Non chiamarmi ragazzina!
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Non chiamarmi ragazzina!

di Nicola Roserba - 34.000 battute - fantascienza

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  1. shivan01
     
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    Ciao! Questo mese propongo un racconto per me importante. Ho ricevuto un paio di commenti molto molto utili, al tempo, su questo pezzo. Mi sono serviti assai allora, e ringrazio chi me li ha lasciati. Ho provato a riscriverlo quasi da capo sulla base delle loro osservazioni. Spero che il risultato piaccia.

    NON CHIAMARMI RAGAZZINA!



    Passi svelti, nel ventre scuro della notte.
    Il respiro ansimante. L’adrenalina un fiume nelle vene.
    Anita correva a perdifiato, come la vita le aveva insegnato a fare. Ragazzina di strada da molto prima dell’invasione, conosceva il territorio e scappava svelta, presa da un misto di paura e di strana euforia.
    Sapeva diventare un’ombra, di quelle che la coda dell’occhio percepisce a malapena e che il cervello subito dimentica. Veloce, silenziosa.
    I suoi genitori, due maledetti tossici, l’avevano abbandonata che era quasi una bambina e lei aveva imparato da tempo a cavarsela da sola. In qualche modo, se ci sarebbe riuscita anche quella volta, ne era sicura.
    L’avevano beccata a rovistare in un negozio abbandonato. Cercava da mangiare ed era riuscita appena in tempo a filarsela dalla porta sul retro. Si era fatta scaltra, con gli anni, e non si infilava mai nei casini senza avere una via di fuga.
    Sapeva di esser stata fortunata. Quella era solo una pattuglia, due bastardi a piedi e basta. Se fossero stati con un mezzo o peggio supportati da un’unità volante, l’avrebbero presa.
    Correva leggera. Sapeva dove andare, aveva tanti rifugi sicuri nella città vuota, tante nicchie, posti con storie da raccontare, ombre di un passato che non sembrava saper tornare.

    Erano sbarcati da grandi navi bianche. Molto simili agli umani. Emaciati, sorridenti. Gesti di saluto e tanta generosità. L’Uomo aveva esultato, ai quattro angoli della Terra, e si era distratto dalle proprie beghe di quartiere.
    Di corporatura in tutto simile a un uomo di taglia media, sembravano a prima vista somigliare a quei nobilastri vampiri che popolavano certi fumetti, con quei lunghi capelli bianchi, l’età indefinibile, le mani adunche.
    I Kneser, così si erano fatti chiamare, avevano costruito insediamenti ovunque sulla terra, e avevano dispensato tecnologie che erano appartenute fino ad allora alla fantascienza. L’Umanità si era fatta volentieri un po’ più in là, per far loro posto.
    Tempo di organizzarsi, e gli insediamenti erano diventate basi, i sorrisi volti minacciosi, i gesti di saluto pugni chiusi per schiacciare ogni opposizione.
    La Terra si era arresa quasi subito, e da magma di nazioni e menti libere e bellicose era diventata una monumentale miniera e un’altrettanto grande riserva di cibo per loro.
    La vita della gente da allora era scandita dai turni di lavoro, e le ribellioni erano represse nel sangue. E poi i collaborazionisti, i peggiori. Bastardi che si erano venduti agli invasori per avere salva la pelle in cambio di quella del prossimo.
    Anita spesso ricordava di come avesse visto tante volte storie come quella, in televisione, e di aver persino sbuffato pensando a quanta mancanza di originalità certi sceneggiatori dimostrassero. E invece era accaduto per davvero, proprio come alla TV.

    Filava veloce, leggera, ma non riusciva a distanziare quei due. Ansimava, sfilando rasente ai muri per essere rapida a svoltare. Sentiva dietro di sé i passi pesanti degli inseguitori, che stavano guadagnando terreno senza sforzo apparente. La ragazza pensò sgomenta che stessero giocando con lei.
    Anita svoltò a destra, in un vicolo scuro che sapeva avere una via d’uscita tra due palazzi vicini. Nessuno conosceva quella scappatoia e, se avesse avuto un po’ di fortuna, forse quei due avrebbero pensato che fosse evaporata nell’aria ferma della notte.
    S’involò verso il pertugio ma, passando davanti a un portone basso, si sentì avvinghiare da una presa d’acciaio e tirare a forza dentro l’apertura.
    La porta si richiuse e il buio del nuovo ambiente accecò gli occhi spauriti della giovane.
    Si dibatté come una belva, ma quelle braccia sembravano tronchi d’albero. Una mano le premeva sulla bocca e un alito pesante di tabacco le sussurrò “Zitta!” all’orecchio.
    Anita smise di combattere e rimase immobile, in ascolto. I passi degli alieni si avvicinarono per poi fermarsi proprio davanti al portone. Lei e il suo... salvatore? rapitore? rimasero congelati, le spalle al muro, protetti dall’oscurità, gli occhi fissi alla lama di luce che filtrava da sotto la porta.
    Le ombre degli inseguitori scivolarono nella fessura, andando avanti e indietro, nervose, curiose, mentre quelli imprecavano nella loro strana lingua fatta di sibili e schiocchi, impossibile da riprodurre, ma che la fuggitiva aveva da poco iniziato a comprendere.
    L’uomo la teneva stretta e attendeva, senza far rumore. Sembrava respirasse appena.
    Dopo pochi interminabili istanti, i due alieni si allontanarono. La ragazza tentò di divincolarsi ma lui la trattenne ancora per qualche minuto. Poi la lasciò.
    “Ma chi sei?” chiese lei, massaggiandosi il braccio dolorante.
    “Non importa chi sono. Tu, piuttosto, cosa ci fai qua?” rispose invece l’ombra che l’aveva salvata.
    “Io qua ci vivo, bello...” rispose Anita, sfrontata, e fece per voltarsi e uscire, ma l’altro la bloccò.
    “Dove vai?”
    “Beh, via, direi. Cosa restiamo a fare qua?”
    “Hai mangiato qualcosa, di recente?”
    Il suo stomaco avrebbe voluto rispondere da solo, ma non ce ne fu bisogno. “No.”
    Anita sentì rovistare l’uomo in quello che forse era una sacca, e poi qualcosa le fu messo in mano. “Tieni.”
    La vita di strada le aveva insegnato a non andare per il sottile. Farfugliando un ringraziamento, disfò l’involucro e si trovò in bocca un panino al tacchino che sapeva di paradiso.
    L’altro accese una torcia e il chiarore pallido le restituì le fattezze di un giovane sui venticinque anni, ben piazzato, i capelli scarmigliati a incorniciare lineamenti duri, ma non cattivi.
    “Per la miseria! Ma quanti anni hai?” chiese lui sbalordito.
    “Quindici, perché?” farfugliò lei sputacchiando molliche, e dispiacendosi per quell’inutile spreco.
    “Beh, io sono Raul...” Le tese la mano e la giovane gliela strinse con la sinistra, la destra aveva altro da fare. “Anita.”
    La ragazza si guardò intorno. La luce pallida illuminava un androne spoglio, morto. Si accorse che lui la fissava con uno strano sorriso, appena accennato. “Che hai da guardare?”
    “Sono della Resistenza, ragazzina. Forse lo avrai capito già, no?”
    “Certo! E non chiamarmi ragazzina!”, rispose piccata, pulendosi la bocca con la manica lurida. “Che ci fai qua?” chiese a sua volta.
    “Ogni tanto veniamo a vedere se c’è ancora qualcuno in città, e cerchiamo di aiutarlo.”
    “Beh, non c’è nessuno, credo. Non vedo anima viva da giorni. Li hanno portati via tutti, o sono scappati, non so.”
    “E tu perché rimani?” L’uomo la scrutava.
    “Qua so cavarmela...” iniziò lei, ma fu interrotta.
    “Non hai futuro qua, ragazzina. Prima o poi ti prenderanno, e lo sai cosa fanno a quelli come te.”
    “No, perché? Cosa fanno?”
    Raul sorrise: “Stai qua da sola e non sai niente di quello che succede là fuori eh? I vecchi sono tutti morti, gli uomini lavorano, le donne sono fabbriche di bambini. Ai Kneser piace il gusto della carne giovane...”
    Anita raggelò: “Ma io sono grande ormai...”
    L’uomo scosse la testa: “Non abbastanza. Allevano umani per avere schiavi, ma siamo ancora tanti, e quelli non si fanno problemi a sterminare persino i bambini.”
    “Hai dell’acqua?”, chiese lei, scossa.
    Raul le allungò una borraccia. “Tieni.”
    Bevve avidamente, guardando quello strano ragazzo. ‘Cosa vuole da me?’ pensò.
    “Senti, io ora devo andare. Torno al mio campo. Vieni con me, siamo in parecchi, lì staresti meglio.”
    Anita lo guardò perplessa. Quel tizio le infondeva fiducia, ma aveva imparato a essere prudente.
    “Meglio di no, Raul, scusa. Io sto bene da sola.”
    Lui parve deluso. “Sei sicura?”
    Lei annuì, cercando di sembrare più risoluta di quanto non fosse in realtà: “Semmai dimmi dove siete, e se cambierò idea vi raggiungerò.”
    “Non se ne parla, ragazzina, se ti prendono e ti fanno parlare - e accadrà di sicuro - farai ammazzare un sacco di persone. O vieni con me o niente”, tagliò corto l’altro.
    “Ok allora ciao!” fece invece Anita, altezzosa, “E non chiamarmi ragazzina!”
    Lui non rispose ma si alzò, rimase in ascolto, poi aprì la porta. “Via libera. Vai.”
    “E tu?”
    “Che ti frega? Sola eri e sola vuoi rimanere no? Vai!” le fece Raul indicandole l’uscita con un gesto plateale.
    Lei si alzò, un po’ incerta, e infilò la porta scoccando all’uomo uno sguardo di ringraziamento, poi s’immerse nella notte.

    L’aria fresca le carezzava le guance. Procedeva guardinga evitando le zone illuminate. Aveva pensato a dove passare il resto di quella notte movimentata: uno dei suoi rifugi. Non era lontano, e Anita si stava rilassando, sentendosi già al sicuro.
    Camminava da qualche minuto. Eccolo lì, bastava svoltare l’angolo e poi avrebbe ritrovato quella casa vuota. C’era un bel letto comodo e...
    ... cadde loro in braccio. Letteralmente. Erano sempre in due, forse gli stessi di prima, fermi dietro quel maledetto muro. Come aveva fatto a non sentirli?
    L’afferrarono, gli sguardi insondabili di quegli occhi color latte: “Cosa abbiamo qua?”, ghignò uno sibilando. La prigioniera si dibatteva e urlava, disperata, ma loro la tenevano sollevata da terra e lei poteva fare poco di più che scalciare in aria.
    La trascinarono verso un veicolo non lontano. Pochi metri, e la vita come la conosceva sarebbe finita per sempre.
    Poi, accadde tutto all’improvviso. Sembrava essersi materializzato dal nulla. Un’ombra velocissima, implacabile. Assalì il Kneser alla sinistra di Anita e lo sgozzò in un unico plastico movimento. Il liquido nerastro, pastoso, che faceva loro da sangue disegnò una macabra gorgiera sul petto del mostro. Attimi. L’altro non ebbe il tempo di fare niente che si trovò una pallottola piantata in fronte.
    “Allora, vieni con me o no adesso, ragazzina?”
    La giovane era caduta a terra durante la colluttazione. Lo guardò un attimo, spaurita, e poi gli tese una mano tremante.
    Lui le diede uno strano oggetto grigio, sembrava una scatola di fiammiferi. “Non separartene mai, ti maschererà ai loro sensori di calore corporeo. Andiamo.” Anita comprese allora come mai gli alieni la trovassero con così grande facilità. Fece per parlarne a Raul, ma il ragazzo si era già incamminato.

    Scivolarono nella notte. La ragazza lo seguiva, ammirando quello strano combattente che faceva dell’oscurità la sua alcova, sparendo nel buio e ricomparendo senza far rumore. La città, silenziosa, sembrava non accorgersi di loro.
    “Il mio mezzo è poco più avanti”, annunciò Raul all’improvviso.
    Si infilò in un vicolo e scoprì, sotto un telo lurido, una moto. Anita si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa.
    “Come hai fatto a entrare in città con quella? Non ti hanno visto?”
    “Siamo in periferia, ragazzina, non ho percorso tanta strada nell’abitato. E poi ho fatto qualche modifica al motore, sentirai.”, le disse, ridacchiando nel vedere la sua espressione alterarsi, “Ah sì! Non ti devo chiamare ragazzina. Ok, Anita.”
    Lei non rispose, limitandosi a borbottare qualcosa tra sé.
    Raul inserì la chiave nel quadro e la moto si accese, senza fare alcun rumore. “è elettrica...” le sorrise.
    Montò in sella e le porse un braccio. Anita salì dietro all’uomo avvinghiandosi ai fianchi muscolosi del ragazzo. Non sapeva dove l’avrebbe portata, ma lui aveva avuto ragione, poco prima. Non c’era futuro per lei, sola, in quelle strade vuote. Sarebbe stata catturata e uccisa. Anzi, sarebbe già accaduto, se non fosse stato per il suo intervento.
    L’aria fredda della notte morente le sferzò il viso, con sempre maggior violenza, mentre il mezzo entrava in strada e prendeva velocità lungo i viali deserti.

    La città sfilava via tra archi di luce, dove qualche lampione ancora si ostinava a funzionare, e pozze d’ombra liquefatte sull’asfalto.
    L’uomo ogni tanto le lanciava un’occhiata attraverso lo specchietto, senza sorriderle o altro. Voleva solo accertarsi che stesse bene. Quando quel pensiero passò per la mente di Anita, lei si scoprì ad accarezzarlo, incerta, speranzosa, perché di affetto per la strada ne aveva sempre raccolto poco.

    Sfrecciavano per la tangenziale, verso la campagna. Stava lasciando la città dopo anni, e si sentì nuda senza le alte mura dei palazzi intorno.
    D’improvviso udì Raul imprecare, e uno scossone, mentre la moto prendeva velocità, le ruote a mordere l’asfalto.
    “Che succede?” gridò la ragazza cercando di sovrastare l’urlo del vento.
    “Ci hanno visti!”
    Anita si voltò e vide uno di quegli strani veicoli Kneser che sembravano scivolare sulla strada, senza far rumore, in equilibrio sull’unico cingolo che ne faceva uno strano surrogato di un sidecar. Erano quasi comici da vedere, ma sapevano correre veloce, e quello stava guadagnando terreno. Dentro, la luce pallida di qualche display disegnava le sagome di due alieni.
    La strada non aveva uscite per un bel pezzo. Erano in trappola. Raul estrasse la pistola e sparò qualche colpo senza molte speranze verso gli inseguitori.
    Il mezzo, ormai a ridosso dei fuggitivi, sembrava volerli speronare.
    Il ragazzo scartò di lato un attimo prima dell’impatto, e per un istante gli sguardi di Anita s’incrociarono con quelli acquosi, freddi, degli inseguitori. Il campo di forza che riparava il passeggero si dissolse e spuntò una pistola laser. La macchina piegò in direzione dei fuggitivi, per speronarli di lato, ma Raul fu lesto a frenare e i Kneser mancarono la ruota anteriore della moto di un niente. Poi, la gravità fece il resto.
    Il veicolo degli alieni perse l’assetto e cappottò, più volte. Uno dei due fu sbalzato fuori, sul selciato, l’altro rimase dentro.
    La macchina esplose quasi subito. Una grassa nuvola di fuoco salì in cielo, opulenta come uno di quei fiori tropicali che sboccia a velocità accelerata nei documentari.
    Raul fermò la moto vicino al ferito a terra, che si agitava debolmente, una gamba piegata in un modo impossibile sotto il corpo.
    Il ragazzo impugnò la pistola e gridò qualcosa in un’ottima imitazione della lingua Kneser. Sibili d’odio, mentre le pupille dell’altro si dilatavano. Poi un colpo secco, in fronte.
    Anita, tremante, quasi nascosta dietro le possenti spalle del suo salvatore, guardava il cadavere. “Che gli hai detto?”
    “Che è un maledetto Ashraak”, disse lui assorto mentre riponeva l’arma.
    “Cos’è un Ashraak?”
    “Sono la tribù che controlla la città, ragazzina.”
    La ragazza ricordò che i Kneser erano divisi in tribù bellicose che si combattevano spesso tra loro per il dominio sui territori migliori. A rimetterci era sempre la gente comune, i poveracci che soccombono ogni volta che qualche potente trova qualcosa da ridire contro un altro.
    “Andiamo, dai...” la esortò Raul, rimontando in sella.
    Abbarbicata a quell’uomo forte, Anita si sentiva al sicuro, quasi fosse l’ultima cassa di legno a cui aggrapparsi, di quelle che non ne vogliono sapere di affondare dopo un naufragio. E percepiva che le proprie certezze, la sua sfrontatezza, quell’orgoglio giovanile che era sbocciato prepotente alle prime affermazioni di sé, stavano sciogliendosi come ghiaccioli in primavera.
    La moto filava veloce, in un silenzio irreale. La strada tagliava in due una foresta, come tela tranciata da un qualche sarto con la mano ferma, ma a un tratto lei sentì il suo compagno agitarsi nervoso.
    “Che succede?” chiese allora, urlando sopra il vento.
    Raul non rispose, ma rallentò. Scese dalla moto, accostata al ciglio di quella lingua d’asfalto deserta, e si chinò a osservare il motore. Anche Anita si avvicinò, e si vide indicare un forellino sulla fiancata della moto.
    “Ci hanno beccati,” sentenziò lui, “ecco perché non andava.”
    A lei era parso che stesse andando benissimo e lo guardò perplessa, timorosa: “E ora che facciamo?”
    Il ragazzo non la guardò, ma iniziò a trascinare il mezzo, sbuffando per lo sforzo. “Proseguiamo a piedi. Che altro?”
    La moto volò in un fosso. Raul si premurò di ricoprirla con arbusti e quello che trovò lì attorno.
    “Andiamo,” le disse, scrutando l’orizzonte dietro di loro. Poi la prese per mano e s’inoltrò tra gli alberi.
    Lei lo seguì, svelta. L’uomo camminava veloce, sembrava sapesse dove andare. “Manca molto?” gli chiese.
    “No, non molto”, le rispose lui senza volgersi a guardarla. Anita pensò che per il momento sarebbe stato meglio non stuzzicarlo, perché le era chiaro che il suo compagno era furibondo per com’erano andate le cose.

    Camminarono per ore, invece, e si stava quasi facendo sera.
    Raul disse che sarebbe stato meglio fermarsi lì e ripartire il giorno dopo.
    “Ma non era vicino?” azzardò lei.
    Lui sorrise divertito, “Dipende da come definisci vicino, ragazzina.”
    “Mi chiamo Anita, ricordi?” gli ringhiò la ragazza con tutta la rabbia del suo orgoglio di giovane donna ferita. Quell’uomo cominciava a piacerle, e che la considerasse una bambina proprio non le andava giù.
    “Scusami. Tieni, prendi questo.” fece l’uomo tendendole un pezzo di formaggio, cavato anch’esso dal quello zainetto che sembrava non avere fondo.
    “Dobbiamo superare quella collina e poi saremo al campo. Visto che andiamo a piedi tagliamo dritto, ok?” si decise poi a spiegarle.
    Lei annuì, la bocca piena.
    “Chi sei, Raul?” chiese, farfugliando un po’.
    Lui la guardò con un tenue sorriso. “Sono un reietto. Anita. Un uomo in fuga. Non certo un eroe. Nessuno lo è, di questi tempi. Cerco solo di sopravvivere.”
    La ragazza studiò per un attimo la sua espressione assorta. Le sembrava che le avesse risposto con una frase fatta, da film. Non le aveva detto nulla, in fondo. “Sì, ma chi sei?” insistette.
    L’uomo sospirò: “Sono un poliziotto, o meglio lo ero. Avevo una famiglia, una volta, una moto...” risero insieme a quella battuta, “degli amici, un bancone di un bar dove andare a farmi una birra il venerdì sera. Un figlio che stavo crescendo come potevo, dopo che lei mi ha lasciato.”
    “Sei divorziato?”
    “Non ho fatto in tempo, sono morti prima che ci separassimo.”
    “Scusa...” mormorò lei.
    Lui parve non averla sentita. “Ero al bar, dopo una litigata con Adriana. Non voleva farmi vedere mio figlio”, raccontò. “Ero lì con gli amici e commentavamo mezzi ubriachi le notizie sportive. All’improvviso ci tagliano la trasmissione. Neanche il tempo di bestemmiare che parte un’edizione straordinaria del notiziario che annuncia che i Kneser erano partiti all’attacco.”
    Anita conosceva quella storia, ma non volle interromperlo.
    “Abitavamo, o meglio la mia famiglia abitava”, continuò Raul, “vicino al Parlamento. Così esco a razzo dal bar, prendo la moto e parto verso casa. Sono stato fermato dalla polizia a una certa distanza, ma il fumo nero che già si alzava dalla parte di casa mia mi aveva fatto capire tutto. Dovevo essere divorziato, ma non ho fatto in tempo.”
    “Capisco.”
    L’espressione di lui significava ‘No, ragazzina, tu non puoi capire’, ma la sua voce mormorò invece solo qualche parola di ringraziamento.
    “... e allora sei diventato il superuomo che mi ha salvato la vita, eh?” disse Anita per stemperare la tensione.
    Raul le sorrise, ma d’improvviso l’espressione gli morì in volto. Teso, lo sguardo a scrutare da dove erano venuti. Si portò un dito alla bocca: “Sshh!”
    Lei si accucciò cercando di seguire il suo sguardo. “Chi c’è?” sussurrò.
    “Kneser, credo, ci hanno seguiti. Resta qui”, rispose lui strisciando via. Sparì nella penombra del bosco e in un attimo fu come se non fosse mai esistito.
    Anita ci pensò su, ma solo per un attimo. Di restare lì non se ne parlava nemmeno. E se non si fossero rincontrati? E se fossero arrivati altri Kneser? Seguì il suo salvatore, cauta, cercando di fare meno rumore possibile.
    Pochi secondi e il silenzio irreale della sera lasciò il posto alle urla e ai tonfi di una colluttazione.
    Arrivata sul posto, vide che Raul aveva già atterrato un alieno e stava cercando di strozzare l’altro. Lo vide metterci tutta la forza che aveva nelle braccia. Il mostro emetteva suoni gutturali, le orbite bianchicce strabuzzate come assurde uova sode.
    A terra c’erano le armi di entrambi i contendenti. Raul doveva aver atterrato i due e perso poi la pistola nella caduta.
    Anita vide con orrore l’altro assalitore alzarsi da terra dolorante, ma riaversi quasi subito, per poi dirigersi risoluto verso l’uomo, passargli un braccio intorno al collo e tirarlo via dal suo compagno agonizzante.
    Raul era in piedi, immobilizzato dal suo aggressore, mentre l’altro si riprendeva ed estraeva una lama dalla foggia quasi rituale. La ragazza trasalì, ma non ci pensò due volte: si lanciò in avanti e, afferrata l’arma del suo compagno, la puntò con entrambe le mani sull’alieno armato.
    Quel movimento fece voltare il Kneser che, alla vista di quella piccola umana che teneva una pistola più grossa delle sue mani giunte, sibilò in un abbozzo di risata.
    “Fermo!” gli gridò lei, mentre quello si avvicinava.
    “Anita! Spara!” urlò invece Raul. E lei lo fece. Il rinculo la sbalzò a terra. L’arma volò lontano, ma il Kneser cadde sulle ginocchia, guardandosi perplesso il torace devastato, e poi crollò a faccia in giù, a pochi centimetri dalla ragazza.
    Raul allora approfittò dell’attimo di disorientamento del secondo Kneser per divincolarsi.
    Si gettò a terra e afferrò la lama, per poi rialzarsi in un unico, rapido movimento.
    L’alieno lo guardò per un attimo, poi si diede alla fuga. L’uomo prese la mira e lanciò il pugnale che si piantò tra le scapole del fuggitivo, o quello che aveva al loro posto.
    Si volse poi verso Anita, tendendole una mano per aiutarla a rialzarsi. Lei si affrettò a dire, “Stavolta ti ho salvato io! Siamo pari!”
    Lui le passò un braccio sulle spalle e le sorrise, mentre si avviavano verso il loro campo. “Sì, ragazzina, siamo pari.” E rise di gusto a sentire i mugugni dell’altra.

    Il mattino dopo si rimisero in cammino, un occhio e un orecchio al percorso che si lasciavano alle spalle. Erano quasi stati presi di sorpresa, la sera prima. Se l’erano cavata, certo, ma non avrebbero avuto la stessa fortuna una seconda volta.
    “Manca poco?” tornò a chiedere Anita.
    “Un paio d’ore di cammino, credo, non sono mai passato di qui.”
    ‘Come sarebbe non sei passato di qui?’ avrebbe chiesto la Anita di una volta, ma lui si era guadagnato la sua fiducia, e si morse la lingua.
    Giunsero in cima alla collina e Raul sbuffò. “Che succede?” chiese lei.
    “Siamo più lontani del previsto”, borbottò lui rimettendosi a camminare. Pochi passi, però, e le fece segno di acquattarsi.
    Le indicò un punto più avanti, sulla sinistra. Anita aguzzò la vista e colse un movimento. “Kneser?”
    “Non credo. Forse ronde di collaborazionisti...”
    Si nascosero in ascolto per qualche minuto, poi Raul le sussurrò: “Seguiamolo”.
    Lo avvistarono quasi subito.
    Lo sconosciuto era umano e procedeva furtivo. La ragazza osservò che non sembrava stesse cercando qualcuno, quanto piuttosto di non farsi vedere. Lo disse al compagno che annuì e riprese l’inseguimento.
    L’uomo che stavano pedinando procedeva spedito nel sottobosco, badando a far meno rumore possibile. Sembrava avesse una meta precisa.
    La selva, d’improvviso, lasciò il posto a un dirupo scosceso e lui prese a scendere. I due rimasero a distanza e videro quale fosse la sua destinazione. Poco sotto c’era una specie di terrazzamento; lo sconosciuto discese fino a lì e parve scomparire. Raul le fece cenno di attenderlo e si avviò furtivo.
    La ragazza lo perse di vista quasi subito e rimase sola, nascosta tra i cespugli, in attesa trepidante.
    Passarono minuti interminabili, i sensi tesi allo spasimo, poi percepì un movimento. Strisciò a nascondersi dietro un cespuglio, ma era Raul che tornava. Si alzò in piedi con un gran sorriso, come non faceva da tempo. Lui però, torvo, gli fece cenno che dovevano allontanarsi in fretta.
    Lei lo seguì, e solo a distanza di sicurezza osò chiedere chi fosse quell’uomo.
    “Collaborazionisti. C’è una grotta lì, e parecchi di loro.”
    “E perché si nascondono?”
    “Temono noi della Resistenza, ragazzina.”
    Anita aveva deciso di non combattere più quella battaglia persa. “E non starebbero meglio in mezzo ai loro nuovi amici?”
    “I Kneser non si mescolano con gli umani se non è proprio necessario. Andiamo.”
    Lo seguì affrettandosi, per non rallentarlo. Si sentiva fortunata ad aver incontrato quella specie di superman, anche se era stato lui ad aver trovato lei.

    Era quasi sera.
    La ragazza era stanca, ma Raul non dava segno di rallentare. Si voltava spesso a controllare che la giovane riuscisse a mantenere il passo, e spendeva persino una parola di incoraggiamento. Questo la rincuorava, e le permetteva di raddoppiare gli sforzi, attingendo a riserve di energia che non sapeva di avere.
    “Eccoci”, disse lui in tono sollevato. Avevano camminato per ore. Anita da tempo non aveva più la minima idea di dove fossero.
    Pochi metri avanti, un alto muro di un tetro grigio scuro era comparso d’improvviso da dietro l’ultima fila di alberi. Lei si bloccò.
    “Ma...” iniziò con voce tremolante.
    “Cosa?”
    “Questa è una fortezza Kneser...”
    “Lo era, ragazzina, una volta”, rispose lui armeggiando con la porta.
    Compose un lungo codice su un display dove galleggiavano pallidi simboli alieni.
    La porta si fece da parte con un sospiro. Dietro di essa, un corridoio male illuminato si perdeva in lontananza.
    Entrarono, Anita quasi nascosta dietro di lui. Sembrava non esserci nessuno. “Dove sono tutti?” chiese.
    Raul non rispose, ma aprì una porta sul lato del corridoio. Dava su una spoglia stanzetta, senza finestre o altro. “Entra e aspettami qui, okay?”
    “O-okay”, gli mormorò entrando titubante. Il sommesso click della serratura che scattava dietro di lei la fece trasalire.
    Lo sguardo vagò ovunque nella stanza, che sembrava fatta di un blocco unico, scolpita in una strana pietra grigiastra.
    Non seppe dire quanto tempo passò. Non aveva orologio, era stato tra le prime cose che aveva scambiato quando si era ritrovata sola. La sua vita era sempre stata scandita dalle sue necessità, e che ora fosse non aveva mai avuto molta importanza.

    Di nuovo quel click. Anita, che si era accoccolata sul pavimento freddo, balzò in piedi. Vide comparire il volto di Raul e fece per corrergli incontro, ma raggelò alla vista dei capelli bianchi e dello sguardo latteo di chi c’era con lui.
    Il ragazzo era lì, con quello sguardo assente, al fianco di quel mostro, sembrava che stesse guardando un soprammobile, un trofeo nemmeno di troppo valore.
    Si sentì morire.
    Non era il suo destino a preoccuparla, non ci stava pensando: era il sapore amaro del tradimento a sopraffarla.
    Raul scambiò due parole con l’alieno in quella lingua sibilante e poi si rivolse a lei. “Scusa sai, ma sono solo affari. Te l’ho detto che ai Kneser piace la carne fresca.”
    Cadde in ginocchio, non lo guardava neppure più. Sentì la voce dell’uomo continuare, il tono piatto: “A proposito, quelli che abbiamo incontrato erano della Resistenza. Ce ne occuperemo presto.”
    “Perché mi fai questo?” trovò la forza di chiedere la ragazza, un groppo prepotente che si faceva largo in gola.
    “Te l’ho detto, sono affari. Ormai di ragazzi giovani come te non se ne trovano più, e mi tocca andare in città. Ci ho pure rimesso la moto, per te, in genere vado e torno in meno tempo.”
    “E quelli che hai ammazzato?”
    “Io servo la tribù dei Burshik, e gli Ashraak sono nemici loro come miei. Ti saluto, adesso.” Le fece un gesto di saluto mimando un cappello che non aveva. “E grazie per avermi salvato nel bosco, ragazzina.”
    “Non chiamarmi ragazzina!” L’eco dell’urlo di Anita lo inseguì mentre spariva nel corridoio.

    Nuda. Al buio. In quella stanza puzzolente con altri compagni di sventura.
    I loro visi spauriti balenavano nell’oscurità solo quando un Kneser entrava per portare quella poltiglia orrenda che chiamavano cibo o per prendere qualcuno di loro, per cena.
    Ragazzi come lei, molti ancora più giovani. Piangevano, urlavano, mugolavano nel buio. Le loro voci rimbalzavano tra le quattro mura di quella cella sporca, come falene entro lampade roventi prima di finire arrosto.
    Lei non aveva mai aperto bocca da quando l’avevano sbattuta lì, non ce n'era motivo.
    Chiusa nei suoi pensieri, si sentiva sporca, e soprattutto stupida. Incolpava se stessa per essersi affidata a uno sconosciuto. Prima regola della strada: non fidarti di nessuno. Il suo destino glielo aveva descritto proprio lui, il suo carnefice, e ora pensava che forse quella fosse l’unica verità che quel bastardo le aveva detto.
    La punta cattiva di un coltello, affilato da quell’attrazione puerile che aveva provato per quell’uomo, le feriva l’orgoglio.
    Piangeva, ogni tanto, e si arrovellava.
    Non seppe dire quanti giorni erano passati. Il tempo era scandito dai miseri pasti che i Kneser portavano. Una lama di luce tagliava l’oscurità totale della stanza, e poi un alieno entrava con una specie di pentolone. I ragazzi avevano dieci minuti per mangiare. Poi il cibo veniva loro tolto.
    Gli occhi affamati di Anita attendevano quel barbaglio di luce con avidità, anche se questo significava vedere quello spettacolo di paura e di vite spezzate. E talvolta preannunciava anche che per qualcuno di loro l’attesa era finita.
    Aveva contato quattro ragazzini portati via, urlando e scalciando disperati chiedendo aiuto. Non erano più tornati.

    La porta si aprì, come sempre rivelando la sagoma segaligna di un Kneser. Non aveva in mano cibo. Sarebbe toccato a uno di loro.
    Come sempre tutti scappavano, rifugiandosi nell'angolo più lontano della stanza, mentre lui frugava i corpi col fascio di luce della torcia che portava con se, assestando qualche calcio a chi non voleva farsi vedere.
    Quella volta, la scelta sembrò essere più difficile del solito. Il fascio di luce ondeggiò sui visi spauriti. Avanti e indietro, avanti e indietro. Passò sul viso e sui seni in boccio di Anita, più volte, e l'ultima si fermò, dritto in faccia.
    Il Kneser sbraitò qualcosa e la prese brutalmente per un braccio.
    Lei si sentì sollevata da terra con violenza e trascinata nel corridoio, dove la pallida luce delle lampade fluorescenti, dopo giorni di buio, le ferì gli occhi.
    L'alieno la spingeva. Anita non opponeva resistenza. Si sentiva vinta da quello che le stava capitando, dalla vita.
    I piedi nudi sul pavimento gelido nemmeno li sentiva più.

    Un tonfo dietro alle sue spalle, e qualcosa di pesante che stramazzava a terra. Non si voltò nemmeno, ma rimase ferma, passiva, curva come mai dovrebbe essere una giovane alla sua età, le mani a nascondere i piccoli seni.
    "Vieni, ragazzina", le sussurrò quell'alito pesante di tabacco che aveva imparato a conoscere.
    Non reagì. Non si chiese perché il Kneser giacesse a terra in un lago di quel loro sangue nero. Si voltò e lo seguì, di nuovo.
    Quando vide che si stavano dirigendo all’uscita della base, però, si divincolò dalla presa di Raul che la spingeva con sé. “Dove andiamo?”
    “Ti porto via”, rispose lui facendo per riprendere a camminare.
    Lei non si mosse. “Perché?” gli chiese con sguardo di sfida. Che fosse nuda, e sporca, davanti a quell’uomo nerboruto in quel momento non le sembrò affatto assurdo.
    “Io sono davvero della Resistenza, ma anche un infiltrato in questa tribù. I capi ti consideravano una perdita accettabile per rendermi credibile. Scusami. Ho capito solo dopo che la mia missione non vale la tua vita. Odiami pure, ora, se vuoi. Ma andiamo via, dai.”
    La giovane invece non diede cenno di assentire; un turbine di emozioni le vorticava senza tregua in testa. Odio, ammirazione, paura, speranza. Si sentiva offesa e indignata perché quel bastardo l’aveva sfruttata per i suoi scopi. Che ora la stesse salvando non contava. Lo detestava, e anche se stessa perché era consapevole di dipendere da lui in tutto, ancora una volta. Poi pensò agli altri prigionieri.
    “O tutti o nessuno”, disse risoluta.
    Raul sussultò. “Sei pazza, ragazzina, non posso salvarvi tutti.”
    “O tutti o nessuno.”
    “Moriremo tutti, allora”, rispose lui, afflosciando le spalle in segno di resa. Tornarono sui loro passi, la cella non era lontana.

    Vista dalla porta, quella marea di umanità terrorizzata faceva davvero pena. Anita sentì chiudersi lo stomaco. “Andiamo, forza, via tutti, svelti.”
    I più svegli tra loro non si fecero pregare, ma Raul e Anita dovettero trascinare fuori a forza più di un adolescente inebetito dalla paura.
    Quella strana folla sciamò per i corridoi, dapprima non incontrando nessuno, ma fu cosa breve. Un paio di volte furono intercettati e l’uomo, con la pistola, fu più svelto dei Kneser, ma uno riuscì a sfuggirgli.
    Raul allora gridò “Correte!” e si gettò lungo i corridoi della base mentre uno strano lamento prendeva a echeggiare dagli altoparlanti.
    Anita la riconobbe subito, in fondo a quell’ansa: la porta dalla quale secoli prima era entrata in quell’inferno.
    Raul era corso avanti a comporre il codice, e poi li fece uscire tutti, fino all’ultimo.
    L’aria fredda della notte morse le carni nude dei prigionieri. Il terreno accidentato ferì i loro piedi scalzi. Qualcuno si mise a piangere.
    “Dài, veloci!” esortò tutti l’uomo. Corsero attraverso la piccola radura fino ai primi cespugli. Poi lui li raccolse intorno a sé.
    “Tieni”, disse allora ad Anita, porgendole una seconda pistola. Lei lo guardò perplessa. “Puntala sulla porta. Tienila forte con due mani.”
    Mentre la ragazza prendeva posizione, Raul estrasse uno strano oggetto lampeggiante dalla tasca dei pantaloni.
    “A terra!” esclamò, e azionò un interruttore.
    Per alcuni istanti non successe nulla, poi il suono attutito di un’esplosione si fece strada attraverso l’entrata della base, mentre il terreno tremò per un attimo, quasi un brivido di paura del mondo per quell’evento inaspettato.
    Ci fu qualche esclamazione di gioia, ma un gesto dell’uomo fece tacere tutti. Il suo sguardo sembrava voler bucare l’acciaio della porta. Immobili, attesero.
    Dopo qualche istante, la paratia scivolò di lato facendo passare un fumo denso e un paio di Kneser intontiti.
    “Spara!” gridò Raul.
    Fecero fuoco all’unisono, e i due mostri giacquero a terra. Lui allora alzò la mano comandando il silenzio.
    Tutt’a un tratto, lingue di luce scaturirono dalla gola nera della base. “Laser!” bisbigliò il ragazzo, “Coprimi!”
    Anita prese a sparare nell’apertura, mentre l’altro scivolò di lato.
    Lo vide strisciare disegnando un’ansa molto larga intorno alla porta aperta, e continuò a fare fuoco. Si fermò solo quando lui le fece cenno.
    Il combattente cacciò un oggetto dal giubbotto e lo gettò nell’apertura, ritraendosi all’istante. La granata esplose, e i laser tacquero. Un silenzio irreale scese, denso, sulla scena. Nessuno parlò.
    Raul tornò verso di loro. “Andiamo.”
    Anita si rialzò in piedi e si sentì osservata in modo strano da Raul. Pareva essersi accorto solo in quel momento della sua nudità.
    Il ragazzo si tolse la giacca e la passò sulle spalle di lei. “Ecco...” mormorò. Il gesto divenne un abbraccio, e i due si strinsero a lungo.
    “Scusami...” sussurrò lui. Anita non rispose, se non stringendolo più forte. Poi alzò il capo a incontrare il suo sguardo. I suoi occhi erano topazi nella penombra. Il ragazzo si chinò e le posò un bacio leggero sulle labbra. “Scusami, Anita, per tutto. E per averti chiamato ragazzina.”

    Edited by shivan01 - 19/4/2009, 19:37
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Beh, il racconto è scritto molto bene, scorre veloce, cattura fin da subito.
    SPOILER (click to view)
    Avrei preferito che il tradimento di Raul fosse reale, per questa storia un finale tragico sarebbe stato perfetto, nonostante io sia un fautore del lieto fine.

    Direi che un 4 ci sta tutto.
     
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  3. federica68
     
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    bene, eccolo in usam!!
    trovo che il racconto sia scritto in modo da tenere alta l'attenzione per tutto il pezzo, non ci sono cali di ritmo a mio parere anche nelle parti con meno azione.
    Poi mi piace l'idea del doppio gioco che non è un doppio gioco, ecc, e trovo credibile come hai gestito la cosa
    ah! dimenticavo! 4

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Anita prese a sparare nell’apertura, mentre l’altro scivolo di lato.

    CITAZIONE
    La granata esplose, e i laser tacquero

    opps... :blink:


    Edited by federica68 - 2/4/2009, 22:21
     
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  4. Paola_Milli
     
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    Qui sì che il finale è cambiato, e decisamente in meglio :)
    Bello, si legge d'un fiato, incollati alla storia.
    Stile ottimo, personaggi credibili, storia azzeccata. Che ti devo dire di più? :P
    Bravo, bravo, bravo :)

    Voto:4
     
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  5. shivan01
     
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    azz...
    grazie a tutti e tre!
     
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  6. rehel
     
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    Il mese scorso avevo trovato un po' rugginosa la prima parte della storia, questa volta trovo lo stile fluido e scorrevole. Se quella risaliva a un anno fa e questo è una cosa più recente, allora il progresso risulta evidente.
    Tuttavia sono un po' più freddo rispetto agli altri commenti.
    Trovo che questo ragazzo sia un po' troppo "ganzo" e faccia fuori alieni come birilli, quando questi invece hanno concquistato la Terra. Si fanno doppiogiocare come niente fosse e mi sembra tutto un po' troppo facile.
    A parte questo la storia è prevedibile, l'ambientazione più che abusata.
    Non sento fremiti particolari.
    Purtroppo il mio voto sarebbe un due e mezzo e dico tre perché mi pare di ricordare di averti tolto qualcosa in passato.
    Un parere personale:
    Io vedrei la parte finale in questo modo...

    “Scusami...” sussurrò lui. Anita non rispose, se non stringendolo più forte. Poi alzò il capo a incontrare il suo sguardo. I suoi occhi erano topazi nella penombra. Il ragazzo si chinò e le posò un bacio leggero sulle labbra. “Scusami, Anita, per tutto."
    "Va bene" rispose lei scostandosi bruscamente. "Ma non chiamarmi più ragazzina!"


     
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  7. shivan01
     
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    carina la frase finale, rehel, ora ci penso se cambiarla o no.
     
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  8. Paolo_DP77
     
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    Ciao. Commento in spoiler.

    SPOILER (click to view)
    Prima alcune segnalazioni (di cose minime):
    CITAZIONE
    “Ok allora ciao!” rispose allora, altezzosa, “E non chiamarmi ragazzina!”
    Lui non rispose ma si alzò

    Sono ripetuti "allora" e "rispose"
    CITAZIONE
    Stava lasciando la città dopo anni, e si sentì nuda senza le alte mura dei palazzi intorno.
    D’improvviso sentì Raul imprecare

    Ripetizione di "sentì"
    CITAZIONE
    gli ringhiò la ragazza con tutta la rabbia del suo orgoglio di giovane donna ferita.

    toglierei "la ragazza"
    CITAZIONE
    Restare lì non se ne parlava nemmeno.

    Di restare?
    CITAZIONE
    ma d’improvviso l’espressione gli morì in volto.

    un po' abusata, sostituirei. Occhio ai vari "improvviso" che ci sono in giro, secondo me superflui, sarebbero da evitare o cambiare con qualcosa di più specifico.
    CITAZIONE
    Una lama di luce tagliava l’oscurità

    un po' abusata anche questa

    Brano sicuramente appassionante e avventuroso, davvero divertente da leggere. Personaggi e intreccio sono ben riusciti, salvo gli alieni, che non sembrano realmente pericolosi e quindi non incutono il timpore che dovrebbero.
    Lo stile è scorrevole e, per quanto possa dire, molto curato e ben riuscito in alcuni passaggi anche se per alcuni aspetti migliorabile. Ad esempio la parte dove i due si allontanano dalla città: lì i sentimenti-pensieri di Roul ed Anita sono un po' troppo raccontati. Ci può anche stare... la brevità che ne risulta serve al ritmo, quindi non so se sia un vero difetto, probabilmente più una scelta.
    Trovo molto buone le descrizioni di tutti gli ambienti e le scene d'azione. Scena per me perfetta quella di lei prigioniera, l'unica in cui si sente quell'angoscia che dovrebbe pervadere un po' tutto: in un racconto di stampo "survival" come questo ne sento molto la mancanza. Una revisione in questo senso secondo me farebbe fare un salto di qualità al racconto.

    La scena della fuga dalla base aliena purtroppo non convince al 100%: tutto decisamente troppo facile e indolore. Bella invece l'evoluzione del rapporto tra i due personaggi e la crescita di lei.


    Voto 3.
     
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  9. Virgart
     
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    Ciao,
    Provo a dirti le mie impressioni, senza votare, primo perché partecipo e vorrei essere davvero imparziale, secondo perché cerco di esserti utile.
    scusami se sarò troppo didascalico.

    SPOILER (click to view)
    A)Il co-protagonista mi sembra troppo simile a Rambo, e nei passi che lo vedono attore mi sembra di cogliere un tuo compiacerti nel descriverlo.
    B)Cosa accade al gruppo della resistenza denunciato da Raul? Sacrifica anche i compagni, che dovrebbero essere preziosi.
    C)La fuga è descritta troppo marginalmente e avviene con facilità esagerata.
    D)Qualche refuso: La ragazza gli andava dietro, meglio La ragazza lo seguiva

    Detto questo la storia ha un ottimo potenziale, ma sembra costruita con una struttura più estesa. Ho l'impressione che sia lo sfondo su cui si muovono Anita e Raul il fuoco della storia, non loro due.
    Ho apprezzato lo sforzo di aiutare il lettore a immaginare le scene, con paragoni azzeccati.

    Spero di averti aiutato.
    Virgilio




     
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  10. OddThomas
     
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    Ciao, il racconto è senz'altro ben scritto, buon ritmo e belle le scene descrittive.
    Purtroppo però si perde nei clichè del genere, e negli stereotipi dei racconti/film sugli alieni.
    Di nuovo e originale c'è poco, e come hanno detto già altri, Raoul è un po' troppo "rambotico", gli mancava solo il sigaro in bocca alla Schwarzy :D
    Anche per me sarebbe un 2 e mezzo, però do 3...

    Claudio
     
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  11. VdB
     
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    Il mio voto è tre.
    Concordo con la maggioranza dei giudizi, quindi evito ripetizioni. Segnalo comunque un eccesso nell'uso del verbo vedere, guardare, osservare, sguardi etc. appesantiscono la narrazione.
    Di seguito qualche segnalazione
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    che era quasi una bambina

    se non è neppure una bambina sembra che sia ancora una poppante
    CITAZIONE
    imparato da tempo a cavarsela da sola. In qualche modo, se la sarebbe cavata

    cavarsela/cavata
    CITAZIONE
    Quella era solo una pattuglia, due bastardi a piedi e basta

    bastardi e basta suona male anche se è corretto
    CITAZIONE
    Di corporatura in tutto simile a un uomo di taglia media

    "la corporatura di un uomo di taglia media" forse semplificava il tutto
    CITAZIONE
    Bastardi che si erano venduti a loro per avere salva la pelle

    "loro" è superfluo
    CITAZIONE
    Anita spesso ricordava di come avesse visto tante volte storie come quella, in televisione, e di aver persino sbuffato pensando a quanta mancanza di originalità certi sceneggiatori dimostrassero. E invece era accaduto per davvero, proprio come alla TV.

    Questo intero periodo l'ho trovato contorto e forse non necessario
    CITAZIONE
    passando davanti a un portone basso

    se usi portone, il basso non è propriamente attinente
    CITAZIONE
    e poi qualcosa le fu messo in mano.

    frase maliziosa :B):
    CITAZIONE
    disfò quell’involucro

    disfò l'involucro

    qualche refuso...
    CITAZIONE
    invece l’ombra che l’aveva salvata,.

    CITAZIONE
    Prima o poi ti prenderanno, e lo sai cosa fanno a quelli come te.

    quelle
    CITAZIONE
    quelli non si fanno problemi a sterminare persino bambini

    i bambini
    CITAZIONE
    ... cadde

    CITAZIONE
    “è elettrica...”

    trattandosi di fantascienza, dire che è elettrica come se fosse il massimo della tecnologia non mi sembra... il massimo
    CITAZIONE
    Scivolarono nella notte.

    CITAZIONE
    L’aria fredda della notte morente

    CITAZIONE
    Camminarono per ore, invece, e si stava quasi facendo sera

    qualcosa non quadra nell'orologio della storia...
    CITAZIONE
    mentre il mezzo entrava in strada e prendeva velocità lungo i viali deserti.

    entrava in strada lo eliminerei, sembra di troppo
    CITAZIONE
    “Ci hanno visti!”
    ma sapevano correre veloce, e quello stava guadagnando terreno. Dentro, la luce pallida di qualche display disegnava le sagome di due alieni.

    quache acrobazia nel cambio ei soggetti, dagli alieni al veicolo
    CITAZIONE
    che si agitava debolmente

    agitarsi debolmente... non mi suona bene
    CITAZIONE
    A rimetterci era sempre la gente comune, i poveracci che soccombono ogni volta che qualche potente trova qualcosa da ridire contro un altro

    qualcosa nei tempi verbali storce
    CITAZIONE
    “Sei divorziato?”
    “Non ho fatto in tempo, sono morti prima che ci separassimo.”
    Dovevo essere divorziato, ma non ho fatto in tempo.”

    niente di più cinico da dire per la morte di sua moglie, però se ci metti anche la morte del figlio, beh, questo non è un uomo (anche se ha 24 anni) ma una belva
    CITAZIONE
    mentre si avviavano verso il loro campo. “Sì, ragazzina, siamo pari.” E rise di gusto a sentire i mugugni dell’altra.
    Il mattino dopo si rimisero in cammino,

    hai fatto un salto temporale (anche se in effetti il paragrafo l'hai chiuso) sono in movimento, poi riprendi dopo sosta e sono di nuovo in movimento. Li potevi far fermare per dormire, messo così c'è un vuoto nella narrazione, anche se non fondamentale
    CITAZIONE
    Anita la riconobbe subito, in fondo a quell’ansa: la porta dalla quale secoli prima era entrata in quell’inferno.

    qualcosa mi sfugge sentendo parlare di secoli prima...

    Ciao Shivan a rileggerci
    Van
     
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  12. shivan01
     
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    grazie a tutti per i vostri commenti. Metterò mano quanto prima
     
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  13. troppo_distante
     
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    Ciao!
    Il racconto mi è piaciuto (ispirato da Visitors?).
    Trama pulita con qualche refuso qua e là.
    Comunque scorre via aiutata da uno stile essenziale e senza fronzoli, un ritmo incalzante che non molla mai il lettore.
    Se proprio devo cercare il pelo nell'uovo è che l'ho trovato un po' piatto: mi sarei aspettato una descrizione più accurata, non tanto degli alieni (forse troppo "de modè" con i raggi laser ecc), quanto della società dei terrestri occupati e delle psicologie inerenti.
    Azzardatissimo da gestire ma plausibile il "triplo gioco" di Raul.
    Per me il voto oscillà tra il tre e il quattro. Tuttavia opto per il quattro perchè m'è piaciuto assai il ritmo (ti devo riconoscere, tra le varie qualità che hai, la capacità di descrivere davvero ottimamente le "situazioni in movimento": non è facile).
    Ciao!
    I soci
     
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  14. shivan01
     
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    grazie!
    No, non mi sono ispirato ai Visitors. L'unico elemento "tratto" da qualcosa di esterno è l'immagine degli alieni che ho costruito prendendo spunto dai Wraith di Stargate Atlantis.
    SPOILER (click to view)
    E' una serie di puro intrattenimento (niente a che vedere con Battlestar Galactica) che apprezzo molto quando torno a casa la sera brasato dall'ufficio.
    Pur essendo uno spin off di Stargate SG1 (la serie di fantascienza più longeva della storia della TV, 10 stagioni) è già arrivata alla quinta stagione.
    Un inciso, a questo riguardo. SG1 è considerata la serie più longeva nel senso di "serie unica", con un unico filone narrativo e gli stessi personaggi e interpreti. Star Trek complessivamente assomma 28 stagioni ma sono 5 serie distinte, mentre il Doctor Who (mitico), seppur più antico di Star Trek stessa, è stato interrotto e reingegnerizzato più volte.


    Tornando a noi, ti ringrazio molto per l'apprezzamento e vedrò di sistemare i refusi, che anche altri mi hanno evidenziato. E' sorprendente come io non riesca a vederli nemmeno dopo diverse riletture.

    ciao e grazie
     
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  15. riccardocibi
     
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    Un bel racconto, scorrevole fino in fondo. Mi piace molto come sai prendere e condurre il lettore. La prima parte è lenta. Lo svolgimento è fatto di stereotipi, un po’ scontati, ma ben inseriti; il ribaltamento finale è interessante. Il finale vero e proprio, però, secondo me, poteva avere più consistenza. Ciao.
    Voto 3.
     
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20 replies since 2/4/2009, 09:11   362 views
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