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bene ragazzi, questo è il mio per l'USAM di questo mese. allacciate le cinture, afferratevi a qualcosa e state in campana. sta per iniziare una lunga:
Notte da Paramedici
Erano le ventitré e quarantacinque di un martedì notte da flebo, e me ne stavo a fumare un cannone stravaccato sulla brandina a rotelle nel retro dell'ambulanza. Sullo schermo del mini-televisore che tenevo appoggiato sopra la pancia scorrevano le immagini di un reality-show, in quel momento una bambolona bionda stava litigando con una specie di nerd dalla faccia da topo per via di un panino con la mostarda. Di lì a poco sarebbero passati dagli insulti alle vie di fatto, e questo eccitava il pubblico in studio che li aizzava con urla e fischi da stadio. – Oh, schioda il culo da lì – la faccia butterata di Bosoni comparve in mezzo ai portelloni socchiusi, rovinando il pathos di quel momento. – C'è una chiamata, e dobbiamo andarci noi. Grugnii una risposta affermativa, mi sistemai la canna ancora accesa sopra un orecchio, afferrai il televisore e andai a sedermi al posto del passeggero. Lui era già al volante, e mise in moto non appena richiusi lo sportello. – Di che si tratta? – domandai senza troppo interesse, continuando a guardare la barbie e il secchione che imprecavano. – Lite familiare – mormorò lui. – La solita storia di rancore e coltellate. – Qualcuno c'è rimasto secco? – Pare di no, ma dicono che sia messo male. E smettila di fumare quella merda, perdio! Non vedi che ti fa marcire il cervello? Bosoni era il mio partner da oramai quasi due anni, e quella frase la ripeteva tutte le sere. Era convinto di dover salvare il prossimo dalla perdizione, specie se il prossimo era un collega più giovane, drogato e senza vita sociale; uno di quei samaritani da quattro soldi sempre pronti a dispensare consigli non richiesti e perle di saggezza, avete presente? Non gli era mai neppure passato per la testa che io non volevo essere salvato, e ogni notte mi toccava sorbirmi i suoi sermoni da missionario metropolitano. “Smetti con l'erba”, “trovati una brava ragazza”, “fa' un corso di specializzazione” e così via, fino a tramutarmi le palle in due pezzi di groviera fumanti che a stento riuscivo a contenere nelle mutande. Il fatto che riempisse la moglie di corna, che picchiasse i figli e che avesse il vizio del gioco non strideva con la sua vocazione, evidentemente. Certe persone sono bravissime a non imporre sopra di sé il metro di giudizio che adoperano nei confronti degli altri. – Che ci troverai, poi, in quella schifezza? – stava continuando mentre la cabina si riempiva dell'aroma intossicante della mia skunk. – Fosse roba buona, almeno. Ma lo sai con cosa la tagliano? Potevano tagliarla anche con il cianuro, per quanto me ne fregava, e glielo dissi. Quando non hai una sola ragione al mondo per vivere l'eventualità della morte è solo una seccatura come le altre, e in più ero sempre troppo rimbambito per avere davvero paura. Dal giorno in cui mia moglie mi aveva lasciato vivevo in simbiosi con filtri, erba e cartine, lo spacciatore all'angolo della strada era diventato il mio migliore amico e i miei due gatti i miei unici confidenti. Parlavo molto con loro, specie dopo la sesta canna. Dopo la decima, a volte mi rispondevano. – Lo sai? Secondo i Figli della Cometa questa è la notte della rivelazione – cambiò discorso Bosoni. – E chi cazzo sarebbero i Figli della Cometa? – Una setta convinta che il mondo sia giunto alla fine del proprio ciclo, e che presto verrà distrutto. – Ah – tra gli interessi di Bosoni c'erano anche l'ignoto, il paranormale e le religioni alternative. Roba per veri scoppiati, mica dilettanti come me. Finsi interesse, ma uno dei miei occhi era incollato allo schermo della TV: finito l'alterco, la bionda e il tizio con la faccia da topo si erano chiusi in camera da letto per fare pace davanti alle telecamere. La cosa doveva essere andata un po' troppo in là, perché adesso si stavano slinguazzando come adolescenti in calore e sembravano sul punto di lanciarsi in una full-immersion di sesso selvaggio. – Capisci? – continuò il mio collega. – Secondo il calendario azteco questa è la notte in cui il dio Quetzalcoatl tornerà sulla Terra per rivendicarne il dominio, e ogni cosa troverà il giusto posto nell'ordine cosmico. Il mondo diventerà un'immensa palla di calore e i ghiacciai si scioglieranno inondando le città, le nostre menti si espanderanno in tutto il loro potenziale dando vita a una gigantesca rete psichica, la noosfera. Per pochi minuti, prima della fine di tutto, saremo un unico cervello che racchiuderà tutto il sapere conosciuto. Oh, non che io creda a queste stronzate, però è affascinante... – Affascinante – ripetei mentre il nerd parcheggiava il suo uccello nella bocca della biondona. Un attimo dopo che lei ebbe iniziato a succhiarglielo la trasmissione fu interrotta.
A parte la paga da schifo, la noia delle attese tra una chiamata e l'altra, la puzza di disifettante che non va più via dalla pelle e i turni che ti trasformano in un alienato, il mestiere del paramedico non è poi tanto male. Ti tempra nello spirito e nel corpo, stendendo una patina dura come catrame sulle tue insicurezze, ti fa diventare insensibile praticamente a ogni cosa. La prima volta che tirammo fuori da un'auto il corpo maciullato di un tizio schiantatosi contro un pilone di cemento vomitai anche l'anima, e non riuscii a chiudere occhio per tre notti di fila; adesso, dopo ventiquattro mesi passati a infilare corpi in sacchi di plastica, a vedere gente che crepava sputando sangue, a raschiare le budella dei suicidi dall'asfalto come fossero marmellate rapprese su un tavolo, non ci facevo più caso. Avrei potuto sgranocchiare una barretta al cioccolato guardando un bambino di tre anni contorcersi e cagarsi addosso in preda agli ultimi spasmi dell'agonia, poi gettare via la carta e chinarmi su di lui per raccoglierlo. Ora che ci penso, una volta l'avevo anche fatto.
Il palazzo era una bara di cemento verticale in piena periferia operaia, l'appartamento una cella per api così squallida e triste che al confronto il monolocale dove vivevo sembrava la suite di un hotel a cinque stelle. Due poliziotti stavano trascinando via una ragazzina con gli abiti sporchi di sangue che pareva posseduta dal demonio; sul suo faccino pallido e sconvolto si agitavano l'odio, la rabbia e la disperazione di chi è stato costretto a crescere troppo in fretta. – È stata l'ultima volta! – gridava mentre gli agenti la conducevano giù per le scale sotto gli occhi degli altri inquilini. – Hai sentito, vecchio bastardo? È stata l'ultima volta! Il vecchio bastardo in questione era il nonno della giovane, e a giudicare dalla quantità di sangue che stava perdendo si poteva desumere che ne avrebbe avuto per poco. Lo trovammo in cucina, seminudo, mentre cercava di strisciare sul pavimento come il verme che era. La nipote gli aveva tagliato via lo scroto con un coltello, i suoi coglioni erano abbandonati in un angolo come olive cadute fuori da un bicchiere di Martini. Toccò a me raccoglierli, mentre Bosoni si dava da fare con le sacche di plasma portatile per praticargli una trasfusione sul posto. Era semisvenuto, e questo fu un bene per lui, perché gli ricucimmo lo strappo a crudo. Dopo lo caricammo sulla branda a rotelle e scendemmo in ascensore, lo infilammo nell'ambulanza e ci preparammo a ripartire. – Se sopravvive passerà il tempo che gli rimane in galera – sentii dire a uno degli sbirri. – Chissà per quanti anni ha abusato di quella ragazzina.
Il reality era finito, e stavo cercando qualcosa di interessante da guardare durante il tragitto verso l'ospedale. Ero nel retro col vecchio ( sempre svenuto ) e cercavo di rollarmi un'altra canna mentre Bosoni schizzava attraverso le strade semideserte con la sirena a palla. Guidava davvero veloce, quel mezzo matto, e a ogni curva rischiavo di vedere l'erba e il tabacco cadermi di mano e sparpagliarsi sul fondo del veicolo. – ... e dunque, stanotte Quetzalcoatl camminerà tra gli uomini annunciando la fine del mondo – stava dicendo una specie di santone su Italia1. – Egli è il Fratello della Cometa, il Portatore di Verità, il Dio degli Ultimi Giorni e l'Apostolo della Nuova Era. Non sappiamo dove si manifesterà, ma di una cosa siamo più che certi... – Alza il volume! – gridò Bosoni dall'abitacolo. – Voglio sentire. Lo accontentai. – Si sa che il dio Huitzilopochtli tenterà di contrastare Quetzalcoatl nella sua missione. Le profezie azteche parlano chiaro: se i due si incontreranno scoppierà una furibonda battaglia, e l'esito di essa si ripercuoterà sul nostro destino. Huitzilopochtli vuole che tutto rimanga così com'è, non desidera il cambiamento, è un dio conservatore e meschino che trama nell'ombra dall'inizio della storia. Ci auguriamo che non riesca nel suo intento, così che la fine del vecchio mondo possa dare inizio a una nuova era. Non ne capivo nulla di religione. L'ultima volta che ero stato in una chiesa avevo i calzoni corti, eppure mi pareva proprio che quella specie di hippie mistico si fosse fatto un viaggio storto. Tifare per la divinità che avrebbe distrutto il mondo mi suonava come una gran cazzata, roba per autolesionisti della peggior specie. Di una cosa ero sicuro, pensai mentre m'infilavo il joint tra le labbra e gli davo fuoco: io stavo con Huitziloponcho, o come cavolo si chiamava.
Mentre sfrecciavamo tra due file di saracinesche chiuse in un quartiere residenziale il vecchio si svegliò e cominciò a urlare. – Dio, che dolore atroce! – strepitò. – Mi sembra di avere una brace accesa in mezzo alle gambe! – Non hai più le palle – lo informai con voce piatta. – Non agitarti, o peggiorerà. – Ma mi fa male! Dammi qualcosa! – Tieni. Fatti un paio di tiri – gli misi la canna in bocca e lui cominciò a fumare. Dopo un minuto stava già meglio, a parte il fatto che non riusciva a tenere il becco chiuso. – Cosa vi ha raccontato quella puttanella, eh? Vi ha detto che l'ho toccata? Balle, io sono un reduce di guerra, e i reduci certe cose non le fanno! Sapete, una volta ho dormito vicino a un commilitone decapitato da un'esplosione, e la sua testa sembrava non volerne sapere di smettere di guardarmi. Gli ho detto: “vacca boia, Fringuellini ( faceva Fringuellini di cognome ), smettila di fissarmi così, mica è colpa mia se sei crepato!”. E poi, anni dopo, ho incontrato un vigile che mi ha fatto una multa e sembrava avercela a morte con me, e aveva lo stesso identico sguardo di quella cazzo di testa. Dopo, non ci crederete, ho scoperto che il suo cognome era... – Fringuellini – mormorammo all'unisono io e Bosoni. – Proprio così! Non vi pare una cosa strana? Chissà se era parente di quel soldato o se era solo un'omonimia. Per non parlare di quando... Cercai di ignorare la diarrea oratoria del vecchio e di concentrarmi sulla televisione, dove il santone stava ancora blaterando le sue profezie. Anche Bosoni dovette adottare lo stesso rimedio, ma forse si concentrò un po' troppo, perché non s'avvide di una figura che stava attraversando la strada e la investì in pieno sbalzandola dieci metri più avanti sulla striscia d'asfalto. L'impatto fu così forte che il paraurti volò via e i fari andarono in pezzi, l'ambulanza finì in testacoda e se non si ribaltò fu solo perché un lampione arrestò la sua corsa ammaccandola su un lato come un barattolo di pomodori calpestato. Finii addosso al vecchio, mentre scatole di medicinali e siringhe sterili ci piovevano in testa; nell'abitacolo Bosoni picchiò il muso contro il volante e disse addio a qualche dente. Scendemmo dal mezzo e ci fiondammo a controllare le condizioni dell'investito. – È sbucato fuori all'improvviso! – imprecava Bosoni passandosi una mano sulla faccia sanguinante e sudata. – Un attimo prima non c'era, e poi... merda, è la volta buona che mi licenziano! Il poveraccio era riverso faccia in giù sulla carreggiata, e boccheggiava come un tonno appena pescato. Aveva il volto tumefatto in più punti, diverse scorticature su tutto il corpo e una clavicola fuori posto che rischiava di bucare la carne sotto il collo. Un braccio era piegato dietro la schiena in un angolo innaturale. Le gambe annaspavano nel vuoto scosse da fremiti incontrollabili. – Ma come accidenti è vestito? – disse Bosoni dopo averlo osservato meglio. – Sembra un clown! In effetti il tipo era agghindato in maniera bizzarra: indossava una specie di costume da serpente decorato di piume multicolori, mocassini di coccodrillo, una cintura intarsiata con strani geroglifici e una collana di foglie secche che parevano tabacco. Sulla testa portava un copricapo mostruoso che ricordava le fauci aperte di una belva feroce, in mezzo alle quali faceva capolino il volto olivastro. O stava tornando a casa da una festa in maschera, oppure... – A cosa stai pensando? – mi domandò Bosoni. – Be', – mormorai – in verità stavo ricordando le parole di quel santone in TV. – Anch'io, e ho un brutto presentimento. Così brutto che quasi ho paura di esprimerlo a parole. – La notte della rivelazione – riflettei a voce alta. – La fine del mondo e tutto il resto... tu che ne dici? – E che cazzo vuoi che ti dica? – Bosoni allargò le braccia, sconsolato. – Abbiamo tirato sotto Quetzalcoatl!
Lo sollevammo di peso e lo adagiammo più delicatamente che potemmo nel vano dell'ambulanza, sistemandolo sulla brandina di riserva. Adesso lo spazio lì dietro si era drasticamente ridotto, e mi toccava starmene in piedi tra i due lettini sperando che Bosoni ci andasse un po' più piano con l'acceleratore. – Nottataccia, eh? – stava intanto dicendo il vecchio a Quetzalcoatl. – Non me ne parlare, amico. Tu sei ridotto male, ma a me hanno tagliato le palle e sto peggio di te. Spero solo che questi bravi dottori me le riattacchino, una volta arrivati in ospedale, altrimenti mi toccherà crepare da eunuco. Vero che me le riattaccate, eh? Feci un cenno d'assenso distratto, impegnato com'ero a guardare fuori dal finestrino. Il cielo si stava colorando di una strana tinta viola-pustola-infetta, e c'erano formidabili fulmini azzurri che saettavano dalle nuvole tirandosi dietro tuoni spaventosi. La luna era diventata verdastra come un pezzo di formaggio andato a male, e incombeva sulla città generando ombre deformi. – In iztlactli, in tenqualactli... – mormorava il Dio degli Ultimi Giorni con un filo di voce, in una nenia infinita. – In yollohtli, in eztli... Vidi una lingua di fuoco tagliare in due la volta celeste e incenerire un aereo che transitava da quelle parti: del mezzo volante non restò niente di niente. Il mondo stava finendo, cazzo, e noi dentro quell'ambulanza a scarrozzare il suo distruttore e un vecchio pederasta verso un ospedale che forse neppure esisteva più. – Ci siamo! – gridò Bosoni dall'abitacolo. – Tra poco la noosfera ricoprirà il pianeta e le nostre menti si fonderanno. – E questa dove l'hai sentita? – ridacchiò il vecchio. – È peggio dei racconti di fantascienza che scribacchia quella cretina di mia nipote. – In toptli, in petlacalli... – continuava a salmodiare Quetzalcoatl con le pupille rivoltate all'indietro.
Okay per la fine del mondo, ma la faccenda della noosfera non mi garbava molto. Avevo sempre pensato che se c'era qualcosa che doveva restare privato, quelli erano i miei pensieri. Non mi andava giù che qualche miliardo di esseri umani avesse libero accesso alle mie fantasie sessuali, convinzioni politiche e paure recondite, mi sembrava sbagliato e osceno. Poi c'era la faccenda del romanzo che stavo scrivendo, che mi preoccupava più di tutto il resto. E se poi il mondo non finiva e qualcuno mi fregava l'idea? Non sarebbe stata una bella cosa, proprio per nulla. Mi preparai un altro cannone e lo attaccai con ingordigia, cercando di fumare via le preoccupazioni. Dopo qualche tiro lo passai al vecchio, ormai già assuefatto a quella roba, che se lo succhiò come fosse un ghiacciolo all'amarena. – Proprio buona – biascicò ciondolando la testa. – Vuoi fumare anche tu, pagliaccio? Ne è rimasta un po'. Quetzalcoatl lo fissò a lungo con espressione vacua, sussurrando sillabe incomprensibili, poi rifiutò cortesemente l'offerta con un cenno di una mano fratturata. Io e il vecchio ci scambiammo uno sguardo d'intesa, facemmo spallucce e continuammo a palleggiarci lo spino.
Dopo un po' cominciarono a piovere rane. Erano grosse e gonfie come palloni da basket, con gli occhi vitrei e le bocche spalancate. Venivano giù già morte, spiaccicandosi sul parabrezza e sul tetto dell'ambulanza con tonfi sordi che cancellavano qualsiasi altro rumore. I tergicristalli davanti a Bosoni oscillavano impazziti nel tentativo di liberare il vetro dalle loro interiora. – Dobbiamo fermarci o rischiamo di andare a sbattere – annunciò il mio collega. – Non ci vedo quasi per niente. – Sulla destra c'è un parcheggio – indicai. – Possiamo fare una sosta lì. Entrammo nello spiazzo, che era posto sul retro di un ex- capannone industriale restaurato per fungere da sala-conferenze, discoteca e sede provvisoria di varie associazioni no-profit. C'ero stato una volta, a una riunione degli alcolisti anonimi. – Le luci dentro sono accese – disse Bosoni adocchiando una delle finestre. – Dev'esserci un convegno in corso. – A quest'ora? – mormorai. – Mi pare strano. Si saranno dimenticati di spegnerle. – Ti dico che c'è qualcuno. Non senti questo vociare? Tesi le orecchie, e nell'esatto momento in cui le rane smettevano di cadere udii qualcosa. Sembrava che lì dentro ci fossero decine di persone, e che ripetessero all'unisono le stesse parole in un coro furioso. Da principio non capii cosa dicessero, ma dopo un po' riuscii a distinguere le sillabe e compresi che ci eravamo fermati nel posto sbagliato. Sieg Heil! Sieg Heil! Sieg Heil! era il grido che saliva da quelle gole invisibili, e all'udirlo io e Bosoni ci rimbalzammo uno sguardo di muto terrore. Tra noi e un branco di nazisti esagitati c'erano solo un muro di cemento, qualche metro d'asfalto e il parabrezza sporco di sangue della nostra ambulanza.
A questo punto mi sembra doveroso un piccolo excursus. Il motore del nostro mezzo era un FIAT 1400 costruito due anni prima, regolarmente revisionato ogni sei mesi e affidabile al centodieci percento. Passava da zero a ottanta chilometri l'ora in sei secondi netti, non si era mai ingolfato e anche quando restava a secco di olio o acqua era capace di andare avanti per almeno due ore prima di cominciare a fare le bizze. Se ciò non bastasse a favi capire quanto fosse efficiente, ricorderò che poco prima ci eravamo schiantati prima contro un dio azteco e poi contro un palo, e che era ripartito regolarmente come se niente fosse successo. Ebbene, io non so quale maledetta legge di Murphy ci fosse piombata tra capo e collo quella notte, né sono in grado di formulare ipotesi di tipo meccanico; fatto è che in quel momento, mentre i nazi sciamavano fuori dal capannone ubriachi e assetati di violenza, il motore non si accese. Bosoni girò la chiave nell'avviamento più volte e pestò sulla frizione come un forsennato, imprecò e pregò come un prete pazzo, tempestò di pugni il volante, ma fu tutto inutile. L'ambulanza ci aveva lasciati nella merda nel momento peggiore, settecentotrenta giorni di onorato servizio cancellati in un attimo da quel tradimento inatteso. – Ma guarda un po' chi abbiamo qui? – latrò un armadio a due ante con una palla da bowling al posto della testa spalancando le portiere posteriori. – Due dottorini froci, un vecchio libidinoso e uno sporco transessuale ispanico vestito a festa! Avete scelto il posto sbagliato per fare la vostra ammucchiata schifosa, adesso vi rompiamo il culo a furia di sprangate! La folla dietro di lui ruggì in maniera tremenda. Croci cerchiate, svastiche e aquile nere garrirono al vento sui vessilli che venivano alzati al di sopra dei crani glabri, lame e bastoni comparvero nelle mani di chi non reggeva bandiere. Di lì a poco ci avrebbero presi, tirati giù e fatti a pezzi come una pentolaccia al dia de los muertos. Inutile dire che i muertos in questione, purtroppo, saremmo stati noi quattro.
Quando sono con le spalle al muro di solito mi vengono le idee migliori. Afferrai una siringa sterile, la piantai nel braccio del vecchio e gli aspirai una certa quantità di sangue da una vena bluastra. Lui gemette e protestò, ma in quel momento ero troppo pieno di adrenalina per dargli retta. – Indietro! – gridai brandendo la piccola arma davanti a me. – Quest'uomo ha l'AIDS, e se vi avvicinate vi infetto tutti! Allora, chi vuole rischiare? Ve la sentite di crepare come cani tra sofferenze atroci? – Ma non è vero un cazzo! – sbottò il vecchio, offeso. – Non ce l'ho l'AIDS, perché ti inventi queste balle? – Zitto idiota! – sibilai. – Vuoi fare la fine del topo? – E perché? – si era tirato a sedere e indicava la torma di aggressori con fare amichevole. – Io ci ho combattuto assieme ai nazisti, ero dalla loro parte quando gli alleati ci scaricavano le bombe in testa. Non mi faranno niente, sono amici. Vero che siete amici? La risposta arrivò sotto forma di pugni, calci e bastonate. Sicuri che quello della siringa era stato un bluff i nazi entrarono nell'ambulanza e ci pestarono di brutto, poi ci scaraventarono fuori e si accanirono su di noi come un branco di cani da caccia contro dei cerbiatti indifesi. Vidi Bosoni che veniva estratto da un finestrino e gettato a terra, la sua schiena scomparve sotto una gragnuola di tirapugni di ferro e mazze da baseball. Cercai di reagire, di rimettermi in piedi e sferrare qualche colpo, ma i bastardi erano troppi e ottenni solo di suscitare le loro risate mentre mi massacravano. Al vecchio e a Quetzalcoatl non stava andando meglio: il primo si abbarbicava disperatamente alle gambe di un energumeno tentando di spiegargli che era dalla sua parte, il secondo era diventato un pallone umano in una improvvisata partita di rugby. Ci avrebbero ucciso di sicuro, ubriachi e incattiviti com'erano. A un tratto si udì uno scoppio assordante, e sembrò che il mondo cambiasse colore. I nazi si fermarono, concedendoci un'insperata tregua, e come un sol uomo si voltarono verso l'entrata del parcheggio. Una figura solitaria e massiccia era comparsa dal nulla, e si avvicinava a grandi falcate brandendo una lancia nella mano destra e uno scudo nella sinistra. Il mantello di leopardo, il copricapo piumato e la corazza d'oro scintillante non lasciavano spazio a dubbi, e seppi all'istante che le sorti della battaglia stavano per ribaltarsi. Huitzilopochtli, il dio conservatore e meschino che non voleva la fine del mondo, aveva fatto il suo ingresso in scena. – E tu chi sei? – abbaiò il tizio che aveva spalancato per primo le portiere. – Un altro merdoso sudamericano? Forza, ragazzi! Prendiamolo! Quella che seguì fu una scena indimenticabile: muovendosi con l'agilità di un felino Huitzilopochtli schivava, parava e affondava la lancia nella carne dei nemici abbattendoli uno a uno, la sua sagoma era una macchia maculata che si muoveva così veloce da risultare quasi invisibile. Lo vidi compiere un salto mortale all'indietro e atterrare dietro due nazi giganteschi, colpirli alle spalle con la punta della sua arma e schizzare via mentre quelli cadevano a terra, quindi capriolare tra i piedi di un terzo bestione e piantargli l'arma nel ventre facendogliela uscire dalla schiena. L'esercito della svastica era terrorizzato, ma non batté in ritirata: a gruppi di cinque o sei le teste rasate gli andarono incontro a ondate successive, finendo tutti a terra senza più vita. Alla fine restò solo il capo, quello che aveva aizzato l'attacco, tremante di rabbia e di paura con un coltello a farfalla stretto nel pugno. Guardai in alto: tra noi e le nuvole era comparsa una specie di cupola eterea che sembrava rilucere di un bagliore alieno, le stelle pulsavano come se stessero per esplodere e i fulmini disegnavano profili di divinità dimenticate sulla cornice scura del cielo. La noosfera aveva iniziato a funzionare; presto il mio cervello sarebbe diventato un piccolo e insignificante ortaggio nel grande minestrone psichico della fine del mondo.
La prima mente che incontrai fu quella di Bosoni: era una stanza calda e accogliente, tenuta in ordine perfetto, con quadri di scene campestri alle pareti e un rassicurante caminetto acceso. In un angolo del pavimento c'era una botola, e aprendola scoprii un pozzo buio brulicante di esseri pelosi e deformi che urlavano, si dibattevano e lottavano l'uno con l'altro divorandosi a vicenda. Molti erano solo poveri aborti e parevano soffrire in maniera indicibile, quasi tutti recavano tratti somatici in qualche modo riconducibili al mio collega. Stavo guardando l'angolo buio della sua coscienza, compresi, lo scantinato segreto dove teneva prigionieri gli aspetti della sua personalità che non riusciva a confessare neppure a se stesso. Era un potenziale serial killer, e se non era esploso doveva ringranziare soltanto il suo invidiabile super-io. La scena svanì, rimpiazzata da una grotta dove un gruppo di bambine era impegnato in un'orgia vomitevole con un demone gigantesco. Il mostro abusava di loro in maniera raccapricciante, poi le scagliava in aria con uno schiaffo e con una frustata della coda le tranciava in due prima che ricadessero a terra. Aveva un corpo muscoloso ricoperto di spesse scaglie, ali da pipistrello e un cazzo che pareva una trivella da minatore, ma sopra il collo la testa era quella del vecchio senza palle che avevamo caricato a bordo. Ero in contatto con lui, adesso, e porca puttana se avrei preferito non vedere quello che stavo vedendo. Un'altra mente s'intromise, ma solo per qualche istante: il nazi stava crepando sotto i colpi di lancia di Huitzilopochtli, il flusso dei suoi ultimi pensieri era un fiume di sangue nel quale annaspava un'ombra diretta verso un gorgo spaventoso. Vidi la cosa tentare disperatamente di nuotare contro corrente, ma senza successo; il maelstrom rosso la attirò nella sua trappola di cerchi concentrici trascinandola sempre più in basso fino a che non sparì del tutto. A quel punto la noosfera aveva raggiunto il culmine della sua intensità, e altre menti mi circondavano condividendo i propri pensieri e frugando nei miei.
In qualche modo riuscii a far sì che una porzione del mio essere restasse ancorata alla realtà, e così potei vedere Quetzalcoatl rimettersi in piedi a fatica, spiegare le braccia piumate come se fossero ali e avvilupparsi di una fosforescenza rosa che gli pioveva addosso da un punto imprecisato sopra la testa. Un attimo, un battito di ciglia, il tempo di uno sputo e di una bestemmia, e delle ferite che aveva avuto addosso fino a un momento prima non restava più traccia. Ora che la noosfera era al suo apice e che l'orologio del mondo scandiva gli ultimi rintocchi il potere del dio era ai massimi livelli, una corazza di pura energia gli fluttuava appena sopra la pelle conferendogli le sembianze di una statua dorata. Huitzilopochtli lo attendeva con l'arma puntata davanti a sé, pronto allo scontro finale, ma l'esito di quel duello atteso per innumerevoli secoli sembrava inevitabilmente a favore del suo rivale. Una spada di fiamme comparve nelle mani di Quetzalcoatl, e brandendola sopra il capo il dio si avventò contro il suo avversario. Le armi cozzarono mandando scintille, la terra tremò e scricchiolò, volute di fumo si levarono dalla carne lacerata di Huitzilopochtli che, ferito in più punti dalla lama di fuoco, non accennava a innalzare bandiera bianca. Stava lottando per me, per Bosoni, per il vecchio e anche per quella bagascia della mia ex-moglie che in quel momento se ne stava in chissà quale letto a farsi sbattere con i polsi legati alla spalliera. Stava lottando, e morendo, per la razza umana, e checché ne avesse detto il santone allampanato su Italia1 a me non sembrava né meschino né tantomeno conservatore. A me sembrava un fottuto eroe.
Dovevo fare qualcosa, e dovevo farlo subito. Lanciai la mia mente nella noosfera e l'attraversai alla velocità di un proiettile sparato in una galleria, diretto laddove speravo di rimediare un'arma abbastanza potente da fermare Quetzalcoatl. Superai senza degnarli di attenzione milioni di pensieri, svoltai a incroci di esistenze, precipitai lungo dirupi della coscienza e mi arrampicai come una capra di montagna su cumuli di speranze andate in frantumi. Non posso descrivere con sufficiente precisione quello che incontrai in quell'universo metafisico, e se non finii con il perdermi probabilmente fu solo perché avevo la testa leggera e libera per via di tutta l'erba che avevo fumato. Quando si dice che le droghe fanno male, che sono dannose e vanno combattute con tutti i mezzi, bisognerebbe sapere almeno per sommi capi di cosa si parla. Io vi dico che quella notte le droghe salvarono il mondo. Alla fine arrivai lì dove mi ero preposto: le menti dei concorrenti del reality-show che avevo seguito in TV erano enormi cassonetti dell'immondizia strabordanti delle più inutili cazzate, contenitori pieni di merda che dovevo svuotare per riempirli con qualcosa di distruttivo. La mia missione esigeva un sacrificio, e mi ero detto che quegli inetti erano la scelta perfetta. Feci piazza pulita dei loro pensieri scalciandoli lontano, senza che nessuno opponesse resistenza, poi percorsi a ritroso la strada fatta per arrivare fin lì trascinandomi dietro gli involucri che mi servivano per attuare il mio piano. Tornato nella mente di Bosoni aprii la botola nel pavimento, mi ci calai e lasciai che i mostri del suo subconscio sciamassero famelici verso di me, e quando furono abbastanza vicini fui lesto a intrappolarli nelle menti vuote che avevo rubato. Urlavano e si dibattevano come ossessi, ma oramai erano imprigionati lì dentro e non ne sarebbero più usciti. Adesso avevo la mia arma contro Quetzalcoatl: un pugno di bombe psichiche da scaricargli addosso sperando che fossero abbastanza potenti da metterlo K.O.
Ora veniva la parte più difficile. Facendo appello a tutta la mia concentrazione risucchiai dentro di me quegli abomini mentali e li tenni a freno più a lungo che potevo per aumentare la loro ferocia. Era orribile sentirli ululare attraverso le mie sinapsi, ma sapevo che non avrei avuto una seconda possibilità e resistetti fin quanto potei. Quetzalcoatl stava preparandosi a finire l'avversario con il colpo di grazia, e fu allora che mi decisi ad agire: indirizzai il mio pensiero verso di lui e liberai le menti che avevo imprigionato nella mia testa. Vidi chiaramente un fascio luminoso dipartirsi dalla mia fronte e colpire il dio, e un attimo dopo le creature ributtanti che avevano albergato dentro Bosoni gli si avvinghiarono addosso strappandogli a morsi e unghiate la corazza energetica. Confuso, Quetzalcoatl si disinteressò di Huitzilopochtli e cominciò a menare fendenti verso i nuovi aggressori, e questo permise al suo antagonista di rimettersi in piedi e sferrare l'attacco finale. La lancia partì dalle sue mani con tale violenza che l'aria fischiò come la ciminiera di una locomotiva a vapore, percorse in un lampo la distanza che la separava dal bersaglio e si piantò nel petto del Fratello della Cometa, il Portatore di Verità, il Dio degli Ultimi Giorni e l'Apostolo della Nuova Era facendoli secchi tutti e quattro contemporaneamente. Quetzalcoatl indietreggiò con gli occhi già velati mentre la spada gli scompariva dalle mani, sputò un fiotto di sangue divino, tentò di dire qualcosa e alla fine crollò sulle ginocchia e si abbattè faccia in giù sull'asfalto. Le creature mostruose fuggirono via, la noosfera collassò e si spense, il cielo ritornò del colore normale e Huitzilopochtli alzò lo scudo e levò un grido di vittoria cui mi unii con quanto fiato avevo in gola. L'umanità era salva. L'Apocalisse era rimandata a data da destinare.
Quasi volesse prenderci per il culo, l'ambulanza andò in moto al primo tentativo. Io e Bosoni portammo il vecchio all'ospedale, ci facemmo medicare da un paio di infermiere piuttosto carine e ce ne andammo alla ricerca di un locale ancora aperto per farci un paio di birre. La città era tranquilla, ma dietro molte finestre si vedevano le luci accese e c'era un bel po' di gente affacciata ai balconi con un'espressione meditabonda spiaccicata sul viso. Immaginai quali fossero i loro pensieri: si stavano tutti chiedendo se quell'esperienza di fusione mentale se la fossero sognata o se fosse accaduta sul serio. Probabilmente non sarebbero mai giunti a una risposta soddisfacente.
– È incredibile – stava dicendo Bosoni mentre trangugiava la sesta Budweiser. – A parte il dolore fisico per le botte prese, non mi sentivo così bene da quando ero bambino. In pace con me stesso, intendo. È come se qualcuno avesse preso i lati più cattivi del mio carattere, i pensieri più brutti, e li avesse spazzati via. Mi sento un altro, te lo assicuro. Sono un altro. Porca miseria, ho perfino voglia di tornare a casa da mia moglie e dirle che l'amo! Sorrisi, mentre gli passavo ciò che restava del mio ultimo spinello. Non lo avrebbe mai saputo, ma era me che doveva ringraziare per essersi liberato dei suoi istinti repressi. Mentre lui e il resto dei cervelli del mondo erano intrappolati nello stand-by della noosfera io avevo fatto un bel po' di casino avanti e indietro, avevo aiutato Huitzilopochtli a vincere la battaglia e a salvare la nostra palla verde e azzurra. Mi veniva voglia di raccontarlo, ma chi mai ci avrebbe creduto? – Ehi! Ascoltate! – gridò il barista, alzando il volume della televisione. Un'edizione straordinaria del TG5 riportava la notizia di un massacro appena avvenuto nella casa che ospitava un famoso reality-show. A un tratto i concorrenti erano caduti in una sorta di stato catatonico, poi quando erano tornati coscienti avevano iniziato a comportarsi come dei pazzi furiosi finendo per trucidarsi a vicenda. Tutto regolare, pensai: con la caduta della noosfera le menti che avevo preso in prestito per combattere Quetzalcoatl erano ritornate all'ovile, solo che si erano portate dietro i mostri di Bosoni con cui le avevo riempite. Su Italia1 era ricomparso il santone. – La fine è solo rimandata! – stava minacciando. – Quetzalcoatl è sconfitto, ma non è morto! Egli è capace di trasferire la sua essenza da un corpo all'altro, e certamente avrà già preso possesso di un involucro umano che gli permetta di ritornare da dove è giunto per preparare un'altra venuta. Non ero sul posto dove si è svolta la lotta, ma so che una lotta c'è stata. Chi ne è stato testimone è avvertito: non crediate di aver battuto Quetzalcoatl! – Che ne pensi? – chiesi a Bosoni, mentre ordinavo un'altra pinta. – Be', sulle altre cose ci ha preso – mormorò il mio collega. – Mi sa che potrebbe avere ragione anche stavolta. – In quale corpo credi che sia entrato? C'eravamo solo noi e i nazi in quel parcheggio. – I nazi sono tutti morti – mi ricordò Bosoni. – A te sembra di avere un dio distruttore in corpo? – Non direi proprio. – Neanch'io. Questo vuol dire che... – Vuol dire che... – ripetei mentre la verità mi si schiudeva nella mente lenta come un bocciolo a primavera. – Vuol... dire... che... – farfugliò il mio collega. – All'ospedale! – gridai saltando dalla sedia e afferrando Bosoni per un braccio, ed entrambi ci precipitammo fuori dal bar.
Era appollaiato sul davanzale di una finestra, coperto solo da una vestaglia a righe che svolazzava nel vento. Guardava lontano, verso l'orizzonte, perduto in pensieri che non gli appartenevano. Sembrava pronto a saltare giù, sebbene la stanza dove lo avevano ricoverato fosse al settimo piano. I nervi del suo collo incartapecorito erano tesi fino allo spasimo. – Scendi di lì, vecchio – gli disse Bosoni tentando di avvicinarsi, ma lui lo rintuzzò con un sibilo da serpente. – Non ti hanno ancora riattaccato le palle – provai a blandirlo. – Non le rivuoi le tue palle? No che non le rivoleva, perché agli dèi le palle non servono. Loro sono bravissimi a escogitare metodi sempre nuovi per ingravidare le belle figliole, e si divertono un sacco a trasformarsi in tori bianchi, nebbioline impalpabili e altre amenità del genere. Fu per questo che il vecchio girò il collo di trecentossessanta gradi e ci piantò in faccia due occhi incandescenti, quindi spalancò le labbra e ci rivolse una smorfia cattiva. – In iztlactli, in tenqualactli! In yollohtli, in eztli! – gracchiò con voce che non era più sua, quindi spiccò un salto nel vuoto e a mezz'aria si trasformò in una palla di fuoco che salì in cielo fino a scomparire. Quel bastardone di Quetzalcoatl ce l'aveva fatta proprio sotto il naso, e chissà cosa avrebbe tramato per vendicarsi. A pensarci bene, avrei dovuto avere paura, ma in quel momento ero troppo fatto e ubriaco e scoppiai invece in una risata incontrollabile. – Hai visto... hai visto che culo secco che aveva? – domandai con le lacrime agli occhi. – Sì! – abbaiò Bosoni, più cotto di me. – E quelle scemenze che blaterava... izaquesto, ezaquello... – Tu credi che tornerà per ucciderci? – Sì. A colpi di stampella! Restammo in quella stanza a spanciarci per un pezzo, attirando l'attenzione del personale che faceva il turno di notte, e alla fine ce ne tornammo a casa cantando e tenendoci abbracciati come veri amici. Sopra le nostre teste di cazzo il cielo era una volta insondabile punteggiata di stelle lontane, e neppure per un momento ci passò per la mente di alzare lo sguardo. Dèi e demoni avevano finito di rompere i coglioni per quella notte, e nelle strade deserte risuonavano solo le voci alticce e sguaiate dei due paramedici che avevano salvato il mondo.
Edited by bravecharlie - 4/3/2009, 00:02
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