non regge molto.
    Ti segnalo qualche incongruenza:
    (si alza)
    CITAZIONE
    Nubi nere rotolavano nel cupo cielo blu delle Orcadi

    Ps. (il blu è davvero necessario?)
    (va al mercato)
    CITAZIONE
    il sole vivace di quell’estate in boccio le riscaldava le ossa.

    Cambia il tempo della giornata

    Altra cosa:
    CITAZIONE
    L’estate stava morendo e l’aria, la sera, era sempre più fredda. Faceva notte presto

    più avanti:
    CITAZIONE
    Pedalarono lenti verso casa sua, nell’aria fresca dell’autunno.

    Cambia la stagione: allora l’estate più che morente era proprio schiattata! :)

    Ciao
     
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  14. Cryptoptic
     
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    Mmmm... Nicò Nicò...
    Non è facile esprimere un giudizio su questo racconto. Sei bravo a descrivere le ambientazioni, anche sui personaggi nulla da dire. C'è qualche svista, ma se fai una rilettura approfondita te ne accorgi da solo.
    Passiamo al commento vero e proprio:
    c'è qualche incongruenza nel racconto dici che lei, anche se poche volte, va in paese a fare compere e poi chiede come uscire dal mercato al ragazzo?
    Inverno-autunno-estate, ma questa già ti è stata segnalata.
    Le ambientazioni si toccano con mano, i personaggi sono realistici e ben definiti, ma in questo sei bravo e quindi nessuna sorpresa.
    Il finale... il finale... ci sta tutto!
    Scusa Paola :imploro: :D ma proprio le love story a lieto fine non le sopporto :P .
    Che dire... arrotondiamo: 4!
    1)Per le belle ambientazioni (e so tre)
    2)Per i personaggi (e so tre :asd: )
    3)Per il finale.
    Ma rileggilo e sistemalo per bene, lo puoi fare.
    Amen fratello.
     
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  15. shivan01
     
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    grazie caro, sempre umano.
     
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32 replies since 4/11/2008, 00:47   589 views
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