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  1. VdB
     
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    «Le monde est vieux, mais l’avenir sort du passé. Ecoutez la parole des griots.
    Elle enseigne la sagesse et l’Histoire car les hommes ont la mémoire courte.»

    Voce di un cantastorie del Mali



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    “Il buon senso è una ciotola piena d’acqua messa sul sentiero. L’avido la beve tutta d’un fiato e poi la getta lontano. Lo stolto, non fidandosi, la lascia in terra e prosegue il cammino. Il furbo l’afferra e se la porta via per il suo viaggio. Il saggio, invece, beve quanto basta e poi la ripone per il viandante assetato che arriverà dopo di lui.”


    Le parole di mio padre mi risuonano in mente. Lui è un griot: un cantastorie, e fa danzare le parole sulle note della musica. È quello che la vita, e mio nonno con essa, gli ha insegnato a essere. Io ho deciso invece di non diventarlo. Non al suo modo almeno.
    Il sole è alto e il cammino è lungo, ma la scorta d’acqua mi basterà. La farina di baobab è quasi finita. La poca rimasta si è sparsa nei quattro angoli della bisaccia. Recuperarla diventa difficile: bisogna fermarsi, togliere quasi tutte le cose, inclinarla di lato, ammucchiarla e prenderne il più possibile, scioglierla nell’acqua e infine berla.
    C’è ancora un ultimo pezzo di pane, ne mangerò la metà, per poi riporlo dopo averlo riavvolto nel panno.
    Sono fermo sotto un albero così enorme da oscurare la luce. Ultimo soldato rimasto a guardia del deserto che mi attende. Seduto sulle gambe, ascolto il vento che da un punto dietro la schiena è arrivato fin qui. Non si accontenta di scuotermi le vesti, lieve prosegue nel tragitto perdendosi; nel farlo trascina con sé i miei dubbi. Poco importa, altri ne arriveranno, come falchi, pellegrini anch’essi. Si annunceranno con un grido stretto e gelido; la calura si scioglierà nel silenzio, ma subito un altro ne arriverà. Sì, certo, i miei dubbi torneranno, non sarò deluso dall’attesa.
    Chiudo gli occhi per ascoltare la musica della Kora oscillare nell’aria come se le sue corde fossero suonate dalle mani abili di spiriti benevoli. Accompagno la melodia con l’unico strumento che ancora non ho abbandonato. Batto le mani in terra, sull’immenso tamburo del mondo.


    A ogni villaggio mi presento con queste parole: Il mio nome è Ballakè, e vengo da Djenné. Mio padre è un griot, e prima di lui lo era suo padre.
    Non possono sapere chi sia lui, ma conoscono le storie che racconta e hanno rispetto per la sua saggezza. È un buon modo per ottenere un poco di attenzioni. Da me si aspettano che inizi a narrare le gesta di Sundiata Keita il nostro antico sovrano, signore della savana, dominatore di questa distesa di terre. Quando si accorgono che sono arrivato fino alle loro case da solo, senza strumenti, mi guardano con la faccia strana di chi non capisce. Si fanno diffidenti, vorrebbero sapere perché non sono pure io un umile djeli, un griot, un cantore di lodi. Loro non sanno che conosco già migliaia di storie, ma non mi va di narrarle. Sono in cammino per comporre le parole che narreranno la mia vita, solo quella vorrò cantare un giorno. Non dico nulla eppure capiscono: è un viaggio che assomiglia a una fuga.
    Ogni popolo ha la propria memoria, ognuno canta la propria canzone a suo modo. Nell’ultimo villaggio ho veduto uomini ballare arrampicati sui trampoli, con indosso orrende maschere. Sembravano divertirsi a prendersi gioco della gente. Li ho sentiti camuffare la voce per non farsi riconoscere, è il loro modo per scacciare la malasorte, dicono. Quella notte ho ballato anch’io, a occhi chiusi, scostato nel buio come un ospite indesiderato. All’alba mi sono svegliato e sono ripartito con tanta forza e un solo saluto. Una ragazza mi ha offerto un panetto appena cotto e il suo sorriso. Le ho risposto, ma le mie labbra non sono state altrettanto convincenti, era l’addio di chi è solo sfiorato dal desiderio di restare.

    Il sole continua a farsi sentire. Cade su di me come pioggia, è luce densa, dura. Rende tutto così liscio e lucido quanto un piatto in cui ha appena finito di mangiare un affamato. Mi riparo dai raggi rinsaccandomi nelle spalle, sotto un ombrello fatto di stracci, pelle e ossa. Arrivare in fondo è solo questione di non voltarsi e la nostalgia non potrà guardarmi in faccia: se ne rimarrà sull’uscio della sua casa che è anche la mia. Dove ho lasciato la famiglia.
    Li porto tutti con me, fissati nell’istante ultimo. Mio fratello Toumani seduto a intagliare una zucca per ricoprirla con la pelle e farne il suo strumento, sotto l’occhio attento di nostro padre. Malaika gli danza intorno, cinguettando con la sua voce da bambina e lui, di tanto in tanto, la scaccia come si fa con le mosche insistenti. Mia madre occupata con il bastone a battere nel mortaio le noci di karité, ammonticchiate sulla stuoia. Da un punto nascosto continuo a fissarli anche se sono già partito.
    Potevo tornare indietro e riabbracciarli, ma non posso rimanere legato a quelle pareti di fango.
    I pensieri mi distraggono, sono come i discorsi che affollano la solitudine dei vecchi, ripetitivi e assillanti. Sono ciottoli spersi nella riva, sfrigolano sotto il peso del corpo, induriscono le piante dei piedi, ma non feriscono. Anche i miei dubbi, come quei sassolini levigati, se ne resteranno adagiati su di un letto nelle notti lunghe da passare, insieme a mio fratello Moussa, scomparso tanti anni fa nelle acque del Bani e da quel triste giorno diventato uno spirito buono nei canti di nostro padre.

    Mi fermo a osservare la strada, riconosco i contorni che si avviluppano alle alture: la via segue il cammino più armonioso e meno breve. Appare simile alla traccia di un rettile, sembra vagare nel terreno senza una precisa direzione. Credo che dall’alto paio altrettanto confuso, lieve impronta smarrita in questo mare asciutto. Procedo seguendo la traccia scavata negli anni dal passaggio di quanti, prima del mare, hanno solcato la pietra. Mi sembra di tirare una fune interminabile da un pozzo che ne ha di sicuro. Continuo a tendere la corda pure se non avverto il peso del secchio. La sete si nutrirà ancora per un po’ di polvere e luce.

    Le ombre si sono allungate e mi danno il senso di quanto il giorno, all’inverso, si sia accorciato. Il sole dà quasi sollievo, dopo essere stato violento per tutto il giorno è diventato delicato. Il suo tocco è piacevole, pari a quello di mio padre quando da piccoli tornava a casa dalle fatiche del lungo giro per i villaggi, ci abbracciava con amore benevolo, usando una grazia che nemmeno lui si riconosceva.
    Mentre si muove in cielo, seguo la nuvola con lo stesso sguardo di un pesce che osserva una chiazza sospesa sulla pozza in cui vive, e penso: grande è il mondo per pareggiare la molteplice piccolezza degli uomini, grande è questa terra. Lo possono confermare le mie gambe molto più dei miei occhi.
    È notte, nel silenzio s’accentuano i rumori che il giorno non riesce a cogliere. Il buio è una gabbia senza sbarre, una fortezza priva di mura. Ti imprigiona nel dubbio, nel vincolo del timore. Limpido è l’orizzonte, resterà ancora per poco una linea ben definita. L’aria è mite, fresco il calore, rimango catturato dalla sua dolcezza. Stacco lo sguardo dai miei piedi e lo punto verso le stelle: pian piano iniziano ad apparire. Mi vengono in mente tante storie, ma non ho l’accompagnamento della Kora, né pace per ciò che ho deciso, per iniziare a cantare. La voce rimane strozzata dallo sconforto. Provo a dormire.
    È mattino, il sole bussa alla spalla, sollevo lo spirito prima di sollevare il corpo. Cielo e animo fanno a gara a chi arriverà più in alto. Sto bene, sorrido e sono felice. Mi basta poco per esserlo, così come può bastarmi poco per cambiare umore. Ma non più, ho deciso: in questa alba le incertezze son polvere sui miei panni, li batto e loro volano via, disperdendosi in un alone scomposto.
    Bevo alla fontana del giorno e mi disseto. In questo viaggio ho scoperto che ci possono essere mille partenze, e un solo arrivo. Il fine è giungere dove mi spinge la ragione, ovvero la fame. Di tutto ciò che si racconta, attraverso immagini lontane. D’allora, di sera, mi sogno paesi lontani dove tutto è possibile. Ciò che per gli altri è cosa scontata e futile del vivere, per me è la spinta verso un nuovo mondo, anche se dicono non m’appartenga.


    Sono passati molti giorni, l’orizzonte è diventato terra sotto i miei piedi. Vedo davanti a me, laggiù in fondo, il mare azzurro sospeso sopra la striscia scura che lo contiene. I muscoli tremano, forse è la debolezza o la gioia, o forse entrambi. Affretto l’andatura. Discendo la strada rotolando sui miei passi. Ho tempo, ma adesso è come se non ne avessi.
    Man mano che avanzo cambia il colore dello sfondo, si espande la distesa d’acqua, muta ingrigendosi. Molti sono accorsi. I vestiti e le lingue sono diverse, ma la speranza è la stessa.
    Il traguardo ha una voce: sento il suo respiro affannoso infrangersi sulla riva. Cammino lungo la sabbia umida, osservo come la pazienza dei molti sia corrosa dall’attesa come la costa lo è dalle onde. Siamo in tanti, troppi, ma a ognuno viene data la stessa risposta: “c’è tempo e spazio”, come si parlasse di una teoria di scuola.

    Dopo giorni di attesa è il mio turno. Ho passato le notti precedenti a difendere le mie convinzioni, oltre alle banconote, arrotolate anch’esse. Ho stretto monete e speranze, rinserrandole nel pugno, chiuso nella presa.
    Salendo sul barcone mi accorgo che sono stati detti davvero troppi sì. Ci stringiamo, chissà se le tavole che sagomano la barca ce la faranno a contenere tutti i nostri sogni. Stiamo compressi, quasi senza fiato. È il momento più difficile: dobbiamo decidere se andare o restare. Il tipo al timone decide per tutti: si parte.
    Siamo a bordo, anzi, proprio sul bordo. Ci teniamo stretti gli uni agli altri, temiamo il peggio ma la strada fatta è talmente più lunga di quella che rimane da fare e non possiamo cedere adesso.
    Il viaggio inizia per l’ennesima volta. Resistiamo ammucchiati. Il freddo, la paura, la sete e il vento ci tagliano la carne. Guardo i volti di chi mi sta accanto. Siamo raccolti che difficilmente daranno frutti, leggo nei loro occhi questa convinzione. Siamo ombre in movimento. La nostra meta è un’oasi dove l’acqua è per pochi. Siamo membra e sangue e nulla più. Un pasto offerto a una tavola imbandita, dove banditi azzanneranno le nostre carcasse per ricavare guadagni.
    Vediamo la costa ancora lontana, sembra non voglia raggiungerci, ma dobbiamo andarle incontro noi. La striscia di terra cerca di resistere al mare che le butta addosso, a ritmi regolari e incessanti, una massa d’acqua e di gente. Siamo sfiniti e non riusciamo nemmeno a essere contenti della nave che si sta avvicinando, sopraffatti dai brividi di sete, di rabbia e di freddo. Tremo, non per me, ma per le persone care. Magari mi credono già al sicuro e se muoio forse penseranno che mi sia dimenticato di loro, un figlio ingrato, sparito fra i flussi di una ricchezza promessa e trovata, mentre in realtà sarò sparito tra i flutti di questo canale.

    Ci fanno capire che dobbiamo saltare giù, devono fuggire. Noi non abbiamo più energie per opporci, eppure resistiamo, temiamo la morte, quella istantanea delle loro armi o quella un po’ più lenta del mare. Ho paura, troppa paura per pensare, così non mi muovo e aspetto.
    La disperazione mi si legge addosso, diventerò presto un cadavere nei gorghi di questo mare impervio, e tutte le speranze coltivate nell’arida terra in cui sono nato affonderanno con me.
    Durante questo viaggio ho scoperto che il mondo è pieno di carogne infami, alcuni lo sono da vivi, altri lo diventeranno da morti. Io sono qui in attesa di conoscere quale delle due sarò: quella che galleggerà sul mare o l’altra che riuscirà a sbarcare.

    Tutti si sono gettati in acqua. A parte gli uomini dell’equipaggio sono rimasto solo io sulla barca, ritto in piedi, come un albero che pur avendo paura della tempesta si attacca alle sue radici per resistere. Loro mi guardano, non so cosa fare, così inizio a cantare.
    Le parole mi escono limpide dalla bocca, la voce sale alta nel frastuono delle onde.
    Canto le gesta di Soundiata Keïta, il nostro Re mandingo, diventato il più grande dei Re a cui i più grandi uomini, e la sua terra di origine, la sconfinata savana, hanno reso omaggio. Il nostro popolo lo ricorda ancora per il suo coraggio e le sue imprese. Mentre sobbalzo per la ferocia del mare inneggio le sue gesta, per non disperderle nel buio dei tempi.
    L’uomo che sta al timone ora ha lo sguardo da preda, più che da cacciatore. Il chiarore dei fari della nave in arrivo riesce a illuminarci quanto basta per osservarci in viso. Interrompo il canto. Il tono della voce è deciso, mi presento: Il mio nome è Ballakè, e vengo da Djenné. Mio padre è un griot. Prima di lui lo era suo padre e ora lo sono diventato anch’io un djeli, un cantastorie.
    Il tipo che mi tiene sotto tiro mi guarda in modo assurdo, non sa di certo cosa sto dicendo. Se invece mio padre Sidiki potesse ascoltarle, sarebbe lieto di queste mie parole.

    g vanderban

    Edited by VdB - 16/7/2009, 08:42
     
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    Losco Figuro

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    La mia prima impressione, a caldo, è più di un esercizio di stile che di un racconto. Dentro ci sono molte cose: sofferanza, dubbio, speranza, ma questo stile le soffoca, descrivendole invece di trasmetterle, mi porta più a leggere le parole che il loro significato, non so se sono riuscito a spiegarmi.
    Scritto bene, non ho notato errori salvo due accordi di genere sbagliati che ti segnalo dopo, ma alla fine... di che si parla? Lo intuisco, ma la storia non lo dice veramente, sembra più interessata a metafore e paragoni (per carità, ben fatti, non si discute) che alla realtà che descrive, e che potrebbe essere tutto e nulla.
    Oscillo tra il 2 e il 3, vado più verso il 3 e quindi metto quello, ma non è un 3 pieno.

    CITAZIONE (VdB @ 1/7/2009, 12:16)
    <i>“Il buon senso è un otre d’acqua messa sul sentiero,

    "messo", è "otre" il soggetto, non puoi accordarlo ad acqua

    CITAZIONE (VdB @ 1/7/2009, 12:16)
    L’avido la beve tutta d’un fiato e poi la getta lontano.

    "lo getta", stessa cosa.
    Anche sotto usi sempre "la", ma lì ci può anche stare che il riferimento sia all'acqua (per quanto "lo" sarebbe comunque meglio). Qui no, perché di acqua non ce n'è più ed è l'otre a essere gettato.

    CITAZIONE (VdB @ 1/7/2009, 12:16)
    Vediamo la costa ancora lontana, sembra non voglia raggiungerci, ma siamo noi che dobbiamo andargli incontro.

    "andarle incontro"
     
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  3. Alessanto
     
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    Letto. Mi è piaciuto molto, scrittura ben colorita, anzi forse "troppo".
    Sarei proprio curioso di leggere la "prima scrittura" di questo pezzo.

    Per il resto, metto 3 perchè la trama in sè è troppo "leggera" nel senso che succede troppo poco.
    Però un "bravo" te lo devo dire.
     
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  4. VdB
     
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    Ciao CMT, grazie per lettura e commento.
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    CITAZIONE
    ma alla fine... di che si parla? Lo intuisco, ma la storia non lo dice veramente,
    sembra più interessata a metafore e paragoni (per carità, ben fatti, non si discute) che alla realtà che descrive, e che potrebbe essere tutto e nulla.

    Mi verrebbe da farti una domanda: cosa hai intuito della storia? Perché la mia scelta è stata di dare appunto una lievità a una situazione rappresentata quasi quotidianamente come miseranda (come in effetti il fenomeno che descrivo risulta essere) giocando su uno stile (diciamo) “poetico” laddove racconto (lascio intuire) qualcosa che di poetico non ha nulla...
    In attesa della tua risposta (se avrai modo e tempo per postarla) ti lascio una mia riflessione: Mi sono spesso domandato chi siano loro, gli “altri”. Solo carne da macello, senza storia né cultura? Hanno un’esistenza e un’etica minimali? Pensano davvero soltanto alla pagnotta? Si muovono solo per rompere i coglioni a noi e basta? Quanti ne devono crepare di loro, per fare uno dei “nostri”? Il rapporto è di uno a dieci come facevano i nazisti? Come posso sapere, io, che significa il percorso (non solo fisico) che alcuni fanno per oltrepassare un confine (non solo fisico)? Per comprendere un qualcosa che non si conosce è davvero necessario calarsi nella realtà dei fatti, o lasciando tutto sospeso in alto si dà maggiore forza a sentimenti dissimili dai nostri?
    Mentre scrivevo mi venivano molte domande, e l’intento del mio “racconto” non era di fornire risposte (né tantomeno un pretesto per sbizzarrirmi con metafore), ma semplicemente di far sorgere le medesime domande in chi lo avrebbe letto… La si può pensare in modo differente, anche all’opposto, ma se non ti chiedi il perché, non puoi giudicare il percome. Poi, ognuno ha le sue di risposte non vedo perché debba imporgli le mie. Attendo ulteriori rispondenze, poi ne trarrò le conseguenze.

    Ciao Alessanto, grazie per il "bravo" :D qualche ragione sul perchè della leggerezza della narrazione l'ho lasciata in spoiler, per il resto concordo.
    Saluti
     
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    Losco Figuro

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    CITAZIONE (VdB @ 3/7/2009, 09:56)
    Mi verrebbe da farti una domanda: cosa hai intuito della storia?

    SPOILER (click to view)
    Mi è parso di capire che il protagonista sia uno dei tanti emigranti che si affidano a trasbordatori clandestini per entrare, appunto clandestinamente, in un altro paese.
    Emigrante da dove e per dove non l'ho capito, visto che si parla dell'attraversamento di un canale e io in geografia potrei prendere lezioni da un alieno di Alpha Centauri che neanche sa dove stia la Terra.
    Quello che mi lascia un po' interdetto è proprio l'aria poetica, anche perché sembra parli di un lungo viaggio attraverso un deserto quando credo che almeno da quel punto di vista le cose siano un po' meno complicate.

     
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  6. VdB
     
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    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Mi è parso di capire che il protagonista sia uno dei tanti emigranti che si affidano a trasbordatori clandestini per entrare, appunto clandestinamente, in un altro paese.

    Ecco, appunto, non l’hai solo intuito, l’hai compreso appieno.
    Per il resto, ripeto, ho volutamente lasciato in sospeso il tutto per le ragioni espresse nell’intervento precedente. Il fatto di non dargli una collocazione geografica definita è per dare un valore assoluto al “passaggio” che c’è da un mondo a un altro, quindi che sia il canale di Sicilia di Otranto o di Gibilterra esula dal contenuto, così come il contenuto esula dalla storia. È la "storia" di un esule immaginario (speciale) che osserva dall’esterno pur essendo parte della migrazione. Almeno queste erano le mie intenzioni.

    Ps grazie per le segnalazioni vado e correggo. La realtà è che nel periodo considero l'otre al femminile, pur sapendo che si dice un otre (quindi maschile) Ho riportato al maschile il tutto, spero di aver fatto bene.
     
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  7. bravecharlie
     
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    ciao VDB. ti dico subito che io la storia l'ho capita solo leggendo lo scambio di opinioni tra te e CMT. allora l'ho riletto per cercare una spiegazione a questo mancato feedback immediato, e l'ho trovata (opinione personale, of course) in una eccessiva poeticità del testo, che lo rende abbastanza criptico e più simile a un flusso di coscienza che a un racconto. Sarà anche colpa mia che son abituato a letture molto più prosaiche, ma davvero il plot mi è parso soffocato dallo stile eccessivamente aulico (all'inizio soprattutto rilevo grande abbondanza di metafore e similitudini, anche piuttosto vicine tra loro, che un po' danno senso di ridondanza).
    Insomma, il pregio del racconto (lo stile) mi sembra anche il suo più evidente limite: le belle immagini che riesci a creare si pagano in termini di immediatezza e scorrevolezza, lasciando il lettore (parlo per me) un po' disorientato. Io comunque metto 3 perché queste obiezioni che ti ho mosso sembrano più personali che oggettive, magari non è un racconto per me e non è giusto penalizzarlo solo per questo. alla prossima :B):
     
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  8. Snow2
     
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    SPOILER (click to view)
    Un bel racconto e una prosa matura.
    Mi sento di fare un'unica obiezione. Finché il protagonista non giunge davanti al mare si potrebbe decisamente tagliare qualcosa, e andare a capo un paio di volte di più. Fino a quel punto infatti il testo è talmente denso di pensieri e descrizioni che non si riesce (troppo a lungo!) a intuire la linea di trama che soggiace alla storia. Mi piace molto nel complesso la forte immersione che sei andato a creare, ma ciò nonostante uno snellimento lì permetterebbe di intravedere l'ossatura dell'intreccio fin dall'inizio, un'ossatura che resterebbe comunque rimpolpata dai pensieri e dalle sensazioni del protagonista.
    In breve, ora come ora mi sembra che la trama "appaia" d'un tratto, solo a due terzi del racconto, ed è forse questa l'unica critica che personalmente mi sento di muovergli (che a mio parere non è comunque una cosa da poco).
    Per il resto, tutto molto ben fatto. In particolare ho apprezzato che tu abbia attribuito una sensibilità profonda al protagonista. Una sensibilità profonda ma non una linea di pensiero "stile occidentale" che avrebbe potuto solo artificialmente avvicinare a noi questo personaggio.
    Più che il pensiero quindi, la sensibilità. A mio modo di vedere qualcosa di più emotivo e profondo, un "livello" decisamente più serio su cui fondare l'immedesimazione del lettore in questo "Altro da sé".
    Il linguaggio poetico mi è sembrato adeguato allo scopo.

    Per quanto detto sopra sono indeciso fra 3 e 4, ma siccome comincio a rendermi conto di essere generalmente un tirchio, metto 4. :)
     
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  9. Piscu
     
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    uhm, definirla una "storia" mi sembra esagerato. è una lunga pagina di diario, scritta con un certo senso poetico e sicuramente evocativo, ma la descrizione è fine a sé stessa, non "raggiunge" il lettore.

    anch'io sono riuscito a capire, verso la fine, che si tratta dei pensieri di un emigrante, ma questo non mi sembra che dia maggiore profondità al testo, anche perché mi sembrano discorsi troppo "complessi" per uno che sta scappando dal proprio paese.



    la forma è ottima, però in alcuni tratti anche troppo. nel senso: frasi così dense, accompagnate all'assenza della trama dopo un po' risultano pesanti. ti confesso che un paio di occasioni ho saltato un paio di righe, alla ricerca di "qualcosa" che succedesse e sollevasse il tono.




    non ti do voto, perché non riesco a ritrovare un racconto in quello che ho letto.
     
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  10. riccardocibi
     
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    Ciao,
    SPOILER (click to view)
    è un viaggio in discesa, anche strutturalmente; tocca a noi (lettori, in questo caso) salvare il fragile e forte esule?
    Condivido in parte le sottolineature di quelli che mi hanno preceduto e tuttavia il racconto mi è piaciuto molto.
    Voto 4.
     
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  11. Gordon Pym
     
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    Mi è sicuramente piaciuto, nel complesso.
    Dall'impronta poetica, descrive efficacemente le vicissitudini del soggetto.
    Penso vada letto lentamente per valutarne le sfumature, posto che io leggo sempre lentamente.
    Di seguito ho indicato alcuni dubbi di carattere mio personale che, ovviamente, hanno concorso al voto, anch'esso personale: 3.



    CITAZIONE
    Le parole del nonno mi risuonano in mente.

    Questo che evidenzio è un dettaglio da nulla ma io sarei portato a pensare che le parole che possano risuonare in mente, debbano essere poche, possano cioè costituire una locuzione più breve di quel periodo a cui ti riferisci. Però, sottolineo, è una mia idea ;)

    CITAZIONE
    Poi si potrà spezzare il pane e mangiare, per poi riporlo

    Il secondo "poi" lo si potrebbe sostituire con un "infine"...

    CITAZIONE
    Credo che dall’alto paio altrettanto confuso anche io

    Mi suonerebbe meglio il congiuntivo "paia".

    CITAZIONE
    Procedo seguendo la traccia scavata negli anni dal passaggio di quanti, prima del mare, hanno solcato la pietra.

    Sicuro non sia meglio mettere "dopo il mare"? Se è il senso temporale cui alludi, mi sembra più corretto, giacchè il mare copriva le montagne prima della colonizzazione di queste da parte dell'uomo.

    CITAZIONE
    Le tenebre spingono il soldato alla sua branda, il giorno presto potrà smontare dando il cambio alla sera.

    Sempre nell'ambito delle opinioni personali, le due frasi di cui sopra io le invertirei, mi suonerebbero più consecuenziali.

    CITAZIONE
    Anch’io mi rannicchierò sotto la sporgenza che sarà tetto sotto il tetto di stelle.... Mentre si muove, seguo la nuvola...

    Se, come intuisco, sei al riparo di una sporgenza rocciosa, vedrei difficoltoso seguire la nuvola con lo sguardo.

    CITAZIONE
    In questo viaggio ho scoperto che ci possono essere mille partenze, e un solo arrivo.

    Ri-sempre nell'ambito dell'opinabile, considerato l'evolversi degli stati d'animo (unitamente a mie personalissime considerazioni sul viaggio, sull'andare), mi sarebbe suonare meglio un frase dal significato esattamente opposto: una sola partenza, e mille arrivi (possibili).

    CITAZIONE
    Discendo la strada rotolando sui miei passi.

    Per quanto abbia colto il significato di questa figura (peraltro molto carina), la vedrei più indicata nel descrivere un soggetto che percorre una strada conosciuta, già percorsa, visto che faccio fatica a figurarmi un rotolamento sui passi istantaneamente marcati.

     
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  12. VdB
     
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    Ringrazio tutti per la lettura e il commento, rispondo in particolare a Gordon perchè scende nei dettagli:
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Le parole del nonno mi risuonano in mente.
    Questo che evidenzio è un dettaglio da nulla ma io sarei portato a pensare che le parole che possano risuonare in mente, debbano essere poche, possano cioè costituire una locuzione più breve di quel periodo a cui ti riferisci. Però, sottolineo, è una mia idea

    Avrei potuto scrivere più correttamente “mi ritornano in mente” ma sarei caduto sulla coppia “Battisti-Mogol”
    CITAZIONE
    Poi si potrà spezzare il pane e mangiare, per poi riporlo
    Il secondo "poi" lo si potrebbe sostituire con un "infine"...

    Sì in effetti l’infine ci sta meglio
    CITAZIONE
    Credo che dall’alto paio altrettanto confuso anche io
    Mi suonerebbe meglio il congiuntivo "paia".

    Boh, non ti saprei dire, forse hai ragione tu. In ogni caso tolgo "anche io" che rileggendo non mi ispira proprio messo lì dopo altrettanto.
    CITAZIONE
    Procedo seguendo la traccia scavata negli anni dal passaggio di quanti, prima del mare, hanno solcato la pietra.
    Sicuro non sia meglio mettere "dopo il mare"? Se è il senso temporale cui alludi, mi sembra più corretto, giacchè il mare copriva le montagne prima della colonizzazione di queste da parte dell'uomo.

    No, la tempistica è quella riportata da me: prima solcano la pietra (per raggiungere il mare) e poi solcano il mare stesso
    CITAZIONE
    Le tenebre spingono il soldato alla sua branda, il giorno presto potrà smontare dando il cambio alla sera.
    Sempre nell'ambito delle opinioni personali, le due frasi di cui sopra io le invertirei, mi suonerebbero più consecuenziali.

    Anche in questo caso, parlando di opinioni, rimango della mia
    CITAZIONE
    Anch’io mi rannicchierò sotto la sporgenza che sarà tetto sotto il tetto di stelle.... Mentre si muove, seguo la nuvola...
    Se, come intuisco, sei al riparo di una sporgenza rocciosa, vedrei difficoltoso seguire la nuvola con lo sguardo.

    Sporgenza nel senso che è una parete obliqua, appena accennata, che consente di osservare una parte consistente di cielo, non c’è il rischio di pioggia (nell’idea che mi sono fatto del suo bivacco) ma solo l’esigenza di appoggiarsi a un qualcosa di solido, appunto una roccia sporgente, più che un tetto una tettoia insomma, ma tettoia non lo potevo di certo scrivere.
    CITAZIONE
    In questo viaggio ho scoperto che ci possono essere mille partenze, e un solo arrivo.
    Ri-sempre nell'ambito dell'opinabile, considerato l'evolversi degli stati d'animo (unitamente a mie personalissime considerazioni sul viaggio, sull'andare), mi sarebbe suonare meglio un frase dal significato esattamente opposto: una sola partenza, e mille arrivi (possibili).

    Il senso è che (stile tour de France) esiste un solo traguardo che è fondamentale, il resto sono solo partenze gli arrivi intermedi assumono meno importanza, il peso è dover ripartire dopo che si arrivatii in un determinato punto che non rappresenta però il fine ultimo…
    CITAZIONE
    Discendo la strada rotolando sui miei passi.
    Per quanto abbia colto il significato di questa figura (peraltro molto carina), la vedrei più indicata nel descrivere un soggetto che percorre una strada conosciuta, già percorsa, visto che faccio fatica a figurarmi un rotolamento sui passi istantaneamente marcati.

    Non è tanto che conosca la strada è l’idea che vede la terra finire sulla riva del mare è il rotolare è la reazione (gioiosa) di chi non vede l’ora di concludere il percorso, immagina una lieve pendenza e pensa che puoi finalmente lasciarti andare perché sai di essere davvero arrivato alla conclusione del cammino
    Grazie Gordon, ho apprezzato molto la tua attenta lettura, offrendomi dei validi spunti di riflessione.
     
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  13. Gordon Pym
     
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    CITAZIONE (VdB @ 8/7/2009, 14:59)
    CITAZIONE
    Procedo seguendo la traccia scavata negli anni dal passaggio di quanti, prima del mare, hanno solcato la pietra.
    Sicuro non sia meglio mettere "dopo il mare"? Se è il senso temporale cui alludi, mi sembra più corretto, giacchè il mare copriva le montagne prima della colonizzazione di queste da parte dell'uomo.

    No, la tempistica è quella riportata da me: prima solcano la pietra (per raggiungere il mare) e poi solcano il mare stesso

    Ah! ...ho capito. Qui io ero andato per la mia strada, forse perchè ancora non si era accennato al mare come meta o luogo di transito, pensavo ti riferissi ai solchi che in passato, in certi luoghi, l'acqua ha tracciato scavando nella pietra e oggi possono essere usati come via di passaggio! Pensa che viaggio mi sono fatto! :shock:
     
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  14. Daniele_QM
     
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    Il racconto è scritto molto bene, comunica la giusta sofferenza, le incertezze, dubbi e paure... tuttavia ho trovato un po' pesante la lettura. La continua ricerca di raffinatezze letterarie dopo un po' risulta un fardello fastidioso. Credo che i fregi stilistici colpiscano l'attenzione nel modo giusto quando vengono dosati con maestria, mentre la sensazione qui è che tu li abbia infilati a forza in ogni frase.
    Generalmente quello che scrivi mi colpisce sempre, però credo che stavolta avresti potuto dosarti meglio. Per questo ti dico che voto 3 ma un po' stiracchiato.

     
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  15. VdB
     
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    Grazie Daniele per voto e commento. In effetti il testo è complesso, ma non è un atto di suiperbia il mio, quanto un "paradosso stilistico" che coinvolge il protagonista che riesce a filosofeggiare mentre se more de fame... (cazz come m'è uscita fuori bene 'sta spiegazione, che vuol dire tuttto o forse niente -_- )
    Saluti
     
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19 replies since 1/7/2009, 11:16   372 views
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