Identità (Alessandro Canella)
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Identità (Alessandro Canella)

Urban Fantasy, 39k battute ca.

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  1. Okamis
     
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    Rieccomi. Dopo la pausa dicembrina ho deciso di mettermi sotto. Da questo mese in poi ho intenzione di partecipare a tutte le prossime edizioni dell'USAM (o almeno ci proverò ^_^). Vista la nuova regola riguardante la "parola bonus", ho deciso di lasciare per il prossimo mese il racconto preparato in origine, visto che in quello qui presentato era più semplice introdurre la famosa caffettiera gialla. Come sempre, buona lettura :)

    Identità



    Cinque secondi prima che la sveglia suonasse, Niyàd aprì gli occhi.
    I led sullo schermo fecero appena in tempo ad illuminarsi prima che la ragazza allungasse istintivamente la mano sul tasto di spegnimento. Come tutte le mattine, scese dal letto, accese l’interruttore della luce e si avvicinò all’ampio specchio fissato sulla parete opposta per salutare la sua immagine riflessa.
    Con gesti lenti e misurati, quasi rituali, slacciò il nodo che teneva legata la vestaglia, lasciando che il tessuto scivolasse lungo la schiena per raccogliersi sui piedi. La ragazza ammirò il suo corpo nudo. Con la punta delle dita scese attraverso la sottile linea tra i seni, girò attorno all’ombelico, per poi risalire all’altezza del volto. Si accarezzò le labbra sottili, il naso minuto che suo padre si divertiva a rubare quando lei era ancora piccola, gli zigomi pronunciati, sino a sfiorare l’attaccatura dei capelli. Fece per tirarseli indietro, ma qualcuno bussò alla porta della sua camera.
    «È ora.» disse sua madre dall’altra parte.
    Niyàd rispose di rimando, ma indugiò davanti allo specchio ancora per qualche minuto, immobile a fissare il suo doppio. Soltanto quando sentì i suoi genitori portare le valige in corridoio, corse a vestirsi e li raggiunse.

    Vista dall’esterno, la clinica Raznov pareva nulla più che un vecchio palazzaccio prossimo alla demolizione. Sottili crepe attraversavano la facciata, ricoperta da graffiti dai colori resi spenti dall’inquinamento, almeno laddove i sacchi della spazzatura non si arrampicavano fino alle finestre del primo piano. Eppure, a dispetto dell’apparenza, la clinica Raznov era di uno dei centri medici migliori di tutta Sanctuary. Ufficialmente era l’unico Ospedale di Cooperazione Sociale del quartiere centododici, meta di sbandati e drogati che non si potevano permettere il ricovero nelle strutture pubbliche regolate dall’Unico Partito. In realtà, a fianco dell’attività medica di base, la clinica offriva anche altri servizi.
    Oltrepassato l’ingresso, i signori Namlhu s’indirizzarono verso il banco d’accettazione posto al centro dell’atrio per compilare i moduli di registrazione. Dopo alcuni minuti di monotona attesa, Niyàd si alzò dalla sedia su cui sua madre le aveva ordinato di aspettarli e andò a osservare da vicino una serie di quadri appesi lungo uno dei corridoi laterali. Raffiguravano per lo più modelli del corpo umano o sezioni di esso. Un’immagine la colpì in particolare. Si trattava di un disegno a china diviso in due parti: a sinistra era presente lo scheletro di una figura tozza e di bassa statura, mentre a destra si trovava un altro scheletro, simile al primo ma più allungato e con le ossa colorate di grigio nelle parti terminali.
    «Scommetto che ti stai chiedendo di cosa si tratta.» disse una voce alle spalle di Niyàd.
    La ragazza si girò e vide un dottore di mezza età con un minuscolo paio di occhiali in equilibrio precario sulla punta del naso.
    L’uomo avanzò di un paio di passi e indicò la prima metà del disegno. «Quello lì è lo scheletro di un nano; mentre quello al suo fianco è lo stesso scheletro modificato perché assuma le sembianze della struttura umana. Vedi quelle sezioni in grigio? Si tratta di placche di una particolare lega metallica fuse con le ossa originarie. Per prima cosa si fa in modo di spezzare proprio le ossa – qui e qui, ad esempio – dopo di che le si ricongiunge con bulloni e giunture artificiali. La maggiore difficoltà la si ha con la colonna vertebrale e le costole. Lo sapevi che i nani hanno ben dodici ossa in meno rispetto agli umani nella zona del tronco superiore?»
    Niyàd scosse la testa.
    «Una bella seccatura.» mormorò il dottore. «Ma mai quanto il dover riallacciare tutte le terminazioni nervose.»
    «Fa male?» domandò Niyàd.
    «Male? Oh, no. Il paziente viene sempre sedato prima dell’operazione.»
    «E quando si sveglia trova il suo nuovo corpo pronto per l’uso.» concluse la voce del padre di Niyàd. «Dico bene, Leopold?»
    «Dici perfettamente.» rispose il medico, andando a stringere la mano dell’altro. «Lagos, quale piacere rivederti.»
    «Il piacere è tutto mio. Suppongo ti ricordi ancora di mia moglie.»
    «E come potrei scordami di lei?» ribatté il medico, assumendo un’aria di finta offesa. «Hairin, splendida come l’ultima volta che ti ho vista. Ma in fondo sarei più sorpreso del contrario.»
    «A quanto pare hai già fatto la conoscenza di nostra figlia.» disse la madre di Niyàd, lanciandole un’occhiataccia. «Spero solo non ti abbia importunato con le sue solite domande.»
    Il dottore piegò le labbra in un largo e sincero sorriso e si sistemò meglio gli occhiali. «Importunarmi? Al contrario. Sono stato io ad avvicinarla per primo. Sapete come sono fatto: non riesco a resistere all’opportunità di nutrire il mio immenso ego. Ma prego, seguitemi. Discuteremo meglio nel mio ufficio.»
    Leopold, ovvero il dottor Raznov in persona, accompagnò i due genitori e la loro giovane figlia nel suo studio e li fece accomodare su un divanetto in pelle, mentre lui si sistemò su una delle sedie poste davanti alla scrivania.
    «Dunque, se non ho capito male siete qui per Niyàd.»
    «Esatto.» rispose Lagos, sul cui volto era sparita ogni parvenza di buon’umore.
    «E avete già un’idea sul tipo di operazione da effettuare su di lei?»
    «Suppongo tu possa immaginarlo.»
    «Certo che posso. Tuttavia mi stupisce che sia proprio tu a chiedermelo. L’ultima volta che ci eravamo visti avevi definito la mia attività – che parole usasti? ah, sì – la definisti “mascherare i porci per un ballo di corte”.»
    «Allora non avevo una figlia, però. Leopold, mi rendo conto del favore che ti sto chiedendo, soprattutto considerando il modo infame con cui ti dissi addio, ma ti prego di capire: sai bene che per tutto il corso della nostra vita Hairin ed io siamo dovuti fuggire, braccati come criminali della peggior specie, cambiando non so quante volte identità, lavoro, amicizie. Non è questa l’esistenza che vogliamo per nostra figlia.»
    Il dottor Raznov giunse le mani dietro il collo. «Voglio essere sincero con voi, e quanto vi dirò non sarà per giocare sul prezzo. Vedete, una semplice operazione di chirurgia estetica, per quanto accurata, difficilmente sarà in grado di proteggere per sempre Niyàd. Forse a un posto di controllo stradale riuscirà a farla franca, ma il giorno in cui si dovesse imbattere in una retata – e quel giorno prima o poi arriva per tutti – beh, allora non ci sarà faccia o documento capace di salvarla. Basterà un’analisi del DNA per rendersi conto che non è umana. Per farla breve, un trattamento estetico da solo non basta. Se davvero volete darle serie possibilità di sopravvivenza, allora dovremo agire più in profondità. Parlo di trapianto d’organi, cure ormonali, impianti epidermici, riscrittura del codice genetico e altro ancora.» Il dottor Raznov s’interruppe, spostando lo sguardo sulla ragazza seduta di fronte a lui. «Ma soprattutto devo sapere se tu, Niyàd, vuoi davvero tutto ciò.»
    La giovane alzò gli occhi verso il primario. «Potrò ancora vedere i miei genitori?»
    «Non potrai più vivere assieme a loro, se è questo che vuoi sapere.» rispose Raznov senza troppi giri di parole. «Già entro questa sera disporrai di una nuova identità provvisoria. Per nostra fortuna, disponiamo di parecchi collaboratori capaci di armeggiare con i registri governativi, così da essere tutelati nel caso di controlli a sorpresa degli agenti del governo, sebbene si tratti di un’evenienza remota visto che rientriamo nella loro lista dei “bravi ragazzi”.»
    «Intendi dire che lavorate per la Loggia?» domandò sorpreso il padre di Niyàd.
    «Diciamo che la riforniamo degli strumenti con i quali condurre le sue indagini.» rispose imperturbabile il dottor Raznov, quasi che quella risposta fosse ovvia. «Dopotutto, quale modo migliore per sfuggire alla Loggia, se non nasconderci al suo interno?»
    A quelle parole Lagos volse lo sguardo da un’altra parte. Fu soltanto il pensiero della ragione per cui si trovava lì a trattenerlo dall’alzarsi e colpire Leopold in pieno volto.
    «Tornando al nostro discorso, finito il periodo di convalescenza ti trasferiremo in un orfanotrofio gestito dalla mia società. Vi trascorrerai alcuni mesi durante i quali non potrai rivedere nessun parente o amico, almeno fino a quando non verrai trasferita in una famiglia adottiva. Durante gli anni che seguiranno faremo in modo che tu possa mantenere i contatti con i tuoi genitori biologici, ma difficilmente potrai trascorre con loro più di un paio di giorni ogni cinque o sei mesi.»
    A quelle parole Niyàd si sentì mancare il respiro.
    Sua madre le accarezzò la nuca e la baciò sulla fronte. «Se questa è l’unica via, allora faremo come dici, Leopold.»
    «E tu, Niyàd? Anche tu ne sei convinta?» domandò Raznov.
    La ragazza prese per mano i suoi genitori. Nelle ultime settimane avevano discusso più volte, anche animatamente, riguardo quella scelta, e alla fine era stata lei a cedere. Ora però tutto era tremendamente concreto. Niyàd alzò leggermente la testa e, dopo una prima esitazione, fece segno di sì, non trovando il coraggio di parlare.
    «Bene. Allora farò in modo di prenotare la sala operatoria per domani mattina, così da cominciare con le operazioni di contorno. Ora, Niyàd, ho bisogno che ti alzi in piedi.»
    Ma la ragazza rimase immobile, come in stato catatonico, tanto che Raznov fu costretto a prenderla per le spalle e tirarla verso di sé. Da una tasca del suo camice tirò fuori un pennarello rosso con il quale cominciò a tracciare delle righe sul volto di Niyàd. «Innanzitutto ci occuperemo della zona del cranio. La prima area che andremo ad operare sarà quella degli zigomi, da rendere meno marcati. Discorso analogo per l’arcata sopraciliare, da piegare verso il basso. In un secondo tempo, poi, effettueremo degli impianti piliferi per ridisegnare la linea delle sopracciglia, rendendole anche più folte. Infine la parte difficile.» Il medico ripose il pennarello nella tasca e tirò indietro i capelli di Niyàd, così da poter studiare meglio le due orecchie a punta della ragazza. «La ricostruzione del padiglione non è un’operazione semplice. Un difetto anche marginale può compromettere in maniera più o meno marcata l’udito del paziente. Non ci saranno problemi invece per lo strato epidermico. Basterà asportare una porzione di pelle dal retro coscia e impiantarlo sulla nuova cartilagine. Bene, credo sia tutto. Avviso immediatamente di preparare la sala operatoria per domani.»
    Mentre Raznov parlava al telefono, Niyàd guardò il riflesso della sua faccia sul vetro delle finestre. I suoi lineamenti erano sbiaditi; soltanto i segni rossi tracciati dal medico risaltavano in maniera netta, come profonde ferite. Quella che stava guardando non era più la Niyàd di quella mattina. Quella ragazza era morta nel momento stesso in cui aveva messo piede all’interno della clinica. Ora, davanti a lei, c’era un’altra persona, e non sapeva se sarebbe riuscita a farsela piacere.

    L’indomani Niyàd fu portata in sala operatoria per la prima serie di operazioni chirurgiche a cui si sarebbe dovuta sottoporre. Aveva trascorso la notte in ospedale, in quella che per i mesi successivi sarebbe divenuta la sua stanza. Fu il dottor Raznov in persona a venirla a prendere, spingendo una sedia a rotelle. La ragazza cercò di opporsi, sostenendo di voler camminare con le sue gambe, ma il primario fu inamovibile. Giunta nella sala operatoria fu fatta distendere su di un lettino posizionato sotto un enorme riflettore e sei lampade, mentre un’infermiera le collegava una serie di elettrodi sulle braccia e il petto.
    «Niyàd, voglio presentarti una persona.» disse Raznov con lo stesso sorriso gentile del giorno prima. Al suo fianco si trovava una donna dagli occhi di un verde tanto intenso da ricordare alla ragazza quelli di sua madre. «Questa è la dottoressa Eve Kaspian. Sarà lei a occuparsi principalmente di te; e posso assicurarti che non potresti trovarti in mani migliori.»
    «Ciao Niyàd.» disse la Kaspian, appoggiando una mascherina sul volto della ragazza. «Ora voglio che conti all’indietro a partire da cento. D’accordo?»
    Niyàd annuì, ma prima ancora di aprire la bocca cadde in un sonno profondo.

    Quando Niyàd recuperò i sensi, fu come trovarsi in mezzo alla nebbia. Gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco quanto la circondava, provocandole un senso di vertigine. Tutt’attorno si sentiva soltanto un incessante ronzio accompagnato da un ticchettio metallico, ma i suoni giungevano ovattati, come se dovessero percorrere chissà quale distanza prima di raggiungere le orecchie.
    «Noto con piacere che sei già sveglia.» disse una voce familiare.
    Un’ombra ondeggiò sul bordo del letto, assumendo pian piano contorni più precisi.
    «Come ti senti?» domandò la dottoressa Kaspian mentre controllava i riflessi della paziente.
    Niyàd aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma dalla gola giunsero solo suoni disarticolati e incomprensibili. Si sentiva le labbra gonfie e la bocca impastata.
    «Non ti preoccupare.» riprese la Kaspian. «È soltanto l’effetto dell’anestesia. Entro poche ore sarà passato.»
    «Co-cos’è?»
    Niyàd indicò una flebo collegata al braccio destro.
    «Un ricostituente.» rispose la Kaspian «Un composto di proteine ed enzimi sintetizzati nei nostri laboratori. Permette un più veloce recupero del paziente, oltre che adattarne l’organismo alle successive fasi dell’alterazione. Purtroppo non possiamo permetterci di aspettare i normali tempi di recupero del tuo corpo e così siamo obbligati ad agire chimicamente.» La donna si sedette sul bordo del letto e passò una mano tra i capelli della ragazza. «Non ti preoccupare. Andrà tutto per il meglio.»
    Quel semplice contatto fece venire a Niyàd nostalgia di sua madre, delle sue carezze, dei suoi baci. Avrebbe voluto sentirla vicina in quel momento, pronta a stringerla fra le braccia, anche se sapeva che il regolamento dell’ospedale lo impediva.
    Forse intuendone i sentimenti, la Kaspian decise di rimanere vicino alla ragazza ancora per alcuni minuti, fino a che questa non si addormentò di nuovo. Solo allora si alzò, lasciandola sola a sprofondare tra le nebbie.

    Quella non fu tuttavia la sua unica visita. Almeno tre o quattro volte al giorno la Kaspian passava a trovare Niyàd e a volte rimaneva a farle compagnia anche oltre il suo orario di lavoro, nel tentativo di distrarla dalla monotonia della vita in ospedale. Ogni due giorni, poi, le cambiava le bende per controllare che la cicatrizzazione stesse procedendo in maniera corretta. In quelle occasioni Niyàd teneva sempre gli occhi chiusi. Quando infine trovò le forze per alzarsi dal letto, per prima cosa chiese che fosse tolto lo specchio nel bagno. L’immagine del suo volto fasciato la metteva a disagio. Era come una maschera; una maschera dietro la quale si nascondeva una persona con la quale non voleva avere nulla a che fare.
    Infine giunse il momento di togliere in maniera definitiva le bende dal volto di Niyàd.
    «Prima o poi ti dovrai guardare.» disse la Kaspian con voce insolitamente dura, nel vedere che Niyàd si ostinava a non voler aprire gli occhi.
    Ma la ragazza non sembrò reagire a quelle parole.
    «Come preferisci.» La donna si alzò in piedi e lanciò qualcosa sul letto prima di andarsene.
    Quando nella camera ci fu soltanto il silenzio a farle compagnia, Niyàd dischiuse gli occhi e vide un piccolo specchio adagiato sulle lenzuola. Rimase ferma a studiarlo per alcuni minuti. Poi, con mani tramanti, lo afferrò e indirizzò la superficie riflettente verso di sé; ma quando il contorno del suo viso cominciò a prendere forma, scaraventò lo specchio contro il muro, frantumandolo in mille pezzi.

    Le settimane che seguirono furono per Niyàd le peggiori della sua vita. Tutti i giorni le venivano somministrate almeno tre flebo, oltre a un numero imprecisato d’iniezioni, tanto che in breve tempo braccia e gambe divennero dei puntaspilli. Il dottor Raznov, che dopo il giorno dell’operazione non si era più fatto vedere, aveva infatti dato disposizione di accelerare i tempi con la cura ormonale, così da poter passare al più presto con il trapianto d’organi.
    Intanto la dottoressa Kaspian continuava a ripetere che il corpo stava reagendo alle cure come previsto. L’unica a non esserne convinta era proprio Niyàd. Non passava giornata in cui non vomitasse il pranzo o la cena, per non parlare dei brividi lungo tutto il corpo e delle fitte che tutte le notti la piegavano in due per il dolore.
    La situazione peggiorò ulteriormente quando fu sottoposta ai primi trattamenti con le radiazioni Iodar. La febbre divenne una compagna tanto fedele da impedirle di dormire; e cominciò pure a perdere i capelli. Ma era tutto regolare per i dottori. “Nulla più che la normale evoluzione del processo” ripetevano in continuazione, forse più per convincere se stessi che Niyàd.
    Arrivò il turno dei trapianti. Il lato positivo di quel periodo fu la sospensione dei trattamenti ormonali e radioattivi. Il problema fu il rigetto. Il corpo di Niyàd non sembrava voler accogliere i nuovi organi, nonostante tutte le precedenti terapie e le mutazioni attuate al suo codice genetico. Furono necessari addirittura tre trapianti di fegato prima di trovare un organo perfettamente compatibile.
    Il giorno dopo l’ultima operazione, Niyàd sentì il dottor Raznov e la Kaspian discutere a bassa voce nella sua camera, convinti che lei stesse dormendo.
    «Ormai abbiamo fatto tutto quanto era nelle nostre possibilità.» disse la Kaspian, controllando i valori ematocriti della ragazza.
    «A questo punto spetta solo a lei scegliere.» confermò Raznov.
    Ma ancora una volta, a Niyàd non fu concesso quel privilegio.

    Il triplice bip della macchinetta del caffè annunciò a Eve che il suo espresso era pronto. La dottoressa prese il bicchierino di plastica e andò a sistemare una cartelletta nel registro giornaliero situato dietro il banco informazioni del secondo piano.
    «Un’altra notte di duro lavoro?» domandò Cyd, la guardia notturna.
    «Purtroppo sì.» rispose Eve, stiracchiandosi. «Ho alcune scartoffie da sbrigare. Te invece? Come procede lo scontro?»
    «Giudica te.» rispose Cyd, girando lo schermo del computer, sul quale si stava giocando un’accesa partita a scacchi. «Ormai è fatta. Matto in tre mosse.»
    «Ancora tre? Scommetto che io ci riuscirei in due.» scherzò Eve.
    In quel momento il suo cellulare vibrò.
    «Kaspian... Walt, che sorpresa. Come mai... Cosa?… Ne sei sicuro?… Merda!» Eve chiuse la telefonata e si girò verso Cyd. «Retata in arrivo! C’è stata una soffiata. Fai partire subito il segnale e avverti Raznov. Entro pochi minuti una squadra d’Inquisitori sarà qui!»
    Senza farselo ripetere due volte, Cyd fece scattare l’allarme antincendio. Non ci fu bisogno d’altro. Tutti i medici e gl’infermieri di servizio corsero a recuperare le cartelle dei pazienti più compromettenti per poi bruciarle, mentre gli uomini della sicurezza si occupavano dei dati sul server.
    Nel frattempo Eve corse nella stanza di Niyàd. La ragazza si stava già alzando. «Che succede?»
    «Non abbiamo molto tempo. Vestiti e usciamo. La Loggia sa di te e ha mandato gl’Inquisitori a prenderti.»
    Nel sentire ciò Niyàd s’immobilizzò per il terrore, tanto che Eve fu costretta a vestirla a forza. Senza troppi riguardi, l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza. Scesero al piano terra, sino ai distributori di bibite. Eve inserì la sua chiavetta elettronica nell’unico distributore fuori servizio, digitando subito dopo un codice a otto cifre sulla tastiera. La sportello si aprì, svelando un passaggio segreto. La dottoressa Kaspian artigliò Niyàd e la spinse all’interno. Si ritrovarono in uno stretto passaggio seguito ai lati da spessi tubi metallici da cui fuoriusciva un vapore denso e dal marcato odore d’olio bruciato. Appesa a una delle pareti si trovava una torcia, subito afferrata dalla Kaspian e accesa.
    Muovendosi quanto più veloce possibile, considerando gli spazi ridotti, Eve fece strada attraverso un dedalo di condotti di servizio. Dietro di lei, Niyàd arrancava trascinando i piedi. Le cure di quei mesi avevano debilitato il suo corpo e di certo il tanfo asfissiante che regnava in quel luogo, sommato al calore emanato dalle tubature, non aiutava. Era ormai sul punto di svenire, quando Eve attivò una leva, aprendo uno squarcio nel muro attraverso cui si accedeva a un parcheggio sotterraneo.
    «Da questa parte.» fece la dottoressa Kaspian, mentre apriva le portiere di un’auto poco distante.
    Ancora confusa da quanto stava accadendo, Niyàd salì in macchina. Eve non aspettò nemmeno che la ragazza si fosse allacciata la cintura di sicurezza: accese il motore e partì in direzione dell’uscita. Qui però rallentò l’andatura dell’auto, giusto in tempo perché davanti a lei sfrecciassero tre camionette blindate con il simbolo di una bilancia che reggeva un libro e un pugnale sulla fiancata.
    Inquisitori.
    “È finita” fu il solo pensiero di Niyàd.
    Invece le tre camionette proseguirono nella loro direzione, ignorando completamente la vettura in uscita dal parcheggio. Eve attese ancora qualche secondo prima d’immettersi sulla strada e prendere il senso di marcia contrario. Solo allora Niyàd si rese conto che il parcheggio da cui erano uscite non era quello della clinica.
    «Apri il cruscotto.» La voce della dottoressa Kaspian riportò l’attenzione di Niyàd su di lei.
    La ragazza fece come le era stato detto. All’interno si trovavano un paio di guanti e un sacchetto contenente decine di tessere magnetiche.
    «Mettiti i guanti e cerca nel sacchetto due documenti con le nostre facce. Poi butta fuori dal finestrino tutto il resto.»
    Questa volta però Niyàd rimase immobile.
    «Beh, che ti prende?»
    «Quali sono i nomi?» domandò la ragazza, quasi bisbigliando.
    «Cosa?»
    «I nomi sulle tessere; quali sono i nomi che devo cercare?»
    La Kaspian rimase per un attimo con la bocca aperta, senza capire cosa intendesse dire in realtà Niyàd. Poi comprese.
    Fermò la macchina e strappò dalle mani della giovane i guanti, cercando al suo posto i due documenti.
    «Più avanti troveremo di sicuro un posto di blocco.» continuò Eve con voce severa, una volta gettate via le rimanenti tessere. «Speriamo solo che per quel momento gl’Inquisitori non siano già riusciti a recuperare i nostri dati dal server.»
    Come previsto, dopo poche centinaia di metri l’auto fu costretta a fermarsi di nuovo. Una lunga colonna di vetture stava venendo passata al setaccio dalle forze dell’ordine.
    «Spegnete il motore e mostrate i documenti.» ordinò un poliziotto, quando fu il turno dell’auto su cui viaggiavano le due donne.
    Con calma quasi innaturale, Eve passò all’agente le due tessere fasulle. Il poliziotto si allontanò di qualche metro e comunicò via radio i codici d’identificazione sulle carte. Da dove si trovavano, Eve e Niyàd non potevano vedere l’espressione sul suo volto e tanto meno sentire la risposta che sarebbe giunta dal comando.
    «Stai calma.» sussurrò Eve, prendendo per mano Niyàd per tranquillizzarla.
    Il poliziotto ripeté ancora una volta i codici e lanciò un’occhiata in direzione dell’auto. La descrisse. Passò una trentina d’interminabili secondi prima che dalla centrale giungesse il gracchiare di una risposta. L’agente spense la radio e la fissò alla cintura. Con una mano a reggere le tessere e l’altra appoggiata sulla fondina della pistola, fece ritorno all’auto.
    «Potete andare.» disse porgendo i documenti a Eve e facendo segno alla vettura successiva di procedere.
    La macchina fu riavviata e lentamente si allontanò, lasciando che l’oscurità la inghiottisse.

    Per tutta la notte Eve guidò senza sosta. Voleva allontanarsi il più possibile dalla clinica e raggiungere l’unico rifugio sicuro che conosceva. Seduta al suo fianco, Niyàd fissava la strada in silenzio, le gambe raccolte sul petto e il mento appoggiato sulle ginocchia. Soltanto quando l’indistinta palla del sole fece capolino attraverso lo strato di smog, Eve decise di fare una sosta.
    Si fermarono a una tavola calda semivuota. Eve ordinò per entrambe succo di frutta e uova con prosciutto. Quando pochi minuti più tardi la cameriera portò le ordinazioni, Niyàd si scoprì molto affamata, ma al primo boccone le tornò la solita nausea.
    «Prendi.» disse la Kaspian, allungandole una pillola. «Ora che non possiamo più contare sulle apparecchiature dell’ospedale, dovrai adattarti a medicine più comuni.»
    «Dubito che possa essere peggio delle radiazioni Iodar.» ribatté Niyàd, buttando giù la pillola con un sorso di succo. La ragazza meditò sulle uova per un po’ prima di riprendere a parlare. «Come facevate a sapere dell’arrivo degli Inquisitori?»
    «Abbiamo anche noi i nostri informatori all’interno dell’Unico Partito.» si limitò a rispondere Eve.
    «Sì, ma qui parliamo della polizia segreta della Loggia.»
    «E con ciò? La loggia è formata da uomini, e come tale non è immune a infiltrazioni di alcun tipo.»
    «Proprio come accaduto alla clinica.» fece notare Niyàd.
    «Già, proprio come accaduto alla clinica.» ripeté seccata Eve, lasciando cadere la forchetta sul piatto per accendersi una sigaretta.
    Passarono altri secondi prima che Niyàd riprendesse a parlare.
    «Perché mi hai portata in salvo?»
    «I tuoi genitori sono clienti della società per cui lavoro.» fece notare Eve, aggrottando la fronte.
    «Dubito che l’attuale situazione ti permetta di considerarmi ancora come una fonte di guadagno.»
    Questa volta Eve non seppe cosa rispondere. Continuò invece a fumare come se non avesse nemmeno sentito le parole della ragazza seduta di fronte a lei.
    «Che cos’eri prima?»
    A sentire quella domanda, per poco Eve non si lasciò sfuggire il filtro tra le dita. La donna alzò gli occhi verso Niyàd e, tamburellando con le punte dei denti, spense la sigaretta sullo stesso piatto su cui aveva mangiato fino a pochi istanti prima. «Il dottor Raznov ha fatto molto per me. E per quanto ne so i tuoi genitori hanno fatto molto per lui. Questo è il mio modo per sdebitarmi. E ora finisci di mangiare. Abbiamo ancora molta strada da percorrere.»

    ~


    Per i successivi due giorni Eve e Niyàd non si scambiarono quasi una sola parola. Uno strano imbarazzo le separava. Era come se entrambe si cercassero, ma allo stesso tempo avessero paura di quanto potessero trovare l’una nell’altra.
    Intanto l’asfalto si srotolava sotto le ruote dell’auto, portandole sempre più lontane dal settore centododici. Dentro di sé, Niyàd si domandava quale potesse essere la loro meta, ma non osava chiederlo. In fondo, qualunque destinazione sarebbe stata indifferente. Ormai tutto ciò per cui valeva la pena vivere era stato lasciato alle spalle: i suoi genitori, la sua casa, la sua identità. Nemmeno il pensiero di poter essere catturata dagli Inquisitori la spaventava più. In fondo come si poteva uccidere una persona in verità già morta? E poi che cosa avrebbe mai potuto fare la Kaspian per lei? Trovarle un altro nome con cui passare indenne al posto di blocco successivo? E per quello dopo ancora? Non era stato proprio per sfuggire a quel tipo di vita che i suoi genitori l’avevano portata alla clinica? No, non avrebbe avuto paura il giorno in cui l’avrebbero catturata, perché quella sarebbe stata la dimostrazione che qualcosa di lei ancora viveva, che non era soltanto un ammasso di carne e nervi modellato come argilla o un nome fasullo su di una tessera magnetica.
    Al quarto giorno di fuga, Eve entrò in un quartiere popolare; di quale settore non aveva importanza: a Sanctuary le baracche hanno tutte lo stesso nome. L’auto si fermò davanti a un vecchio condominio.
    «Siamo arrivati.» fece Eve, scendendo dalla vettura.
    Niyàd la seguì all’interno del palazzo, abitato da rifiuti della società in cerca di un angolo dove morire. All’ultimo piano Eve recuperò un mazzo di chiavi dalle tasche dei pantaloni e aprì uno degli appartamenti. All’interno l’aria era stantia e pregna di un forte odore di muffa.
    «Rimarremo qui giusto il tempo di riorganizzarci.» disse Eve, mentre andava ad aprire le finestre. «Ho alcuni contatti in questo settore. Mi auguro solo che le vecchie amicizie abbiano ancora un valore da queste parti.»
    Niyàd si mise a gironzolare per l’appartamento. Le mensole della cucina erano ricolme di cibo in scatola e tenute insieme con il nastro adesivo. La ragazza passò un dito sul tavolo impolverato, disegnando un cerchio.
    Le mani di Eve si posarono sulle sue spalle. « Farò il possibile per risolvere questa situazione, te lo prometto.»

    Per quasi tre settimane Niyàd non uscì dall’appartamento. Trascorreva le giornate distesa sul letto, in silenzio, fantasticando sul momento in cui la Loggia sarebbe riuscita a trovarle. Al contrario, Eve usciva di casa la mattina presto per tornarvi soltanto la sera, tanto che difficilmente le due riuscivano a condividere momenti che non fossero la colazione o la cena. E anche in quelle fugaci occasioni gli argomenti di cui discutere latitavano. Eve ripeteva in continuazione di stare riallacciando i rapporti con i vecchi contatti, ma che ci voleva ancora un po’ di tempo, che era difficile fidarsi di qualcuno non più visto e sentito da anni.
    Niyàd ascoltava quelle inutili spiegazioni con aria annoiata, tanto che in un’occasione la Kaspian s’irritò a tal punto della sua indifferenza da schiaffeggiarla in pieno volto. Ma non una sola lacrima scese sul volto della giovane. Dopotutto, i morti non possono piangere.
    Anche in seguito a quel gesto, le giornate proseguirono uguali; fino a una notte.
    Niyàd si svegliò di colpo, messa in allarme da qualcosa. Il suono di un accento sconosciuto giunse dalla stanza di fianco. A passi leggeri la giovane si avvicinò alla porta, spingendola di quel tanto necessario per poter vedere a chi appartenesse la voce, ma tutto ciò che riuscì a scorgere furono le spalle della Kaspian.
    «Non capiranno, e questo lo sai anche tu, Mona.» disse lo sconosciuto.
    «Correrò questo rischio.»
    «Come fai a dire ciò? Ormai tu per loro sei una traditrice. Hai voltato le spalle alla causa per seguire le farneticazioni di quel folle – come si chiama? – quel Raznov.»
    «Io sarei la traditrice? » sibilò la Kaspian «Ti devo forse ricordare in che condizioni mi abbandonaste? Nulla più che un ammasso di carne e ossa bruciate. Se non fosse stato per Leopold…»
    «Se non fosse stato per Leopold, cosa? Maledizione, quell’uomo lavora per il governo! Quanti di noi sono stati giustiziati a causa delle tecnologie da lui stesso finanziate?»
    «A volte bisogna scendere a compromessi, e questo lo sai anche tu. Non credere che sia stato piacevole per me lavorare fianco a fianco con gli uomini della Loggia, mentre magari nella sala adiacente i miei colleghi ricostruivano il corpo di un nostro compagno.» Per alcuni secondi nessuno disse più niente. Alla fine fu di nuovo Eve a parlare. «Se non mi vuoi aiutare, Oman, ti capisco. Ti chiedo solo di meditare sul legame che un tempo ci univa.»
    Niyàd sentì il rumore di una sedia che veniva spostata, per poi scorgere un foglietto tirato in faccia alla Kaspian. Un altro suono: l’ingresso della casa che si apre.
    «Spero tu non lo stia facendo per quella ragazza.»
    La porta si chiuse in un tonfo e tornò il silenzio.
    «Puoi uscire.» Eve girò la testa in direzione di Niyàd. «Smettila di fare finta di dormire e vieni qua.»
    Ormai scoperta, Niyàd uscì dalla sua camera, paonazza in viso per la vergogna, e si andò a sedere al lato opposto del tavolo. «Chi era quell’uomo?»
    «Un tempo un amico; ora non so.» rispose Eve dopo essersi accesa una sigaretta. «Ora ascoltami: domani dovrò partire per incontrare una persona. Starò via per alcuni giorni. Tu però mi devi promettere che durante la mia assenza non ti muoverai mai di qui. Giuralo!»
    Niyàd annuì. «D’accordo, Mona.»
    La Kaspian ebbe un sussulto nel sentire di nuovo quel nome. Poi sorrise. «Grazie.»

    Quando il giorno dopo Niyàd si svegliò, la casa era deserta. Eve, o Mona, o chiunque fosse davvero la dottoressa Kaspian, non aveva lasciato nessun biglietto. Persino il suo odore sembrava aver abbandonato l’appartamento.
    Ancora una volta, le giornate tornarono ad essere tutte identiche, tutte inutili. Poi le giornate cominciarono a diventare settimane, e allora una strana sensazione cominciò a crescere dentro Niyàd. Sino a quel momento aveva pensato che l’unico momento in cui si sarebbe di nuovo sentita viva sarebbe stato quando la Loggia l’avesse rintracciata. Ma non era vero. Era sempre stata Eve a ricordarle ostinatamente chi lei davvero fosse. E ora che lei non era più al suo fianco, si sentiva smarrita. Guardando fuori dalle finestre, Niyàd poteva vedere un’intera città cosciente di se stessa, delle persone che l’abitavano. Solo lei non ne faceva parte. Era una sensazione orribile, peggiore persino dell’idea di non esistere più.
    Alla fine prese una decisione. Si mise le scarpe e scese per strada.
    Era giornata di mercato e le vie erano gremite. Bancarelle di ogni sorta seguivano i marciapiedi, ognuna offrendo prodotti miracolosi. Ma ad attirare Niyàd fu un gruppo di persone radunate attorno a un giovane militante dell’Unico Partito che, in piedi su un cassonetto della spazzatura, gridava il suo odio verso ogni tipo di diversità, madre, a suo dire, delle tensioni interne e della povertà.
    «Quanti altri nostri figli e fratelli dovremo veder morire per mano di questi nemici del bene comune? Queste bestie non hanno anima, concittadini. Il loro unico intento è quello di avvelenare la nostra società come un cancro, sovvertirla, così da ridurci ad essere loro schiavi. Essi sono in mezzo a noi; possono essere il nostro vicino, il garzone che consegna il giornale la mattina, la vecchia seduta a pregare al tempio. Non chiudiamo gli occhi, concittadini...»
    «Tieni.»
    Davanti a Niyàd comparve un ragazzo non più grande di lei, vestito con l’uniforme da recluta della Loggia, che le porgeva un foglio.
    «Sono le date dei prossimi incontri del nostro gruppo. Spero vorrai partecipare. Siamo sempre felici di poter conoscere nuovi sostenitori della causa.» Il giovanotto ammiccò a Niyàd per poi allontanarsi gridando a più riprese: «Un mondo, una razza! Un mondo, una razza!»
    Qualcosa nella gola di Niyàd si ruppe. Per la prima volta da quando era fuggita dalla clinica, qualcuno che non fosse Eve le rivolgeva la parola. Ma quel ragazzo non aveva visto il lei una di quelle “bestie senz’anima” a cui la Loggia dava la caccia con tanto ardore, bensì un suo simile. Per Niyàd fu la conferma di quanto lei stessa non aveva mai voluto accettare realmente.
    La ragazza si allontanò dall’improvvisato comizio e fece ritorno all’appartamento. Chiusa la porta e vi si accasciò contro, tremante. Rimase immobile per alcune ore, scordandosi persino di mangiare, fino a che non si addormentò.
    Fu svegliata alcune ore più tardi da un energico bussare sulla porta di casa. Niyàd si rizzò in piedi e indietreggiò di qualche passo. Il suo primo pensiero andò al giovanotto di quella mattina. Forse si era accorto che lei non era una di loro. Forse l’aveva seguita segnandosi il luogo dove abitava per poi informare gl’Inquisitori. Forse…
    «Niyàd apri! Sono io, Eve.»
    La voce della Kaspian per poco non la fece inciampare per l’emozione. Subito corse ad aprire la porta per poi gettarsi su di lei e abbracciarla.
    Eve rimase stupita da quell’inaspettato slancio d’affetto, tanto da non sapere come reagire. Con movimenti impacciati, le sue braccia si chiusero attorno alle spalle di Niyàd. «L’ho trovato.» sussurrò.
    «Chi?» domandò Niyàd, staccandosi dal corpo della donna.
    «Vedrai.» rispose Eve facendole l’occhiolino.
    Di nuovo insieme, si misero ancora una volta in viaggio. A notte inoltrata si fermarono davanti a una drogheria chiusa da chissà quanti anni, a giudicare dall’insegna rotta e le erbacce andate a crescere tra le spaccature del marciapiede antistante. Eve suonò il campanello due volte, poi una e infine ancora due. Da un foro nel muro uscì una telecamera. L’occhio metallico studiò in maniera inopportuna le due ospiti prima di rientrare nella sua tana. La porta fu scossa da un trillo e la serratura si sbloccò. Spinto l’uscio, Eve fece segno a Niyàd di seguirla.
    Seduto davanti allo schermo di un computer, un nano stava rimontando una radio.
    «Già di ritorno, miss?» borbottò quando si accorse di non essere più solo. Il nano si alzò dalla sedia, perdendo cinque centimetri buoni in altezza, e si avvicinò alla più giovane delle due donne. «Tu devi essere Nadia.»
    «No, si sbaglia. Io mi chiamo…»
    «Ti chiami Nadia Windam,» la interruppe il nano «morta poche ore fa in seguito a un incidente automobilistico e risorta grazie a queste mie manine fatate. Ora aspetta solo un attimo... Ma dove l’ho messa? Ah, eccola!»
    Da una delle tante tasche dei suoi pantaloni, il nano estrasse una tessera di riconoscimento e la porse a Niyàd.
    «Con quella lì non dovrai più temere alcun posto di blocco. Questo tipo di scheda contiene solo dati già presenti nel database dell’Unico Partito e non immessi dall’esterno. Confutarne l’autenticità è pressoché impossibile. E poi, l’ho fatta io, e questa è già una garanzia più che sufficiente.»
    «Grazie mille, Nartgar.» disse Eve.
    «Non ne hai motivo, miss. Piuttosto, vedi di stare attenta. Oman e i suoi hanno in mente qualcosa di grosso e quel giorno quelle tessere potrebbero ritorcersi contro di voi. Lo sai meglio di me: la sola cosa che i Reietti odiano più della Loggia sono i traditori; o chiunque reputino tale.»
    «Ne sono consapevole.»
    «È con quello che hai recuperato i dati che ti servivano?» chiese Niyàd.
    Preso alla sprovvista, Nartgar ci mise un attimo a capire che la ragazza si riferiva al suo computer. «Si, perché?»
    «Vorrei fare una ricerca.»
    Il nano sospirò rumorosamente. «Non è una buona idea, fidati.»
    «Non m’importa. Devo sapere.»
    Nartgar scambiò un’occhiata con Eve, la quale annuì. «Ribadisco la stupidità di tutto ciò.» borbottò mentre si arrampicava sulla sua postazione.
    Il nano digitò il cognome richiesto e subito il computer prese a ronzare, fino a che sullo schermo non comparvero i risultati della ricerca. Aiutandosi con le dita, Niyàd scorse la lista; e alla fine trovò quanto da lei cercato.

    NAMLHU, Lagos e Hairin
    Implicati nel complotto per uccidere il presidente Reld. Giustiziati.



    Niyàd si allontanò dallo schermo. I suoi occhi erano velati di lacrime, ma non pianse. Uscì invece dall’ex drogheria e si avviò verso la macchina.
    «Stai bene?» domandò Eve, raggiungendola.
    «Non lo so.» rispose Niyàd. «Fino a pochi minuti fa pensavo di non poter sopportare la notizia della loro morte. E ora invece non riesco nemmeno a piangere la loro perdita. Forse però dentro di me lo sapevo già. Sin da quando ero una bambina, ripetevano di volere un mondo diverso per me, un mondo migliore, e che avrebbero usato ogni mezzo in loro possesso per potermelo offrire. Ci hanno provato fino alla fine.»
    Eve guardò la ragazza al suo fianco senza sapere cosa dirle. Non era mai stata molto brava a confortare la gente. «Forse questo non è il momento migliore, ma in fondo non credo che esistano davvero dei momenti giusti.» La donna tirò fuori dalla tasca della giacca un pacchetto con un fiocco blu nel mezzo. «Avrei voluto dartelo per festeggiare il tuo nuovo compleanno.»
    «Cos’è?»
    «È quello che sei adesso.» rispose Eve, sforzandosi di abbozzare un sorriso.
    Niyàd prese in mano il pacchetto e lo aprì. Al suo interno era piegato un nastro per capelli. Titubante, la ragazza fece scorrere il tessuto tra le dita. Le ci volle un po’ per convincersi ad indossarlo. Con un gesto che non faceva più da moltissimo tempo, Niyàd si tirò indietro i capelli e se li legò con il nastro. Quindi si girò verso la vetrina dell’ex drogheria. Fu così che Niyàd diede il benvenuto a Nadia. E le lacrime, rimaste aggrappate agli occhi sino a quel momento, finalmente scesero lungo le guance.
    «Sei bellissima.» disse Eve, abbracciandola da dietro.
    «Sono diversa.»
    «Ma sei ancora viva.»
    «Forse.» rispose Nadia.

    Edited by Okamis - 20/1/2009, 23:46
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Accidenti..... che bello. Bello ma "incompleto".
    Sembra un estratto di un romanzo o la base per crearlo. Se ti verrà in mente di scriverlo e lo pubblichi, prometto di comprarlo perché mi ha veramente preso.
    Però la "diversità", le "bestie", sono argomenti che avrei voluto vedere più da vicino, per questo parlo di incompletezza. Bella scrittura eccetto un paio di tempi verbali da rivedere, molto convincente.
    Ti do 3 ma per me questo è un pezzo che tende al 5! ;)
     
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  3. esimon
     
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    Ciao :)
    concordo con Daniele in tutto, anch'io l'ho sentito come il capitolo di un romanzo.
    da parte mia il voto è 4, perché lo trovo scritto davvero bene.
    Ciao :P
    Simone
     
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  4. Okamis
     
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    Come sempre, grazie.
    Svelo subito l'arcano.
    Questo pezzò l'ho scritto circa quattro mesi fa per partecipare al concorso Sanctuary, concorso che ovviamente non mi vede tra i finalisti. Il brano trae origine in effetti da una parte di un romanzo di ambientazione Urban Fantasy (anche se in origine era più tendente allo Steam Punk) intitolato "La città di sangue e acciaio" e che vede tra i protagonisti la dottoressa Eve (paradossalmente, la protagonista di questo racconto, Niyàd, nel romanzo sarebbe una comparsa). Da qui il senso di "manca qualcosa". In effetti le scene che avevo in mente per questo passaggio (che sarebbe dovuto essere un flashback diviso in più parti) erano molte di più. L'assenza maggiore è nel finale, quando Niyàd viene "abbordata" dalla recluta della Loggia. Per come avevo immaginato la scena, la ragazza veniva accompagnata in una chiesa dell'ordine, dove, per non rischiare di attirare troppe attenzioni, si trova costretta a trascorrere alcune ore durante le queli però nessuno si accorge delle sue reali origini. Purtroppo il tetto di caratteri disponibili mi ha costretto a tagliare quella scena, così come anche altre :(

    CITAZIONE
    Ti do 3 ma per me questo è un pezzo che tende al 5! ;)

    Arrotondare a 4, no? XD
     
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  5. federica68
     
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    Ciao Alessandro

    ti dico la stessa cosa che ho detto a Daniele

    il fatto che sia uno stralcio da un romanzo pesa molto sulla trama secondo me.
    Niente da dire sullo stile, a me è piaciuto molto, ma si capisce che dietro c'è troppo "non detto qui"... non so come dire
    Come se il lettore dovesse essere già a conoscenza di troppi dettagli del mondo che narri... non saprei, anche in questo caso sono molto perplessa. Lo stile sarebbe da 4, ma sulla trama pesa molto il fatto di essere uno stralcio estrapolato da un complesso più vasto...

    Visto che lo devo leggere come un racconto a sé stante, però, la media è 2. Sorry :(

     
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  6. Paolo_DP77
     
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    Ciao,
    complimenti la storia mi è piaciuta e sopratutto hai reso bene i personaggi, sia le protagoniste che gli altri. Lo stile mi piace, procede per immagini, ma riporta anche i sentmenti, che sono sottolineati bene dall'atmosfera.

    Purtroppo lascia un po' a bocca asciutta, perché si vede che è un tassello di qualcosa di più grande.

    SPOILER (click to view)
    Come racconto, pouò comunque funzionare dato che il tema principale del "cambio di identità" si conlude perfettamente. La prima e l'ultima scena sono di lei che si specchia. Mi sembra però un po' sbilanciato: la parte dove Niyàd e Eve vagano un giorno dopo l'altro andrebbe ridotta, non aggiunge molto rispetto allo spazio che occupa. Opinione personale, ovviamente.

    Una cosa forse non ho capito:
    CITAZIONE
    Quindi si girò verso la vetrina dell’ex drogheria. Fu così che Niyàd diede il benvenuto a Nadia.

    qui lei si vede per la prima volta? Prima non si era mai guardata alla specchio? Da come è scritto mi viene il dubbio che sia così; in questo caso:
    CITAZIONE
    «Mettiti i guanti e cerca nel sacchetto due documenti con le nostre facce. Poi butta fuori dal finestrino tutto il resto.»

    Non ha molto senso, oppure mi sfugge qualcosa.


    Lo stile ha qualche imprecisione (d eufoniche, qualcosina di troppo qui e lì, roba di poco), che comunque non rovina il piacere della lettura. L'ambientazione urban fantasy è notevole.

    Voto 3
     
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  7. Zaq Mills
     
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    Ciao,

    il tuo racconto è molto bello e intrigante. Mi sono piaciuti in modo particolare i dialoghi.

    Zaq
     
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  8. Okamis
     
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    Come sempre, grazie mille dei vostri commenti e suggerimenti, e, non me ne vogliano gli altri, grazie in particolare a Paolo. Ammetto che l'incongruenza da te segnalata mi era proprio sfuggita (e dire che avrò riletto questo brano un centinaio di volte). Stasera vedrò di correggere per aggirare il problema (ora purtroppo sto uscendo). Grazie mille ancora :)
     
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  9. Paolo_DP77
     
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    Prego :)
     
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  10. niwad
     
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    A me il racconto non ha dispiaciuto, tutt'altro. Forse lascia un po' a desiderare la presenza dei soliti elfi e nani (per quanto io adori i nani, e li salverei in più modi anche in questo racconto :P), mentre la mancanza di dati non ha inficiato il mio voto quanto quello di Federica: si capisce abbastanza della società anche se non viene descritta in maniera esauriente, ciò anche perchè l'idea di fondo è abbastanza ricorrente nel fantasy.
    Per quanto riguarda le incongruenze, forse ne ho notata una anch'io, ma dipende dal contesto effettivo che doveva presentare l'opera completa: all'inizio, all'interno della clinica, c'è quell'immagine dello scheletro di un nano modificato per diventare umano. Se i nani, lì, vengono considerati dalla Loggia come umani affetti da nanismo, la cosa ci può stare. Il nano in seguito è un infiltrato e un hacker e basta. Se invece vengono considerati come razza a parte, quel disegno non dovrebbe essere in bella vista nella clinica. Famme sapè.
    Il voto, in definitiva, è 3. Lo stile mi è piaciuto, la forma non ha risentito di troppi scossoni e la trama mi è bastata. Probabilmente avrei apprezzato anch'io una maggiore sinteticità nella descrizione delle scene, per poter mettere più contenuto in meno righe, ma richiederebbe un mutamento di stile piuttosto marcato.
    Sotto il solito spoiler infame:

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Niyàd aprì gli occhi

    Mi sento chiamato in causa...
    CITAZIONE
    prima che la ragazza

    Ok, ritiro tutto <.<
    CITAZIONE
    lasciando che il tessuto scivolasse lunga la schiena

    Lunga, eh, 'sta schiena?
    CITAZIONE
    non si potevano permettere il ricovero nelle strutture pubbliche regolate dall’Unico Partito

    alla faccia del "pubblico"...
    CITAZIONE
    Il dottore piegò le labbra in un largo e sincero sorriso e si sistemò meglio gli occhiali.

    e-e, richiede una virgola tra una congiunzione e l'altra, ma personalmente toglierei anche la prima congiunzione.
    CITAZIONE
    le fitte che tutte le notti la piegavano in due per il dolore

    non mi piace granchè l'espressione messa lì dov'è, magari dovresti trovare un'alternativa.
    CITAZIONE
    Te invece? Come procede lo scontro?

    capisco che colloquialmente si finisca con l'usarlo, ma il "te" è complemento oggetto -.-
    CITAZIONE
    Muovendosi quanto più veloce possibile

    questi sono i risultati della fobia per gli avverbi in mente ç.ç "quanto più veloce possibile" non mi piace granchè come espressione
    CITAZIONE
    e il mento appoggiato sulla ginocchia

    refuso
    CITAZIONE
    tamburellando con le punte dei denti

    è un'agliena!
    CITAZIONE
    All’ultimo piano Eve recuperò un mazzo di chiavi dalle tasche dei pantalon

    magari metti un verbo di movimento all'inizio, tipo: "Arrivate all'ultimo piano..." Altrimenti corri il rischio che idioti come me si immaginino i pantaloni appesi all'ultimo piano
    CITAZIONE
    fantasticando sul momento in cui la Loggia fosse riuscita a trovarle

    "Sarebbe riuscita" forse è meglio. Ho problemi con le eventuali anch'io, ma fosse suona male ed è un condizionale...
    CITAZIONE
    quando la Loggia l’avesse rintracciata.

    Qui avrei più dubbi tra condizionale e congiuntivo, credo dipenda dalla sfumatura che vuoi dare alla frase. Non so.
    CITAZIONE
    madre a suo dire delle tensioni interne e della povertà.

    forse sarebbe meglio mettere "a suo dire" come inciso, o anticiparlo.
     
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  11. Okamis
     
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    PREMESSA: ho corretto l'incongurenza indicata da Paolo. Ora è la dottoressa Kaspian a prendere i due documenti falsi dal sacchetto. Ne approfitto anche per rispondere in anticipo a un'altra possibile incongruenza che potrebbe essere sottolineata riguardo questo passaggio (mi è stata segnalata sul mio sito): le altre tessere sono i documenti degli altri medici (inutile dire che si trovano sull'auto in quanto si tratta di un mezzo per fughe d'emergenza, visto che tra l'altro non si trova nel parcheggio dell'ospedale). Quindi Eve non è che se ne freghi degli altri pazienti. Semplicemente ho sottointeso che in quel momento Niyàd era l'unica "paziente particolare" curata. Tutti gli altri erano "pazienti normali".

    Passo a Niwad. Rispondo alle tue note per punti...

    CITAZIONE
    Per quanto riguarda le incongruenze, forse ne ho notata una anch'io, ma dipende dal contesto effettivo che doveva presentare l'opera completa: all'inizio, all'interno della clinica, c'è quell'immagine dello scheletro di un nano modificato per diventare umano. Se i nani, lì, vengono considerati dalla Loggia come umani affetti da nanismo, la cosa ci può stare. Il nano in seguito è un infiltrato e un hacker e basta. Se invece vengono considerati come razza a parte, quel disegno non dovrebbe essere in bella vista nella clinica. Famme sapè.

    Può sembrare un'incongruenza, ma non lo è. Come s'intuisce dal dialogo tra i signori Namluh (a proposito, nessuno ha notato la citazione? :shifty: ) e il dottor Raznov, la clinica è ufficialmente anche un centro che collabora con la Loggia. I quadri appesi ai muri rappresentano esempi di studi scientifici quindi. Perché però non è un'incongruenza? Perché se vi va a vedere la nostra storia scopriremo che qualcosa di analogo è successo pure nella nostra realtà. Ad esempio alcuni dei gerarchi nazisti sono stati in vita anche grandissimi collezionisti di opere di produzione non "ariana". Lo stesso Benigni ne "La vita è bella" sottolinea questo paradosso della dittatura nazista. Infatti il medico, pur essendo un gerarca non si fa problemi a chiaccherare con il personaggio interpretato da Benigni e addirittura a chiedere il suo aiuto per risolvere l'indovinello dell'oca. Non a caso, sul mio sito a suo tempo riguardo questo racconto scrissi che la storia sarebbe potuta benissimo essere ambientata ai tempi del nazismo, fatte le opportune modifiche. A ririconferma di ciò, la citazione di cui sopra fa riferimento a uno scrittore ebreo sopravvissuto al nazismo ;)

    Riguardo la scelta di un elfo come protagonista, è stata quasi obbligata (ormai pure io non sopporto più gli elfi dopo la premiata ditta Brooks/Troisi/Strazzulla). Si trattava infatti dell'unica razza "aliena" che mi permettesse di sfruttare il mezzo colpo di scena a inizio racconto (quando il dottor Raznov sposta i capelli di Niyàd svelandone la vera razza). Con qualsiasi altra razza (canonica o completamente inventata) ciò sarebbe stato impossibile, constringendomi a dichiarare sin da subito l'alienità della protagonista ;)

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    Niyàd aprì gli occhi

    Mi sento chiamato in causa...
    CITAZIONE
    prima che la ragazza

    Ok, ritiro tutto <.<

    Il nome non è casuale. Quando lo scelsi cercai un nome allo stesso tempo esotico, ma che potesse mutare in un nome reale con un semplice cambio di lettere. Da cui la scelta per Nadia/Niyàd

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    lasciando che il tessuto scivolasse lunga la schiena

    Lunga, eh, 'sta schiena?

    Corretto :)

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    non si potevano permettere il ricovero nelle strutture pubbliche regolate dall’Unico Partito

    alla faccia del "pubblico"...

    In che senso? Niyàd è una paziente particolare, per la quale vengono utilizzati strumenti e tecniche ufficialmente non presenti nell'ospedale. I restanti pazienti sono persone "normali" ignare della doppia faccia della clinica.

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    Il dottore piegò le labbra in un largo e sincero sorriso e si sistemò meglio gli occhiali.

    e-e, richiede una virgola tra una congiunzione e l'altra, ma personalmente toglierei anche la prima congiunzione.

    Boh, a me non crea problemi anche così la frase...

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    le fitte che tutte le notti la piegavano in due per il dolore

    non mi piace granchè l'espressione messa lì dov'è, magari dovresti trovare un'alternativa.

    Come sopra... :boh:

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    Te invece? Come procede lo scontro?

    capisco che colloquialmente si finisca con l'usarlo, ma il "te" è complemento oggetto -.-

    Questo errore è voluto, per dare un tocco di realismo al dialogo ;)

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    Muovendosi quanto più veloce possibile

    questi sono i risultati della fobia per gli avverbi in mente ç.ç "quanto più veloce possibile" non mi piace granchè come espressione

    Lo so, la lettura di "On writing" di Stephen King è stata deleteria per il sottoscritto XD

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    e il mento appoggiato sulla ginocchia

    refuso

    Corretto :)

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    tamburellando con le punte dei denti

    è un'agliena!

    Eh? A dire il vero è un tic che ho pure io, quano sono nervoso. Una volta durante un esame mi sono persino messo a "suonare" i Deep Purple XD

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    All’ultimo piano Eve recuperò un mazzo di chiavi dalle tasche dei pantalon

    magari metti un verbo di movimento all'inizio, tipo: "Arrivate all'ultimo piano..." Altrimenti corri il rischio che idioti come me si immaginino i pantaloni appesi all'ultimo piano

    Come avrebbe detto il mio ex professore di Filosofia del Linguaggio, si tratta di un perfetto esempio frase chomskyiana con ambiguità. A dire il vero, anche con l'aggiunta da te proposta tale ambiguità rimarrebbe ;)

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    fantasticando sul momento in cui la Loggia fosse riuscita a trovarle

    "Sarebbe riuscita" forse è meglio. Ho problemi con le eventuali anch'io, ma fosse suona male ed è un condizionale...

    Corcordo. Corretto. :sunglass:

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    quando la Loggia l’avesse rintracciata.

    Qui avrei più dubbi tra condizionale e congiuntivo, credo dipenda dalla sfumatura che vuoi dare alla frase. Non so.

    Stesso dubbio... :s...i:

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    madre a suo dire delle tensioni interne e della povertà.

    forse sarebbe meglio mettere "a suo dire" come inciso, o anticiparlo.

    Corretto posizionandolo tra due virgole :)

    Uff... finito... Spero di non aver fatto casini con i vari "quote" XD Grazie ancora di qualsiasi suggerimento :)
     
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  12. bravecharlie
     
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    ciao, qualche annotazione "tecnica", innanzitutto:

    ci sono alcune d eufoniche

    CITAZIONE
    Per i successivi due giorni Eve e Niyàd non si scambiarono quasi una sola parola

    sarebbe meglio "... non si scambiarono quasi parola"

    CITAZIONE
    L'ingresso della casa che si apre

    t'è scappato il verbo al presente

    CITAZIONE
    Chiuse la porta, si accasciò contro la porta

    ripetizione

    anch'io volevo partecipare a Sanctuary, ma purtroppo non feci in tempo :azz:
    questo ha fatto sì, comunque, che non mi trovassi "spiazzato" dall'ambientazione, e che non sentissi il bisogno di informazioni ulteriori. per chi non sapeva nulla del concorso il discorso è diverso, e forse si saranno trovati un po' in difficoltà. Comunque, una scrittura fluida e una trama semplice ma ben dipanata mi hanno reso molto piacevole la lettura, le varie sequenze sono ben dosate tra di loro e non si sente il bisogno né di saperne di più né di sfoltire il tutto. Coerente il comportamento della Kaspian, alla luce della sua passata identità, forse un po' "amorfa" la protagonista, però potrebbe intendersi come una tua precisa scelta, proprio perché è in un momento in cui non si sente viva, non sa chi è, non ha identità.
    Ti do quattro. Un buon lavoro
     
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  13. Diaphane
     
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    Ciao Alessandro :)
    Molto carino questo tuo racconto, mi è piaciuta molto l'ambientazione e, sinceramente, non ho sentito il bisogno di avere più informazioni, anzi, mi sono divertita ad immaginare questo mondo tramite le tue indicazioni ^_^
    Lo stile è scorrevole e rende la lettura molto piacevole, forse un po' lenta la parte centrale, ma neanche troppo... ;)

    Ho dato un 3, ma bello pieno! :D
     
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  14. x_LUIS_x
     
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    Ciao!
    Bel racconto.
    M'è piaciuto. Ha quel non so che di realismo fantastico che mi piace tanto. E' scritto molto bene.

    Ci ho messo un bel po' a capire che la ragazza con le orecchie a punta fosse un elfo (pensavo all'inzio fosse un'aliena tipo una vulcaniana).
    Assai interessante e originale, quindi, l'idea di trasporre tematiche del fantastico tipiche del Signore degli Anelli in una società moderna del tipo 1984 di Orwell (Vale un 4 solo l'idea!).
    Certo, è un peccato che, più che un racconto, questo sia in realtà un capitolo condensato di un romanzo => il finale è un troppo, troppo, troppo, tronco.
    Secondo me, oscilla tra il 3 e il 4.
    Tuttavia l'originalità dell'idea, secondo me, sposta l'ago della bilancia verso il 4.
    Un saluto!
    PS: fossi in te (ma penso, m'è parso di capire, che lo stai già facendo) conserverei l'idea per un romanzo.

    L!!!



     
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  15. tar-alima
     
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    Ciao. Il racconto ha una trama valida, e secondo me il fatto che sia un estratto non guasta molto; il tema dell'identità della protagonista può reggere anche da solo.
    L'ho trovato però un po' lento in alcune parti (viaggi in macchina, soggiorno nella stanza-rifugio); quelle le avrei velocizzate, pur facendo capire la pesantezza della situazione.
    Dettagli:
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    ricoperta da graffiti dai colori resi spenti dall’inquinamento

    Troppi "da".
    CITAZIONE
    ...sua madre le aveva ordinato di aspettarli e andò ad osservare

    "D" eufonica.
    CITAZIONE
    «E quando si sveglia trova il suo nuovo corpo pronto per l’uso.» concluse la voce del padre di Niyàd.

    In tutte le situazioni di questo genere, credo non si metta il punto prima della chiusura delle caporali.
    CITAZIONE
    Ora, davanti a lei, c’era un’altra persona, e non sapeva se sarebbe riuscita a farsela piacere.

    Le hanno fatto solo dei segni in faccia, non è che abbia visto il suo nuovo volto; mi sembra una strana cosa da dire.
    CITAZIONE
    Sarà lei ad occuparsi principalmente di te

    A parte la "D" eufonica e l'avverbio in -mente (io non li abolisco), mi suona male.
    CITAZIONE
    Te invece?

    Colloquiale? Un errore del genere non è plausibile in una dottoressa, al massimo ci sta in un contadino.
    CITAZIONE
    Appesa a una delle pareti si trovava una torcia, subito afferrata dalla Kaspian e accesa.

    La prima parte della frase è una fotografia, la seconda è un divenire; serve raccordarle, secondo me, almeno con un "che": "che subito la Kaspian afferrò e accese".
    CITAZIONE
    Una lunga colonna di vetture stava venendo passata al setaccio dalle forze dell’ordine.

    Eviterei lo "stava venendo".
    CITAZIONE
    Per tutta la notte Eve guidò senza sosta. Voleva allontanarsi il più possibile dalla clinica e raggiungere l’unico rifugio sicuro che conosceva. Seduta al suo fianco, Niyàd fissava la strada in silenzio, le gambe raccolte sul petto e il mento appoggiato sulle ginocchia. Soltanto quando l’indistinta palla del sole fece capolino attraverso lo strato di smog, Eve decise di fare una sosta.
    Si fermarono a una tavola calda semivuota. Eve ordinò per entrambe succo di frutta e uova con prosciutto. Quando pochi minuti più tardi la cameriera portò le ordinazioni, Niyàd si scoprì molto affamata,

    Cambio di punto di vista repentino, e forse non tanto necessario.
    CITAZIONE
    di quale settore non aveva importanza: a Sanctuary le baracche hanno tutte lo stesso nome.

    Mi sembra più in tono "avevano", fa meno intervento del narratore.
    CITAZIONE
    Niyàd ascoltava quelle inutili spiegazioni con aria annoiata, tanto che in un’occasione la Kaspian s’irritò a tal punto della sua indifferenza da schiaffeggiarla in pieno volto.

    Reazione poco plausibile, secondo me. Va bè la tensione, ma un paio di urli potevano bastare!
    Vorrei votare 2 e 1/2. Metto 3 per eccesso. Alla prossima. :)
     
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23 replies since 1/1/2009, 20:48   648 views
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