La partita
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La partita

di Giorgio Marconi

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  1. giorgio.marc
     
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    Il sole aveva bussato da qualche ora alla finestra sopra il letto, trovandolo, come sempre,
    già sveglio. Oramai Alfredo era in piedi. A una certa età le abitudini cambiano. Ci si sveglia
    sempre prima.
    Pare che la capacità di dormire un sonno decente si affievolisca insieme con le altre.
    Che ingiustizia.
    Che senso ha svegliarsi tanto presto, quando non si ha davanti che una giornata sempre
    uguale alla precedente e che è sempre più arduo disgiungere dal concetto di noia?
    Oggi però non è così. Oggi è sabato. E la capacità di fare una bella presa, quella no, non
    scema con l'avanzare dell'età: anzi si affina!

    La colazione era durata il fugace lampo di un caffè. Era così da quando, tre anni prima,
    Faustina era passata a miglior vita lasciandolo vedovo a badare a sé stesso da solo, per la
    prima volta dal giorno della sua nascita. Anche il risveglio era cambiato.
    Non più un sorriso comprensivo ad accoglierlo dentro un'altra giornata. Adesso era quello
    ghignante, ondeggiante della dentiera nel bicchiere sul comodino a dargli il pista libera.
    La barba, invece, era stata un'operazione più laboriosa. Il rasoio da barbiere va maneggiato
    con estrema cura.
    Mica è come quegli ordigni a elettricità che ora fanno un gran baccano e ti lasciano
    la barba lunga di un giorno. O come i tradizionali rasoi a lamette. Anche da queste piccole
    cose si nota lo scorrere incessante del tempo.
    Per tanti anni i rasoi erano stati semplicemente a una lama (e nessuno se ne era mai dato
    cruccio).
    Era prossimo a diventare nonno quando fu messo in commercio il rasoio "rivoluzionario", il
    primo a due lame: "la prima lama tira fuori il pelo e lo taglia, la seconda, prima che il pelo
    rientri, lo taglia più in profondità”.
    Ora, alla soglia degli ottantacinque anni, hanno inventato quello a tre lame.
    Di questo passo fra breve avremo il rasoio a cinque lame: “La prima tira fuori il pelo, la
    seconda gli fa il solletico, la terza lo malmena, la quarta lo prende un po’ per il culo e la
    quinta lo taglia”. No! Meglio schiuma, pennello e rasoio vecchio stile della serie:
    "Et voilà. Ragazzo: spazzola".
    C'erano voluti venti minuti buoni, ma ora, davanti allo specchio c’era un'altra persona: la
    pelle del viso era ragionevolmente liscia, rughe a parte - "come il culetto di un neonato" -
    si compiacque fra sé. E l'effervescente pizzicorino del dopobarba lo faceva sentire bene,
    vivo. Si, almeno di sabato. Gli piaceva questa sensazione di rinascita. La sfida lo rinvigoriva,
    quel sentimento di competizione riaccendeva in lui parte del giovanile entusiasmo.

    Aveva una questione da sistemare.

    Osvaldo stava giocando bene, ultimamente. Non sbagliava una presa. Ebbe un sussulto, le
    guance gli si colorirono di rosso vivo, come avesse alzato un po' troppo il gomito.
    Qualcosa dentro ribolliva ancora. L'ultima mano del sabato precedente. Aveva fatto male i
    conti, dannata memoria. Come aveva potuto consentire al rivale di acciuffare in una sola
    botta sei e asso di denari... per di più con quel bell'imbusto di sette bello?
    Denari, primiera e il bellimbusto: tre punti secchi per il 21-19. "Gioco - partita - incontro" -
    aveva sentenziato Osvaldo, con quel sorrisetto da vincente, suo malgrado, che negli ultimi
    mesi aveva imparato a odiare. Sorrisetto scolpito su quel volto dalla mascella prominente.
    Volitiva? Forse. Più che altro, però, era dovuta al disallineamento dei denti che, fra quelli veri,
    pochi e quelli finti, molti, mal combaciavano provocando un innaturale protendersi della
    mascella verso l'alto.
    Ma non sarebbe finita così! Glielo avrebbe ricacciato in gola quel sorrisetto: parola d'onore!
    Lo sguardo si posò sulla piccola lavagna di plastica bianca con bordatura rossa che si era fatto
    regalare per l'ultimo compleanno. Una di quelle moderne lavagne da ufficio o da scuola.
    Quanto avrebbe preferito una antica, tradizionale lavagna nera, col gessetto bianco e il
    cancellino di pezza che era tanto divertente tirarsi rincorrendosi per le aule e i corridoi
    durante la ricreazione (e non solo). Pare che non se ne facciano più.
    Col pennarello rosso aveva segnato il resoconto delle loro sfide: Osvaldo - 265 / Alfredo - 262:
    sotto di tre.

    Ben 527 sabati. 527 partite al solito tavolino del solito caffè. La bellezza di più di dieci anni.
    Senza quasi mai saltare l'appuntamento, anche nei periodi di festa: tanto, a quell'età, ogni
    giorno è una festa - un sorrisetto amaro si impadronì, non voluto, del suo volto - il rovescio
    della medaglia a quello trionfante di Osvaldo. Basta. Erano già le tredici e alle quattordici e
    trenta in punto doveva essere al caffè, al piccolo bar teatro della loro sfida. Per essere precisi
    nel retro del bar, dove erano allestiti i tavolini per le partite a carte.
    Il regolamento, che avevano stabilito di comune accordo, recitava che se allo scoccare delle
    ore quindici, all'orologio "ufficiale", quello a forma di Gatto Isidoro, sopra il bancone del bar,
    uno dei contendenti non era presente, l'altro vinceva di diritto la partita e si aggiudicava il
    punto di quel sabato.
    Una volta era arrivato praticamente di corsa e aveva fatto in tempo a varcare la soglia del
    caffè appena trenta secondi prima che la coda-lancetta di micio Isidoro avesse completato il
    suo ultimo giro verso la tacca delle ore quindici.
    Era successo al battesimo di Marco, l'ultimo dei suoi nipoti. La cerimonia e il rinfresco si
    erano protratti oltre il tempo che aveva pronosticato. Che corsa in taxi. Il tassinaro lo guardava
    dallo specchietto come fosse stato un pazzo: un anziano signore in doppio petto e scarpe lucide
    con gli occhi fuori dalle orbite a sbraitare stizzito, vaneggiando qualcosa su un regolamento
    infame, su un gatto di nome Isidoro e un rivale sputacchioso in un assolato, sonnolento
    pomeriggio estivo.

    Figli ne aveva: due.
    Sara si era stabilita in America in uno stato per lui impronunciabile: Massacchussets… o
    qualcosa di simile, mentre Sandro viveva a due isolati da lui e passava a trovarlo almeno un
    paio di volte a settimana.
    Sandro gli aveva regalato già tre nipoti. Non si poteva certo lamentare. Un po' di solitudine
    lo punzecchiava di tanto in tanto, ma riusciva sempre a cavarsela, in un modo o nell'altro.
    Una pastina in brodo per oggi può andare bene. Meglio stare leggeri: si tiene la mente più sveglia!

    Era in piedi, davanti allo specchio, sistemandosi il bavero della giacca grigia. Il tempo di una
    pettinatina e sarebbe sceso in strada. Aveva la chioma quasi del tutto bianca. Anche se qualche
    capello contestatario protestava, ostentando orgogliosamente l'antico colore corvino. :sigh:
    A passi lenti, cadenzati si diresse verso il bar. Passi da vecchio, si sarebbero definiti.
    La realtà era diversa. Avrebbe potuto agevolmente accelerare il cammino, ma perché arrivare
    tanto presto? Erano le quattordici e venticinque e di tempo ne aveva.

    Il sole primaverile era ancora alto, e quando Alfredo fece ingresso nel bar si sentiva un po'
    sudaticcio. Salutò con un cenno della mano Gianni intento ad asciugare le tazzine dietro al
    bancone. Il ragazzone, novanta chili di simpatia, ricambiò il saluto, e sembrò un po' sorpreso di
    vederlo.
    Da cinque anni aveva preso il posto di Antonio, suo padre, che aveva gestito con impareggiabile
    simpatia quel luogo di ritrovo per circa tre decenni e ora stava godendosi la pensione, si fa per
    dire, in una casa di riposo in preda al morbo di Alzheimer, riconoscendo a stento i famigliari più
    stretti.
    Gianni accennò ad apparecchiargli un caffè. "Oggi offro io, dai… un caffè ti farà bene…".
    Alfredo declinò ringraziando: "Oggi no, grazie, vado subito nel retro". E così fece. Il retrobottega
    del bar era vuoto. In effetti solitamente il sabato pomeriggio a quell'ora c'erano solo lui e il suo
    "odiato" rivale. Gli altri tavolini si sarebbero animati non prima delle sedici. Si sedette al consueto
    tavolo in un angolo, un po' appartato e sistemò la zeppa di legno, che portava sempre da casa,
    sotto una zampa per consentirne una certa stabilità. Mentre la coda di gatto Isidoro toccava le
    quattordici e cinquantacinque, Alfredo si dilettava a mescolare il mazzo di carte indugiando in
    coreografie degne di un vero prestidigitatore, evoluzioni che aveva imparato in decenni di milizia
    sui tavolini da gioco. Non era troppo preoccupato del ritardo di Osvaldo. Sapeva.
    Lui aveva il dovere di essere presente: il regolamento lo imponeva, ma sapeva.

    Gatto Isidoro sorrideva beato nel centro del quadrante che segnava le quindici e cinque.
    Mentre al bancone un ignaro avventore chiedeva che gli fosse macchiato il caffè, nel retro del
    bar, un anziano signore, in elegante giacca grigia, stava riponendo un mazzo di carte nel suo
    astuccio.
    Sapeva che erano passate le quindici, sapeva che aveva vinto il punto di quel sabato, sapeva
    che avrebbe vinto anche i punti dei sabati seguenti. D’altronde sul regolamento non si faceva
    menzione di un possibile ritiro, neanche per forza maggiore, né si faceva menzione di clausole
    particolari da adottare in caso di decesso di uno dei contendenti.

    Le lacrime che aveva trattenuto, anche senza troppi sforzi, un paio di giorni prima al funerale
    di Osvaldo si condensarono in una unica, densa e salata. Forse Alfredo neanche si accorse
    del suo sgorgare e scivolare sul volto assecondando le linee intrecciate delle rughe, come le
    biglie di vetro seguivano il percorso tracciato sulla sabbia nei tiepidi pomeriggi estivi della
    sua infanzia.
    Indugiò qualche secondo nel ricordo dell'amico, poi ebbe uno scatto schiacciando con uno
    schiaffo la lacrima che era arrivata in prossimità del mento, come fosse un insetto fastidioso:
    e, forse, proprio quello aveva pensato del solletico improvviso alla guancia.
    Si alzò, fece scivolare il mazzo di carte in una tasca e uscì. Ora Gianni stava preparando la
    schiuma di latte per il cappuccino e rischiò di ustionarsi per rispondere al saluto di Alfredo
    che infilò l'uscio senza indugiare oltre.
    Aveva qualcosa da fare a casa.

    Mezzora dopo era in poltrona, nella sua bella giacca da camera bordò. Avrebbe buttato un
    occhio alla TV: un quiz, una partita di calcio o qualche stupido Talk Show e la giornata sarebbe
    arrivata al capolinea anche stavolta. Forse una telefonata di Gianni o magari una visita con i
    nipotini chissà!
    Prima di accendere il televisore, gettò un'ultima occhiata soddisfatta alla lavagna:

    Osvaldo - 265 / Alfredo - 263: sotto di due.

    Altri tre sabati e passerò in testa.

    …e dopo? Già, dopo che sarebbe successo?

    Un'ombra percorse il suo volto.
    Sapeva che allora, solo allora si sarebbe reso conto che il suo rivale, il suo amico non c'era più.
    Che sensazione di abbandono e solitudine. Però ci avrebbe pensato sul momento.
    Ora non voleva. Non poteva.
    Aveva qualcos'altro a cui pensare: appena tre sabati e sarebbe passato in testa.

    Doveva tenere duro e l'avrebbe vinta lui quella partita.

    Edited by giorgio.marc - 12/6/2009, 15:12
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Il racconto è piuttosto lento nella parte centrale, o meglio è "troppo". Uno snellimento avrebbe potuto giovargli, soprattutto alternando il raccontato con qualcosa di più accattivante, il ricordo di un dialogo, una telefonata, un'azione più incisiva, poiché ho trovato il primo pezzo un po' noioso.
    A un certo punto
    SPOILER (click to view)
    avevo capito che Osvaldo era morto ma credevo che lui non lo sapesse, che Gianni dovesse dargli la cattiva notizia. Invece no, lo sapeva. e torna al tavolo per vincere. Buono questo spunto. E' come voler mantenere in vita quella persona attraverso un gioco e un regolamento studiato insieme. Mi è piaciuta questa cosa.

    Nel complesso, sono incerto tra il 2 e il 3.
    Voto 3 per il finale.
     
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    Losco Figuro

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    Carino l'insieme, ma concordo sull'inizio troppo lento.
    Ci sono diverse frasi un po' macchinose e alcune espressioni superflue, oltre a qualche correzione da fare qua e là (tra cui, per inciso, "bellimbusto", che si scrive tutto attaccato).
    Migliorabile, per cui il mio voto è un 2.
     
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  4.  
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    Amante Galattico

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    Ciao,

    il tuo turno.
    SPOILER (click to view)
    La prima impressione è che di dare più respiro e cadenza al testo andando a capo quando vuoi dare uno stacco alla narrazione. Andando così prevalentemente di seguito non faciliti la lettura e lasci senza fiato, anche considerando che fai dei periodi abbastanza corti. Il fatto è che tutta la parte centrale procede con un ritmo abbastanza monotono e anche le frasi indovinate (e ce ne sono e anche parecchie) tendono a perdersi.
    L'idea non è male, ma secondo me non è gestita al meglio, perché lo stacco finale, ovvero quando lui confessa che l'avversario è morto e prospetta "Che sensazione di abbandono e solitudine" non contrasta molto con il resto della vita del protagonista: so che è logico che sia così, ma il risultato nel lettore è blando. Nel senso che per il protagonista la sorpresa è relativa, perché già il suo stile di vita è discendente.

    Metto un 2

    VARIE
    - "alla finestra sopra al letto" - meglio "sopra il letto"


     
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  5. gelostellato
     
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    Qualche appunto che mi veniva in mente leggendo:

    Ci si sveglia sempre prima che da giovani. --> toglierei "che da giovani"

    difficile da disgiungere dal ---> si leggono male tutte queste "d" ;)

    "Non più un sorriso comprensivo ad accoglierlo dentro un'altra giornata. Adesso era quello ghignante, ondeggiante della dentiera nel bicchiere sul comodino a dargli il pista libera." ---> questa immagine è bella

    un anziano, distinto signore in doppio petto e scarpe lucide con gli occhi fuori dalle orbite a sbraitare stizzito --> qui la virgola... mmm o comunque la frase, sono da sistemare, secondo me "distinto" è ridondante, vista la descrizione che ne segue.

    di un vero prestidigitatore -- > questa battuta è un po' stantia :)

    Forse Alfredo neanche si accorse del suo sgorgare e scivolate sul volto assecondando le linee intrecciate delle rughe --> qui c'è qualcosa che non va

    E veniamo al racconto:
    Allora, non mi è dispiaciuto. Diciamo che ha i suoi punti deboli in una certa lentezza di fondo della prima metà, che sarebbe giustificata se fosse tutta la descrizione preparatoria dei gesti di Alfredo, ma quando si divaga con le battute sul rasoio e altre corbellerie simili ci si sente un po' "fuori tema' come se il racconto non sapesse bene dove andare a parare.
    In fin dei conti è un racconto triste che parla di solitudine, e le battutine forse le metterei solo se strettamente necessario e se nei pensieri di Alfredo, ma sempre dandogli un tono amaro, e non allegro.

    Poi diciamo che mi piace molto l'idea che lui continui a fare quello che fa, solo che bisognerebbe nasconderlo al lettore ancora di più e, ti propongo, nasconderlo allo stesso alfredo. O meglio, lasciare che alfredo, mentre fa quello che fa, mentre continua nella sua routine che lo salva dalla solitudine, dia l'impressione di sapere solo a tratti che Osvaldo è morto ed è stato al funerale. Come una lucidità che gli arriva a tratti. Ovviamente è un'idea, ma è anche, confesso, di difficile realizzazione.

    Comunque l'immagine della seconda parte del racconto lo salva ampiamente e gli dà una sua identità e un senso.

    Per me è un tre pieno, bravo. :)

    Ciao! Al prossimo!
     
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  6. giorgio.marc
     
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    Salve.

    Purtroppo il lavoro non mi permette di frequentare questo "posto" quanto vorrei.
    Voglio ringraziare chi ha voluto leggere il mio racconto e mi ha dato consigli/suggerimenti che ho molto apprezzato.

    Spero di avere presto il tempo per leggere e votare un po' di altri racconti. Sono molto curioso...

    A presto!

    Giorgio
     
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  7. Snow2
     
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    Ciao.

    "manifestava qua e là" non gira molto bene. Un "protestava" forse andrebbe meglio.

    In linea di massima, sicuramente i grossissimi blocchi di testo andrebbero spezzati, con diversi a capo, in modo da far respirare il lettore e dare più forza ai vari passaggi.
    Anche la rivelazione finale non funziona benissimo. Si scopre un po' troppo presto e la chiusura vera e propria è troppo spenta. Dà l'idea di un'occasione mancata, di un meccanismo un po' sfasato.

    Nonostante questo ho apprezzato il racconto e il modo in cui è scritto, quindi voto un bel 3 :)
     
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  8. shrekcat
     
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    Magari è vero che la parte iniziale è un po' lenta.
    Però, secondo me, è funzionale al racconto, che descrive un'esistenza
    forzatamente "lenta", a parte l'entisiasmo per la sfida in atto con
    l'amico.

    Nel complesso lo trovo un bel racconto.

    Un 3 pieno.
     
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  9. Alessanto
     
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    Una cosa per prima: vai a capo!!!
    Leggere così è una gran fatica.
    Secondo me l'idea di fondo, molto carina anche se non originale, viene un pò soffocata da una struttura un pò monocorde. Perchè non provi a modificarla? Qualche stacco con flashback, qualche dialogo, qualche altro personaggio per rendere vivo il tutto?

    Voto 2.
     
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  10. sgerwk
     
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    Il racconto mi è piaciuto. L'idea è buona e la lettura abbastanza scorrevole. Qualche commento su punti particolari:

    Sabato: i giorni della settimana vanno in minuscolo

    "Osvaldo stava giocando bene, ultimamente. Non sbagliava una presa. Ebbe un sussulto, le guance gli si colorirono di rosso vivo, come avesse alzato un po' troppo il gomito." Qui ho avuto l'impressione che la scena si fosse già trasferita a quando i due giocano (che poi in realtà non succede).

    "che vanno ora. Fanno un gran baccano" qui direi "ora, che fanno" altrimeni il soggetto delle seconda frase sembra ancora il rasoio da barbiere

    "la prima lama tira fuori il pelo e lo taglia, la seconda, prima che il pelo rientri, lo taglia più in profondià" a me sembra di ricordare "la prima estrae il pelo e la seconda lo taglia", anche se in effetti la cosa che hai scritto tu è più logica

    Voto: 3
     
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  11. Tunaboy
     
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    Ciao

    Mi è piaciuta l'idea di base e anche lo stile.
    Un po' troppo presto si capisce il finale e questo rovina un po'.
    Io avrei calcato di più la mano sulla rivalità fra i due amici-nemici più a lungo.
    Inoltre io avrei usato una soluzione leggermente diversa. Il protagonista odia davvero il suo avversario, ma ora, si ritrova senza più una ragione di vita. senza l'eccitazione della loro storica sfida, ha perso l'unica cosa davvero importante che dava senso alla sua esistenza.
    Facerndo un paragone forzato e azzardato, ma che spero redna l'idea, è un po' come Batman con Joker.
    Voto 2.
    Saluti
     
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10 replies since 7/6/2009, 18:38   338 views
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