Samurai in Autunno
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Samurai in Autunno

Fant. malinconica (28000 b. circa)

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    10.01 Brasilia: chiusa preventivamente un’altra centrale a fusione nel Mato Grosso per sospetto contagio Wormhole al Mode di una pompa d’innesco del deuterio < LINK>

    10.02 Prefettura di Omiya: in previsione del paventato “Big One Informatico” il Giappone ha eseguito con successo un’esercitazione nell’ambito del programma ”Megaless” < LINK>

    10.03 Strasburgo: anche oggi il Programma Scudo “Infinite Prevenction” dell’EUROMEG, la diramazione INTMEG dell’ONU per la Crisi Informatica in Europa, ha bruciato centoventi miliardi di Mode, ritenuti potenzialmente esposti all’infezione Wormhole <link>

    10.04 New York: in un’intervista in esclusiva all’Agenzia Panamericana NBC MegStar Express, il canadese John De Witt, Premio Nobel 2049 per l’Informatica, ha dichiarato che se non si troverà alcuna efficace “terapia anti Wormhole” entro sei mesi, contrariamente alle previsioni del Programma Scudo, il collasso di Meganet diventerà effettivo entro l’autunno del 2054 < LINK>

    MEGNEWS MODELINK INTERMEDIA ha eseguito l’aggiornamento euristico-semantico della definizione di:

    0042 “Meganet” : “Sistema di Comunicazione Universale” <linkato PER APPROFONDIMENTI>

    0043 “Megaless” : “Piano d’emergenza ideato in Giappone per fronteggiare le conseguenze di un eventuale Big One Informatico” <linkato PER APPROFONDIMENTI>

    0044 “ Mode” : “Abbreviazione di MegMode, protocollo di scambio dati con Meganet, sistema d’accesso euristico universale” <linkato PER APPROFONDIMENTI>

    0045 “Big One Informatico” : “Scenario futuro ipotizzato dagli informatici secondo il quale l’infezione universale Wormhole raggiungerà la soglia definita Orizzonte degli Eventi” <linkato PER APPROFONDIMENTI>

    0046 “Infinite Prevenction” : “Programma di profilassi dall’infezione universale Wormhole ideato dagli esperti dell’ INTMEG e dell’ EUROMEG” <linkato PER APPROFONDIMENTI>

    0047 “Jhon De Witt” : “Premio Nobel 2049 per l’Informatica” <linkato PER APPROFONDIMENTI >

    0048 “Wormhole”: “operatori proto senzienti di origine sconosciuta, con alla base coppie multiple di viroidi fagi euristici, causa dell’epidemia informatica universale omonima” <linkato PER APPROFONDIMENTI>

    0000 “Terapia anti Wormhole”: “NESSUNA DEFINIZIONE TROVATA”

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    Ero chiuso da due giorni in un bilocale al secondo piano e dal balcone contemplavo i turisti andare e venire sul lungomare di Patong Beach.
    La borsa di ghiaccio mi si scioglieva velocemente in testa, sacrificata al sole infuocato, quasi allo zenit, di una tarda mattinata thailandese.
    Contavo i tuk tuk passare ma non riuscivo a pensare che a te, Fujiko.
    Al tuk tuk numero nove tornai dentro e mi collegai a Mega visualizzando ancora una volta sul Mode la tua immagine nei miei pensieri.
    Come eri bella, amore.
    Le gocce di rugiada ti adornavano i capelli lunghi e neri come perle lucenti.
    I tuoi occhi riverberavano dei colori di una precoce primavera, in festa per la fioritura anticipata dei ciliegi.
    Eri così forse quella mattina di tre anni fa, prima di partire per Nikko? Qual era questo ricordo?
    C’era un fruscio anormale nella visione: non era l’acido che avevo preso ma i Wormhole che si stavano scatenando nella Piattaforma Euristica delle Tigri.
    Non riuscii quindi a riviverti pienamente come avrei desiderato per cui mi scollegai da Mega, sconsolato, e andai a riposare.
    Disteso sul letto, inzuppato di sudore, avevo la testa che mi vorticava come una turbina di un jet suborbitale.
    Fui svegliato dopo mezz’ora di orrendo dormiveglia ancora una volta dal suono del Mode. Era Max, il mio amico italiano.
    Mi affacciai. Era coricato su una sdraia sul balcone a fianco al mio, coperto su tutto il corpo seminudo da almeno un millimetro di untuosa crema solare e con gli eterni occhiali da sole griffati Dolce e Gabbana sul viso abbronzato.
    Mi sorrise annuendo, facendomi cenno che era l’ora. Andai da lui.

    Oltre al fascino per la catastrofe io e Max avevamo in comune una sorta di amicizia simbiotica e temporanea.
    Io ero lì in auto esilio, per riviverti più che per ricordarti, Fujiko.
    Lui, invece, era lì perché era rimasto invischiato in una vicenda di traffici illeciti di rifiuti tossici che lo aveva costretto a lasciare definitivamente il suo Paese con un conto segreto a molti zeri distribuito in diverse banche dell’Unione delle Tigri del Sud Est Asiatico.
    Ogni tanto, quando i nostri tempi di accidia si sincronizzavano, come in quel momento, mi offriva del crack cambogiano, nell’attesa che due ragazze di quelle, sempre puntuali nel loro ritardo, venissero a trovarci a domicilio per un’orgia tattica.
    Quando era fatto, a differenza di me, diveniva logorroico. A volte, proprio come quella mattina, gli capitava di parlare anche del problema mondiale in voga, l’argomento sulle bocche di tutti nel Sekai.
    Io lo stavo ad ascoltare, inerte, come fosse il rumore della lavatrice, un modo come un altro per evitare di pensare.
    Con la retorica che non gli mancava, frutto di una laurea con lode in giurisprudenza e di una cultura che non aveva mai avuto l’idolatria del silenzio, sosteneva energicamente la sua tesi.
    Diceva che i Wormhole non avevano genitori: non c’era nessuno dietro di loro, nessun hacker impazzito, nessuna organizzazione terroristica, nessun servizio di un paese canaglia, niente Templari, complotti massonici o di mafie di alcun genere.
    Erano semplicemente una conseguenza inevitabile della crescita senza limiti dell’Informazione, arrivata al limite della soglia della singolarità tecnologica. Come in un cancro, Mega aveva generato ciò che stava ponendo fine alla sua stessa esistenza.
    “ Meganet è come un uomo stanco che s’è rotto le palle della vita” concludeva” ed ha preparato la pistola sul comodino per farla finita”.
    Scuotevo allora la testa all’ennesima, stantia, metafora, buttandomi un grosso cubo di ghiaccio nella T-Shirt mentre con un calcio giocavo a far rotolare dalla sedia alla parete, a una a una, le bottiglie vuote di birra Asahi che via via finivo di scolare, osservandone il movimento, deformato dalla droga, come se il Nirvana si fosse incarnato in esso e vi avesse nascosto qualche verità incomprensibile.
    Anche noi avevamo le nostre belle pistole cariche sul comodino, scoprii.
    Suonò il campanello.

    Un’ora dopo, in fase calante per quanto riguardava la libido, by-passata l’orgia tattica, birra Asahi in una mano e Mild Seven post-coitale nell’altra, lo stavo ancora a contemplare quasi fosse un raro insetto del Borneo.
    Max, con quel suo fisico a bottiglia e col MODELINK della sua azienda d’intermediazione gestione rifiuti ancora tatuato sulla fronte stempiata, che mascherava malamente con un cappellaccio della sua squadra di sakkaa del cuore.
    Max, disteso sul letto a tre piazze del suo appartamento assieme alle due ragazze thai, forse ancora minorenni, che aveva agganciato la sera prima in un locale belga sul lungomare di Patong con la tecnica “bath nelle mutandine”, che citava ad esempio, e a più riprese, come semplificazione in tutti i rapporti, umani più che sessuali.
    Max allo stesso tempo innamorato, inconsciamente invidioso della sensualità e della giovinezza delle ragazze, così lontane dal suo modo di intendere la vita.
    In quel momento capii esattamente perché Max mi affascinava: era la mia esatta Nemesi, una sorta di esperienza catartica, un poeta perso, l’origine del mio sistema di riferimento cartesiano dal quale allontanare all’infinito il destino, la parte di me stesso che ero e che non avrei voluto mai essere.
    Forse quella stessa parte che ti aveva persa, Fujiko.
    Fu allora che il Mode del suo appartamento si attivò entrando materialmente nella stanza a Realtà Zero con l’appendice tipica che gli era consona, gli ologrammi riverberanti nei colori dell’arcobaleno, generati tramite l’eccitazione spin - spin inverso degli atomi d’idrogeno delle molecole di vapor acqueo.
    Max si agganciò. Fu lui il primo ad accorgersi del “problema”.
    -The Net, mormorò, perplesso, come da un altro pianeta.


    In tutto il Sekai nessuno, a parte Max, chiamava più Mega con le parole “The Net”, “La Rete”. Lì per lì pensai, sai Fujiko, alle reti dei pescatori di Phuket, gli zingari del mare. Che bel lavoro m’era parso quello, scevro da ogni responsabilità se non limitata all’essenza, all’immanente semplicità del vivere. Focalizzai un’immagine ingenua. Io, uno di loro, e tu, finalmente mia moglie, ferma ad aspettarmi ansiosa su una spiaggia bianca, fissando le onde ancora vuote dell’Oceano Indiano, in un altro mondo, un altro tempo.
    Che pensieri idioti mi venivano in mente, mentre Mega crollava e il Sekai con lei.
    Guardai Max a cercar inutile sostegno. Aveva gli occhi così stravolti che sembrava un personaggio d’un quadro del Caravaggio. Non voleva rientrare nella realtà, chiedeva un’altra proroga. Pregava per essere lasciato lì dov’era, al suo Nirvana personale pieno di stelle lucenti, dolori soffocati, dolci ragazze thai e certezze artificiali.
    - I Wormhole del cazzo, aggiunse semplicemente.
    Ah, questo era, dunque, pensai. I Wormhole. Un’altra volta i Wormhole. Niente di più banale che i Wormhole. Mi agganciai anch’io.
    Quasi a darmi conferma del mio facile sospetto, il Mode tirò fuori dal fruscio statico un inquietante canale locale thai.
    La trasmissione si propagava via etere in onde polarizzate verticali, proveniente dalla costa, a una banda UHF di radianza bassa, vergine da agganci satellitari al sistema Toyo no Sora. Share locale, un pazzesco 100%, un’impossibilità teorica che da sola descriveva l’assurdità del momento.
    Subiva l’interferenza di un’armonide multipla parassita non identificata.
    Non ci voleva poi molto a capire a cosa fosse dovuta.
    Era l’unico canale ricevibile al Mode dalla Piattaforma Euristica delle Tigri, là dove si poteva, teoricamente, avere l’accesso illimitato all’Informazione Maniacale. I sottotitoli interattivi multilingua ondeggiavano tetri sulla mia faccia, quasi accarezzandomi beffardamente.
    L’efebica commentatrice thai annunciava la breaking news del secolo: Meganet era improvvisamente collassata. La Piattaforma delle Tigri era vuota come un universo senza Dio.
    Satelliti, banche, siti statali, istituti di credito, finanziari, militari, centrali elettriche e nucleari erano crollati come tasselli del domino in tutto il Sekai. Tokyo, Bangkok, Pechino, Shangai, Hong Kong. E poi l’Euramerica, la Piattaforma Euristica Originale. Trilioni di terabit cancellati in poche ore. L’intera Hentai Mode Economy buttata via nel gomibako.
    I Wormhole l’avevano spuntata, avevano vinto la loro battaglia con le teste d’uovo dell’INTMEG. Era il Big One Informatico che tanto avevamo temuto noi giapponesi.
    Nel mondo dell’Informazione Maniacale, l’Informazione aveva cessato di esistere. Per la nostra generazione, ancora in divisa scolastica quando Meganet aveva sostituito una cosa archeologica chiamata Internet, non c’era niente, niente davvero, che potesse essere considerato propriamente più raccapricciante. Neanche incappare in uno di quei fantasmi, gli tsunami no yurei, quello di cinquanta anni prima, che alcuni dicevano di aver visto vagare nelle notti più scure e senza luna sul lungomare di Patong Beach.
    La giornalista terminava il comunicato esortando i residenti sull’isola di Phuket a non lasciarsi prendere dal panico e, cosa più inquietante, invitava tutti i turisti a ubbidire agli ordini delle autorità militari.
    Max, coccolato dalle ragazze thai, apparentemente indifferenti alla nuova situazione, si era alzato e stava ora appoggiato con la testa alla parete quasi a cercare una presa di corrente inesistente per il cervello.
    Ebbi subito il sospetto che la fine di Meganet non deponesse proprio a nostro favore, che potevamo essere diventati improvvisamente una linea morta nell’evoluzione della specie. Ruttai. Mi stancai presto della Fine del Mondo. L’accidia venne in mio soccorso. Quella novità era già passata di moda. Avevo un buco in testa piacevole nel quale mi lasciai lentamente scivolare.
    Oh, come avevo voglia di piangere!
    Quanto mi mancavi, Fujiko!
    Com’era bello e malinconico tutto questo!


    Dopo aver congedato le ragazze, Max m’invitò ad affacciarci al balcone del suo appartamento per un “approccio funzionale alla situazione”. Era la sua definizione New Age preferita dell’atto noioso dello “sforzarsi di pensare”.
    In città c’era una certa agitazione. I turisti si muovevano di qua e di là alla ricerca d’informazioni, quasi fossero scarafaggi usciti dalle tane in cui si erano rifugiati durante la notte.
    I thailandesi, invece, certamente già preparati all’evento con un loro piano, parevano affannarsi in qualche attività pratica, spostando generatori portatili da una parte all’altra dell’isola con tutti i mezzi di trasporto di cui disponevano.
    Facendosi largo tra i turisti isterici cui il collasso di Meganet aveva rovinato la vacanza, Janson lo svedese, il pusher preferito di Max, ci fece un cenno con la mano dalla strada e salì di corsa le scale a due a due per farci visita. Era un tipo in gamba, uno che dispensava consigli anche quando non gli erano richiesti. Uno che era aerodinamico alla vita, come lo definiva Max. Aveva un locale sul lungo mare di Patong, paravento per i suoi affari oscuri e l’aria di chi si fosse ambientato fin troppo bene ai tropici. Un tipo felice a differenza di noi.
    -Sawade!, fece posando sul tavolo alcuni barattolini di vetro colorati contenenti diverse pastiglie, dopo averli tirati fuori, quasi teatralmente, da un fazzoletto sporco, come un coniglio da un cappello a cilindro – Eh! E’ un casino, miei cari compagni –
    Ci chiamava sempre così: “Komrades”, compagni. Come se fossimo membri di un partito di sinistra. Non ebbi mai l’occasione di chiedergli il perché anche se la metafora oscura che c’era dietro, qualunque fosse, mi faceva sempre sorridere.
    Fissai, invece, la droga silente sul tavolino, come se fossi in piedi davanti a un baratro senza fine.
    Lo svedese sorrise allo sguardo lascivo di Max, che aveva gli occhi fuori dalle orbite per l’eccitazione. Era felice di far felice. Era la sua vocazione in fondo.
    -Spero però che abbiate contanti, ragazzi. I Mode non servono più a un cazzo, ormai, meno che mai a spremere quattrini. Ce ne ho una pila alta così dentro un cassetto del mio locale. Me li stanno lasciando di propria volontà i clienti come pegno per le birre che si scolano. Ma non so più che farci! Ne ho usato uno, due ore fa, per regolare un tavolino che traballava.
    Max, distrattamente, gettò il Mode sul letto sfatto e tirò fuori dal calzino sinistro un cumulo di banconote di euro dal color fucsia, dove ne teneva parte, arrotolate con un elastico verde vulcanizzato.
    Janson le prese tra le mani quasi fossero reliquie ed iniziò un lungo monologo senza sapere che seminava opinioni nel nulla.
    -Fra poco anche questi non varranno più niente, compagni. Da un paio d’ore, con Mega “Kaputt”, non esistono più banche nel Sekai. Presto anche i thai se ne accorgeranno, ammesso che non se siano già accorti. Sono molto più furbi di noi, sapete? La vedo dura! Credetemi, vi ho portato la roba più che altro perché vi sono amico. Avevo preso un impegno e io amo rispettare i patti. Son fatto così, ecco perché non sono mai diventato ricco qui a Phuket. Poi tacque come per cercare di farci digerire il concetto - Questi, disse stringendo teatralmente le banconote in mano, sono carta straccia. Andiamo!
    Ci invitò ad uscire sul balcone e indicò due uomini occidentali in cravatta e camicia bianca, ascelle sudate e scarpe rovinate dalla sabbia acida che, disperati, armeggiavano con i loro Mode. Li fissò annuendo quasi fossero certezze alle sue ipotesi. Li descrisse attentamente.
    Dovevano essere, disse, uomini d’affari svernati a Phuket, ufficialmente per qualche convegno, più verisimilmente per farsi sollazzare il basso ventre dalle dolci ragazze dalla pelle liscia come giada.
    Dovevano ora parlare con le loro daibatsu, riferire di riunioni commerciali, prendere decisioni su problemi legati a questioni poste all’altro capo del mondo. Che novità era mai quella? Indignati contro il governo thailandese, si davano conforto e allo stesso tempo si aizzavano l’un l’altro.
    -Dinosauri agonizzanti, concluse la sua analisi.
    -Pensi siamo davvero a questo punto? Gli chiesi. Lui fissò il sole allo zenit, quasi cercasse di ricavare direttamente dall’astro la risposta.
    -Trovatevi una scialuppa, finché possibile, compagni. Il Comandante della baracca ha ordinato il “si salvi chi può”. Io resto qui comunque vada. Guardò quasi commosso l’immenso Oceano Indiano davanti a noi, quasi fosse una medicina per lenire qualunque tristezza.


    Poi si congedò. Fissai al balcone i dinosauri per non so quanto tempo. Shimatta, come stavo male! Andai a vomitare in bagno e mi distesi sul letto.
    Dopo un’ora anche l’ultimo canale captabile sul Mode, una specie di messaggio d’emergenza proveniente dalla Malesia, fu mangiato dai Wormhole.
    Piansi, pensando a te, Fujiko, persa già da prima della Fine del Mondo, mentre Max, nell’altra camera, si pompava il cervello con il suo sogno artificiale. Com’era maledettamente romantico e stupido tutto questo!


    Verso sera, cominciarono ad arrivare a Patong alcuni reparti dell’esercito thailandese. Avevamo intuito fin dal primo pomeriggio che i militari si erano organizzati per qualcosa.
    Dal balcone assistemmo a una scena curiosa. Niente di eclatante, ma che attirò lo stesso la nostra attenzione. Un occidentale ubriaco cercò di forzare da solo e a mani nude un posto di blocco. Fu subito fermato e malmenato.
    -Che stronzo! Disse Max. Aveva cambiato improvvisamente umore. Quando usciva dal flash, dopo un po’, diventava aggressivo.
    -Quell’uomo è una metafora vivente, feci a bassa voce, aggrappato alla ringhiera come un bimbo ad okaosan.
    -Forse, rispose lui. "Ma ti chiedo: guarda questo cielo blu minerale. I Wormhole l’hanno occupato diffondendosi nell’etere direttamente da Mega. C’è un noise che oscura tutte le frequenze. Eppure non è, lo stesso, un cielo blu minerale? Che cazzo!"
    Il cielo non mi disse gran che, così come la sua allusione oscura e priva di senso, forse influenzata dagli alcaloidi nel suo sangue. Piuttosto fissai l’occidentale trascinato via, a malo modo, dall’esercito. Era affascinante vederlo contorcersi scalciando con i sandali sull’asfalto. C’era un qualcosa di artistico in tutte quelle movenze surreali. Se avessi potuto fargli una foto, avrei forse vinto il Premio Kopa. Ma tutto ciò che aveva una tecnologia Mode, ovvero tutto, era ormai andato da parecchie ore.
    -E’ bello morire qui" disse ad un tratto Max, approfittando del mio silenzio. Contemplava Phuket quasi come un texano potesse farlo con un ranch di sua proprietà.
    -E’ bello morire qui, ai tropici!" ripeté tirandosi su il cappello della sua squadra di sakkaa.
    Pareva felice. Nei suoi occhi c’era il riflesso della notte incombente.
    L’occidentale urlava disperato, mentre era portato via dai militari.
    Max ed io ci scambiammo un subliminare sguardo d’intesa. Avevamo fatto l’amore con le ragazze thai. Ci stavamo riempiendo di birre fino a scoppiare. Ci stavamo per drogare ancora. Nient’altro ci interessava.
    Non avevamo minimamente pietà per quell’uomo, né per nessun altro.
    Max era un trafficante di rifiuti tossici.
    Io, invece, un uomo vigliacco e malvagio che ti aveva persa.
    Capii, in piena Fine del Mondo, qual’era l’unica cosa che davvero univa me e Max, là a Phuket, Fujiko.
    Non c’era niente tra me e lui, nessun vero cameratismo decadente o desiderio omosessuale inconscio.
    Eravamo cattivi nell’anima. Era il nostro kokoro a essere kitanai, sporco.
    Avrei voluto morire, in quel momento.



    A tarda sera i militari cominciarono attivamente i rastrellamenti di turisti su larga scala.
    Almeno ufficialmente, avevano intenzioni preventive piuttosto che repressive. Si affannavamo a lanciare volantini per le strade. Su uno di questi, che Max era sceso temerariamente a prendere, c’era il riassunto della situazione e la loro idea sul da farsi: volevano portare gli stranieri in un primo campo di accoglienza profughi vicino all’Aeroporto. Ovviamente nessun turista sembrava collaborare, memore di situazioni analoghe, non propriamente allegre, che si erano create, a ripetizione, nella storia dell’umanità.
    -Bastardi" mormorammo quasi all’unisono io e Max, sogghignando della divertente contemporaneità dell’imprecazione.
    Era più che altro un’intercalare.
    In fondo, come si poteva dare torto ai thai?
    Come non si poteva condividere il loro punto di vista?
    I soldi erano scomparsi, i Mode non servivano più a niente, i turisti erano un ingombro in quel contesto, dei rifugiati senza risorse e senza utilità. La parte opulenta, ricca e decadente del Sekai, era diventava improvvisamente una sorta di parassita per il resto attivo della popolazione locale.
    Eravamo noi, ora, ad essere l’anello debole della catena sociale.
    C’era aria di rinnovamento, l’embrione di una società nuova.
    “Un turista, qui a Phuket, cosa è?” mi aveva chiesto una volta un profetico Max “Uno che viene a togliere cibo, donne e cose belle ai residenti. Ma se non avesse i soldi?”
    Eccoli gli ex re del mondo, camminare ieratici come in una processione di zombie alla deriva. Era divertente osservarli, persi, disillusi, tornati ad essere homo sapiens tra gli homo sapiens. Il magnate australiano, la nobildonna europea, il rampante americano, lo stakanovista giapponese.
    Fratelli nella notte, condividevano uno stato d’animo che non avevano mai conosciuto prima. Erano diventati prede. Eravamo diventi prede.
    E tra i turisti in diaspora dell’ex primo mondo che passavano davanti al balcone, qualcuno era anche una vecchia conoscenza di Max e si fermava volentieri a scambiare due chiacchiere, cercando e fornendo informazioni.
    Non si poteva dimenticare all’improvviso il culto dell’Informazione. Decenni di Hentai Mode, inculcati nell’anima, non potevano svanire così, su due piedi. Neanche gli onnipotenti Wormhole potevano togliere loro l’abitudine.
    Noi, pensai, spettatori su un balcone con cui scambiare dati, stavamo sostituendo in quel momento un Mode, l’accesso alle tette enormi e giunoniche della Dea Madre Meganet, il nuovo Dio Morto, il Kami diventato profeta di sventura.
    Era divertente starli a sentire.
    Uno ci disse che dozzine di treni erano deragliati un po’ dovunque in Europa.
    Max, in cambio, gli diceva di evitare la via per la collina perché i thailandesi avevano fatto là nuovi posti di blocco.
    Un altro che non un solo aereo civile era in volo da nessuna parte del mondo e che decine di quelli che erano rimasti in aria durante il collasso di Meganet si erano schiantati a terra in tentativi di atterraggi d’emergenza.
    Max, in cambio, gli diceva di andare verso la via per la collina perché là era sicuro e i thailandesi avevano fatto altrove dei posti di blocco.
    Un altro ancora ci disse che a Bangkok erano sbarcati i marziani.
    Max, alla fine, stanco di quegli scherzi, si limitava a sorridere facendo cenno di star tranquilli e benediceva tutti sornione dal balcone, quasi fosse il Papa.
    Era troppo, anche per un cervello strafatto come il mio. Andai a dormire nel mio appartamento lasciando Max alle sue omelie.

    Erano le due circa. Pur stanco, non riuscivo a chiudere occhio per il caldo. L’energia elettrica era andata e il ghiaccio scioltosi dal frigorifero aveva tracimato e allagato tutto il pavimento della cucina. Avevo acceso una vecchia lampada alogena a pile ricaricabili, un vero reperto archeologico, alla luce della quale volteggiavano insetti esotici mai visti. C’era ancora un filo d’acqua che usciva dai rubinetti, chi lo sa come. La usai per farmi un po’ d’impacchi.
    La mancanza del “rumore” di Max mi spingeva a fare i conti con il mio vuoto interiore.
    Mi sentivo solo e malinconico, collerico e umiliato, rassegnato e in cerca di un riscatto inutile, una contraddizione decadente.
    Ricordai di una vecchia poesia che avevo letto da bambino che parlava di un Samurai in Autunno. Mi crogiolai in quell’immagine.
    Dal balcone, il cielo stellato era splendido.
    La bellezza è niente se non può essere condivisa, diceva un poeta zen.
    Presi il mio taccuino, quello solito, e volli scrivere anche io una poesia, alla luce della lampada:

    “Assistemmo a un crash disperato, malinconico e allo stesso tempo affascinante: un perfetto suicidio artistico, ovviamente non mediatico, con noi in mezzo a fare da spettatori all’altare sacrificale dell’Informazione Maniacale.
    Pensai che non potesse esserci fine più romantica, tu e io insieme, Fujiko.
    Eppure una fine è pur sempre una fine”.

    Chiusi il taccuino. Bussavano alla porta. Andai ad aprire. Era Max, ovviamente. Aveva preparato la “camomilla per la notte”, come la chiamava lui.
    Tu, Fujiko, non eri con me se non nella fantasia della mia poesia.
    Non c’era altro e non mi bastava. Così, vinto, andai di nuovo da Max.

    -Hai notizie?" gli chiesi mentre lo osservavo spremere, con fare esperto, un mezzo limone su un cucchiaio. Guardava il mare, oltre la finestra, anche se era del tutto inutile: era una striscia nera e invisibile.
    -Un mio amico, un italiano sposato con una thai, ha un baracchino sulla costa. E’ venuto a trovarmi" disse facendo girare in aria la siringa come se fosse una bacchetta da direttore d’orchestra" Ha fatto una specie di catena, su un canale d’emergenza che fino a sei ore fa era stato risparmiato dai Wormhole. In Europa c’è la legge marziale. In Italia, invece, c’è il classico caos da commedia. Stanno tentando di fare qualcosa ma non si mettono d’accordo e si accusano l’un l’altro. Questo vizio non ce lo leveranno neanche i Wormhole! Ah, quanto darei per una pizza come si deve!" rise "In Giappone vi sarete senz’altro organizzati meglio. Non avevate quel programma di prevenzione? "
    -Già" annui.
    Non dissi a Max che in realtà non volevo che mi rispondesse. Che la mia domanda generica era fine a se stessa, che era un vuoto desideroso di altro vuoto, che volevo che parlasse lui per non ascoltare il dolore che avevo dentro. Fissai il nulla. Com’era consolante.
    -Sai quale sarà il prossimo passo dei Wormhole? " gli feci, invece, prendendo rassegnato in mano la siringa che mi era offerta.
    -Quale? " mi chiese, ieratico, come se mi avesse ascoltato da un’altra dimensione.
    -Quello di entrare nelle nostre menti e azzerarle" risposi.
    -Quale sarebbe allora il problema, Hiro?" fece lui, scartando un’altra siringa - Porremmo fine a questa eterna irrequietezza, no?"


    Alle quattro del mattino, un reparto dell’esercito entrò nei nostri appartamenti e ci portò via, trascinandoci fuori a forza.
    Forse erano state le ragazze a fare la spia.
    Puttane, disse Max, ridendo.
    Ebbi una specie di visione in quel momento.
    Ripensai a te, Fujiko, qualche anno prima, quando facevamo colazione sul balcone in un casa in affitto vicino Nasu, mentre le prime foglie ingiallite dei peschi venivano portate via dal vento di un autunno precoce. Alcune di queste continuavano a cadere importune sul tuo viso.
    Tu sorridesti e ne raccogliesti una per ricordo.
    Mentre i militari mi spingevano giù per le scale, tra le risa isteriche di Max, mi meravigliai del fatto che avevo ricordato il tuo viso, per la prima volta da troppo tempo, senza l’uso del Mode e di come fosse lo stesso così vivido nella mia mente.
    Non c’era bisogno di Meganet, capii, mentre, insieme ad altri, prendevo posto sul di dietro di un camion.
    Fui afferrato da uno strano senso di euforia.
    Mentre il mezzo partiva, tra i lamenti e i pianti dei turisti, tra la voce di Max che chiedeva se qualcuno, seduto vicino a lui, avesse una sigaretta, stupefatto, capii che i Wormhole non avrebbero mai sconfitto quella parte che, dentro di noi, era rimasta intatta e irraggiungibile dall’Informazione.
    Un giorno, forse, ti avrei rivista ancora, Fujiko.
    Non era impossibile.
    Era la Speranza l'ultima barriera.
    Sorrisi.
    Forse addirittura, un altro giorno ancora, avrei potuto anche ottenere il tuo perdono.



     
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    Amante Galattico

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    Ciao, tocca al tuo
    SPOILER (click to view)
    E' un racconto molto interessante e coraggioso (mi ha ricordato un poco Doctorow per alcuni versi e il DeMatteo per altri; probabilmente è anche molto Gibson, ma io non l'ho ancora letto), che costruisce su parecchi fronti contemporaneamente e senza confonderli. Malgrado i molti termini tecnici (veri o inventati che siano, difficile fare distinzione) la narrazione rimane lucida. Forse stilisticamente ci sono delle parti (soprattutto nella prima parte narrata, dopo la sezione delle notizie) in cui le frasi sono troppo staccate le une dalle altre e perdono un poco in scorrevolezza.
    Molto bello anche il modo in cui tutti gli elementi introdotti nella prima parte del racconto, rientrano nella seconda.

    Forse l'unica cosa che non mi è piaciuta, forse l'unica che viene data al lettore senza spiegazione, è il finale. Il protagonista fa la sua scoperta interiore troppo in fretta, senza che ci sia stata alcuna preparazione prima e, dato che il protagonista fino a quel momento si è comportato da sconfitto o da fatalista, mi suona un poco innaturale. E' un cambio di rotta troppo repentino.

    Non so, forse sono un poco largo, perché alcuni passaggi si presentano comunque bene, anche se ho il sospetto che siano un poco a fare da "cortina fumogena", ma la struttura è precisa. Vado sul 4.

    Nota tecnica: devi uniformare i dialoghi; non puoi aprire con il trattino e chiudere con le virgolette (o con niente come in alcuni casi)... devi usare sempre la stessa modalità. Vista la punteggiatura che usi ti direi di usare le virgolette e basta (da qualche parte sul forum nella sezione il Mestiere dello scrittore ci sono le regole).

    VARIE
    - “Infinite Prevenction” - perché prevenction con la c?

    -"...su una sdraia sul balcone ..." - la sdraia è voluta?

    -"...ed ha preparato ..."; "..ad uscire ..."; " ad essere l’anello " - d eufonica da togliere
     
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  3. kiwi65a
     
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    I personaggi mi sono piaciuti, specialmente Max. La costruzione del racconto qua e là si imballa, forse troppi termini tecnici tutti assieme. Il finale è un po' scontato.
    Tre.
    Ciao
    Piero
     
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  4. Giurista81
     
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    CONSIDERAZIONI GENERALI

    Fai un uso di eccessivo di avverbi, potresti provare a contenerli allo stretto necessario. Occhio anche alla punteggiatura e ai periodi troppo lunghi; ecco qui di seguito un esempio:

    “ Ogni tanto, quando i nostri tempi di accidia si sincronizzavano, come in quel momento, mi offriva del crack cambogiano, nell’attesa che due ragazze di quelle, sempre puntuali nel loro ritardo, venissero a trovarci a domicilio per un’orgia tattica.” (peraltro la frase, così come è scritta, “non gira”).

    Al di là di queste segnalazioni, si nota una certa cura nella strutturazione di un soggetto di partenza e nella volontà di creare un racconto che sappia intrattenere lo spettatore appassionato al genere (sci-fi che io definisco di ultima generazione e che, personalmente, non amo anche per l’eccessivo utilizzo di termini “tecnici”; ma questo non deve influenzare il mio giudizio). Lo stile non è male, tuttavia secondo me puoi renderlo ancora più scorrevole utilizzando periodi brevi e una punteggiatura più curata.

    Beh, direi 3 per la storia e il potenziale (rivedi forma e punteggiatura).

    Giudizio: 3



    CONSIDERAZIONI SPECIFICHE

    Fai attenzione ai dialoghi: a volte non metti le lineette con cui devono esser aperti (ex: “ Puttane, disse Max, ridendo”) altre volte (correttamente) le metti, in altre circostanze infine non metti le lineette di chiusura (quando chiudi un dialogo senza andare a capo le devi mettere sempre).

    “ chiusa preventivamente un’altra “ L’avverbio lo puoi sostituire.

    “ ed ha preparato”. “d” eufonica. Ce ne sono altre che ho visto ti sono già state segnalate.

    “ sul di dietro di un camion”. Non sarebbe meglio “sul retro”
     
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  5. VdB
     
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    Il mio voto è tre.
    La storia mi ha coinvolto, dopo un inizio un po' difficoltoso, la narrazione è andata viai via in crescendo.
    SPOILER (click to view)
    Qualche difficoltà nei termini tecnici, ma ci può stare, qualche inciampo sui ritmi dettati dalla punteggiatura, oltre a "sbavature" nella costruzione dei periodi, difetti che possono essere corretti con un minimo di rilettura. Ti faccio un esempio:
    CITAZIONE
    Un altro che non un solo aereo civile era in volo da nessuna parte del mondo e che decine di quelli che erano rimasti in aria durante il collasso di Meganet si erano schiantati a terra in tentativi di atterraggi d’emergenza.

    Piccola nota a margine. Hai descritto un mondo che tra 50 anni mi sembra che non si sia modificato poi molto (A parte l'intasamento della "rete"), mi pare un limite, così come non ho ben compreso (ma sarà un mio difetto) il perchè del rastrellamento degli stranieri.
    Il tre comunque ci sta tutto.

    Ciao
     
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  6. tar-alima
     
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    Ciao.
    Se devo definire il racconto in una parola: frustrante.
    Frustrante leggere un brano che senti scritto bene, e incisivo, e non capire una minchia.
    Bè, sono arrivata alla fine con fatica, incerta se sentirmi un marziano o pensare che lo sei tu.
    Ok, non posso votare, perché mi è impossibile non considerare un difetto macroscopico questa sovrabbondanza di termini tecnici che sono una barriera totale per un non-adepto. Eppure, qualcuno capirà, nel mondo.
    Ti faccio notare alcuni elementi che sono emersi nella mia semincoscienza.
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Qual era questo ricordo?

    Non mi sembra una bella frase. Tutto lì.
    CITAZIONE
    Io ero lì in auto esilio

    Autoesilio, a meno che non sia un gioco di parole sull'uso dell'auto.
    CITAZIONE
    complotti massonici o di mafie di alcun genere

    Il "di" sfalsa il ritmo, forse è meglio "massonici o mafiosi di alcun genere".
    CITAZIONE
    arrivata al limite della soglia della singolarità tecnologica

    Limite e soglia sono termini troppo simili per usarli insieme, secondo me, e anche della-della non ha un bel suono.
    CITAZIONE
    Lui fissò il sole allo zenit, quasi cercasse di ricavare direttamente dall’astro la risposta.
    quasi fosse una medicina per lenire qualunque tristezza

    Questi due "quasi" sono un po' troppo ravvicinati.
    CITAZIONE
    Erano diventati prede. Eravamo diventi prede.

    Refuso su "diventi".
    CITAZIONE
    e il ghiaccio scioltosi dal frigorifero aveva tracimato e allagato tutto il pavimento

    Scioltosi nel frigorifero era tracimato e aveva allagato?

    Bravo, comunque.
    Sorry per il non-voto, spero di essere stata utile comunque. Ah, grazie per avermi fatta sentire una vecchia palandrana. :angry:
     
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  7. post-apo
     
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    ciao

    ho trovato l'inizio del racconto macchinoso, ma poi la lettura si è fatta sempre più coinvolgente e fluida. All'inizio usi troppi termini tecnici, disorienti un po', e, come già ti hanno fatto notare, ci sono dei periodi che sono interminabili. In definitiva è un buon racconto, nonostante non sia un patito del genere mi ha preso.
    voto 3
     
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  8. rolandking
     
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    Un racconto parecchio impegnativo.
    Pecca di qualche momento di stallo in cui è facile perdersi, ma allo stesso tempo ho trovato i personaggi ben definiti e "tridimensionali". Uno tra i racconti che secondo me può arrivare primo questo mese ;)
    Voto 4
     
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7 replies since 9/11/2008, 21:38   206 views
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