OCCHI MORTI
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OCCHI MORTI

Marica Petrolati - 7.600 caratteri

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  1. domit
     
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    OCCHI MORTI




    Quando Missy Rock cadde dal letto, perdendo un occhio e spezzandosi un braccio, il vaso si riempì e l’acqua iniziò a tracimare.
    Non c’era stata la classica goccia che, unendosi alle altre, aveva portato l’acqua olltre il bordo; c’era stato, piuttosto, un meteorite piombato giù a velocità folle.
    Gocce acide erano piovute tutt’intorno, corrodendo la superficie benevola delle cose.
    Il meteorite era l’occhio fisso di Missy Rock, e questo era un fatto.
    L’altro, era che l’acqua dentro il vaso era prutrida e stagnante, vecchia di decenni.


    – Si può sapere che ti è preso?
    Marco mandò giù il boccone, concentrandosi sul movimento dell’epiglottide.
    – Credo di aver fatto un brutto sogno.
    – Credi? – lei spostò l’aria con la mano, masticando di gusto pane sporco di marmellata ai lamponi.
    – Sì, una brutta sensazione. Mi sono svegliato all’improvviso, tutto qui.
    – E perché te la sei presa con Missy? Vittoria ha pianto per tutta la mattina, lo sai?
    – Mi spiace, è stato un gesto istintivo. Gliene comprerò una uguale.
    Paola rimase in silenzio, a fissare il vasetto incrostato di marmellata dietetica.
    – E se, con il tuo movimento istintivo, avessi afferrato e scaraventato giù dal letto Vittoria?
    – Non dire scemenze, so distinguere nostra figlia da una bambola.
    Paola arcuò le sopracciglia, allontanando il busto dal tavolo per accarezzarsi il pancione.
    – Me lo auguro, visto che qui sta per arrivare il bis – disse scostando la sedia e alzandosi in piedi. – Sarà meglio che mi avvii, altrimenti rischio di far tardi all’appuntamento col ginecologo.
    – Sei sicura che non devo accompagnarti?
    – Sicura – disse lei chinandosi per baciarlo sulla fronte. – Sono ancora in grado di farcela da sola. Ricordati di andare a prendere Vittoria all’asilo, va bene?
    – D’accordo.
    Marco allungò le mani, a cercare la rotondità soda del ventre della moglie.
    Chiuse gli occhi, gustandosi il calore che emanava dal corpo ingrossato di lei.
    Pensò a Enrico, che galleggiava silenzioso nel liquido amniotico.
    Si sciolse dall’abbraccio, improvvisamente infastidito.




    Eh, sì. Sei proprio da buttare, pensò raccogliendo Missy Rock dal cesto dei giocattoli.
    Osservò la cavità orbitale vuota e il braccio montato al contrario da Paola, chiedendosi perché mai sua moglie non avesse buttato quel fantoccio direttamente nel cesto dell’immondizia. Non era più un giocattolo adatto a una bambina, assomigliava a un feticcio demoniaco, ormai.
    E, come tale, gli era apparso anche quella mattina, quando aveva ancora tutti e due gli occhi e l’arto al posto giusto.
    Naturalmente, aveva mentito: non c’era stato nessun incubo, solo quella bambola del cazzo che lo fissava.
    Si era svegliato di soprassalto, come se qualcuno gli avesse sussurrato all’orecchio.
    Il viso statico e sornione di Missy Rock lo stava osservando da pochi centimetri di distanza, mentre il braccio, troppo simile a quello di un vero neonato, era alzato nella sua direzione, a sfiorargli la spalla.
    Marco aveva sentito il cuore ribellarsi e fare un balzo in avanti, contro la cassa toracica.
    Allora aveva afferrato la bambola, che sua figlia aveva infilato clandestinamente nel loro letto, e l’aveva sbattuta con rabbia a terra, quasi fosse stato un insetto velenoso.
    Ripensò all’abbraccio immobile che Missy Rock aveva tentato di dargli e le gambe tremarono, sfiorando la stoffa leggera dei pantaloni.
    Si sedette sul lettino di Vittoria, la bambola sulle ginocchia e un malessere intimo che pretendeva di essere preso in considerazione.
    Era la bambola, lo sapeva.
    Lo spavento della mattina aveva riaperto la porta su quella strana fobia, ripiombandolo indietro di anni.
    Evidentemente, la porta era solo accostata.
    Scagliò Missy Rock contro il muro: nell’urto il braccio si staccò di nuovo e Marco lo vide roteare nell’aria e disegnare parabole veloci.
    Ce l’aveva fin da bambino, quel problema. E sapeva anche come si chiamava perché sua mamma gliel’aveva detto, quando era stato più grande.
    Gliel’aveva raccontato ridendo, a dire il vero, di quando suo figlio scoppiava a piangere di fronte alle bambole, e di come fuggiva a nascondersi sotto il letto.
    Pediofobia, era il termine giusto.
    Marco si distese sul letto, le braccia incrociate dietro la testa e lo sguardo fisso sulla carta da parati coi cuoricini.
    Aveva un ricordo vago di quel periodo, spezzoni d’infanzia, disarticolati ma nitidi.
    C’era una bambola, in particolare, che lo terrorizzava, questo lo rammentava bene. Era quella di sua sorella, quella maggiore.
    Era un bambolotto, di quelli che assomigliavano ai neonati veri, con la plastica a simulare in maniera piuttosto realistica la pelle rigogliosa e paffuta dei bimbi appena nati.
    Marcò voltò il capo e incrociò lo sguardo orbo di Missy, che lo sfidava dall’angolo della stanza.
    Era una bambola come quella che l’aveva traumatizzato da piccolo.
    Sbirciò l’orologio: mancavano ancora un paio d’ore prima che Vittoria uscisse dall’asilo.
    Si girò nel letto e chiuse gli occhi, le palpebre ormai un peso insostenibile.
    Prima di scivolare nel sonno, un pensiero lo inseguì.
    Qualcosa che aveva pensato prima, mentre sondava i ricordi, che riguardava sua sorella.
    Il lettino cigolò sotto il peso del suo corpo scosso da un singulto.
    Spalancò gli occhi, ma non vide il sole di maggio che trafiggeva le tendine di seta, mentre arabeschi lucenti s’inseguivano sul parquet.
    Marco fluttuava in un’oscurità cullante e protettiva.
    A pochi centimetri, in quel buio, qualcuno lo osservava, in silenzio.



    La campagna s’era appiattita, fusa in un turbinio verde e marrone che scorreva veloce in decine di fotogrammi illegibili al di là del finestino.
    L’asilo di sua figlia era dall’altra parte del paese, ma l’urgenza che Marco aveva avvertito, deflagrata prima nella testa e poi nello stomaco, aveva ridotto il problema a dimesioni minime.
    Quando bussò alla porta di sua madre, Vittoria era un puntino ormai sbiadito nella scala delle sue priorità.
    – Mamma, ti ricordi di quando, da bambino, avevo paura della bambola di Laura?
    La domanda raggiunse Luisa come un gancio in pieno volto; Marco vide le sue nocche sbiancare contro il legno della porta che aveva appeno aperto.
    – Tesoro, che ci fai qui a quest’ora?
    – Ti ricordi? – incalzò lui entrando in quella che un tempo era stata anche casa sua.
    – Certo che mi ricordo – iniziò Luisa con una bozza di sorriso sulle labbra. – Ma, come aveva previsto il dottore all’epoca, tutto si è poi risolto.
    Marco strinse gli occhi nella penombra della stanza.
    – Come ti è tornata in mente questa cosa? – aggiunse lei, la voce disturbata da un lieve tremolio.
    – Non si è risolta. Stamattina ho fracassato la bambola di Vittoria.
    – Hai fatto cosa? – strillò Luisa, questa volta decisa. – E Vittoria sta bene?
    – Certo che sta bene. Senti... – Fece un inventario mentale del vocabolario. Fu tentato di inventare una scusa e di chiudere lì quella conversazione bislacca; poi le parole si materializzarono in suoni, propagandosi nel soggiorno.
    – Io credo di conoscere la causa della mia fobia.
    Mia sorella, quella più grande, aveva pensato.
    – Che intendi?
    Marco fece un passo verso di lei, osservò la leggera peluria del labbro superiore imperlata di sudore, le rughe che le increspavano il viso e pensò che erano passati tanti anni. Troppi.
    – Devi dirmelo, mamma. Non ero solo, vero?
    Ci fu un silenzio elettrico.
    L’acqua del vaso, putrida e stagnante, vecchia di decenni, inondò il pavimento.
    Poi, la voce di sua madre, in equilibrio precario sul ciglio del pianto.
    – Nacque morta. Tu vivo, lei morta. Dissero che lo era già da una settimana.
    Poi la mamma aggiunse un altro particolare.
    Ma a Marco non interessava: lo sapeva già che la sua gemella aveva gli occhi spalancati.
    Occhi morti che lo fissavano.





     
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  2. Daniele_QM
     
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    Allora, sposto qui il mio commento:

    Credo tu debba ripostare il racconto in nuovo sondaggio, poi questo thread verrà cancellato da chi puote.

    Comunque, letto e piaciuto. ;)

    Hai l'horror nel sangue, davvero. Leggerti mi prende sempre molto, quindi davvero complimenti. tuttavia non mi sento di arrivare al massimo e la spiegazione è questa:
    SPOILER (click to view)
    perché insistere sul fatto che deve andare a prendere la figlia a scuola, e poi far cadere la cosa nel vuoto? Si ha la sensazione che quando lui andrà finalmente a prenderla, succederà qualcosa, ma così non è. Anzi, non lo vediamo andarci. Inoltre sia sua moglie che la madre, dopo che lui ha raccontato di aver distrutto la bambola, gli domandano se però Vittoria stia bene. Perché questa domanda? Perché questa insistenza? Dai la sensazione che possano temere che lui faccia del male alla bimba, ma alla fine così non è: crei un'idea fasulla nella testa del lettore che non va bene. Quando il lettore si fa un'idea, è bene che poi possa pensare "sapevo che c'era qualcosa!!!"

    Secondo me se aggiusti il racconto pensando a queste due cose che ti ho scritto, puoi arrivare al top.
    Comunque brava. ;)
    Tre.
     
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  3. melantropo
     
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    CITAZIONE
    Cos'hai combinato nel sondaggio? :D

    Torno dopo (sì, l'ho già letto: potevo forse aspettare?) ;)

    Vabbé, ok, commento adesso e voto dopo (me lo ricordi, vero?).

    SPOILER (click to view)
    Bella lì: mi sai di alchimista, ché prendi elementi semplici e conosciuti (i bambini, la bambola, il genitore pericoloso) e li mescoli in sempre nuove declinazioni. Anche stavolta, come spesso accade, azzecchi la mistura. Lo stile asciutto è sempre efficace, la potenza subliminale che si raccoglie e si sfoga nelle battute finali vale tutto il raccont(in)o.
    Meriti un bel 4, qui.
    Mi permetto, ormai mi dovresti conoscere: c'è qualche ripetizione, un paio di concessioni a forme lessicali comuni, però sono controbilanciate da notevoli espressioni.

    Fammi sapere come faccio a votarti!
    Anzi, già che ci sono, magari scrivo a qualche Santo di questo ParadiXIIo.

    Anch'io ho spostato il mio commento di qui, e pensa: mi sono anche ricordato di votare!
     
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  4. Yue07
     
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    Il genere horror non mi è mai piaciuto, ma mi sono dovuta in parte ricredere leggendo il tuo racconto. Le frasi spesso secche e non troppo lunghe tengono un ritmo abbastanza incalzante, e il finale era inaspettato (o quasi).
    Voto per il 3. Se mi avesse preso di più sarebbe stato un quattro.
    Sinceri complimenti, Yue07.
    PS: leggendo il post di Daniele_QM ho capito che non sei nuova, al contrario di me che sono appena arrivata. Questo sito mi piace, è stimolante e spero di ambientarmi bene.
     
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  5. Jakken
     
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    Ciao domit. ^_^
    Appena sposti di qua la tua risposta al commento di Mel, cancello l'altra discussione senza sondaggio.


    Passo al racconto.
    Non ho letto gli altri commenti, quindi potrei ripetere...
    SPOILER (click to view)
    Hai la capacità di "minare" il quotidiano. Riesci a dare colori e sfumature a situazioni e oggetti archetipi del genere thriller/horror. Lo fai in modo originale, e ciò ti salva da quel "già visto e letto" che è sempre appostato dietro l'angolo...
    Quindi, storia semplice ma che funziona. E quel che è ancor meglio è il finale. Lo dico spesso che i racconti brevi devono essere come delle auto da corsa: accelerazione e velocità, certo, ma se poi la frenata finale non è all'altezza si sbanda... e si rischia di uscire dalla carreggiata.
    Unico appunto è la questione della figlia. Il fatto di andarla a prendere o meno. Gestisci meglio questa parte. È un piccolissima macchia che puoi cancellare facilmente, e il tuo lavoro sarà ancor più solido.
    Voto: dato che sei più vicina al 4 che al 3, è giusto darti il massimo.


    Edited by Jakken - 9/8/2009, 21:48
     
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  6. Gabriel913
     
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    Io direi che un 4 qui ci sta benissimo.
    Ho notato che usi espresisoni molto originali e il loro inserirsi nel racconto non è mai forzato.
    Inoltre hai fatto una cosa che pochissimi riescono a fare: di solito allo svelarsi dell'orrore finale, chi legge pensa: " bè,poteva essere peggio". Secondo me qui non poteva esserci niente di peggio :)
    Complimenti.
     
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  7. Virgart
     
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    Ciao,
    Ho letto più volte il tuo racconto e, seppure scritto bene, ogni volta c'era qualcosa che non mi tornava.
    SPOILER (click to view)
    Poi Ho capito: nella narrazione fai riferimento più volte a una sorella maggiore, poi la nomini "Laura". Quindi
    Chi legge pensa che si tratti di questa persona, ma nel finale non è così e introduci un terzo figlio: la gemella di Marco.
    Questa cosa confonde, anche se comprendo il motivo di voler generarela sorpresa.
    Inoltre quella frase detta dal protagonista improvvisa "Non ero solo" alla madre, senza alcun riferimento a gravidanza della donna, mi lascia perplesso: come può lei capire che lui intenda prorprio quello?


    Il mio voto è 3, perché sai scrivere davvero bene, la storia questa volta ti è ruscita un po' meno.

    Virgilio
     
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  8. Alessanto
     
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    Letto.
    Nulla da dire sulla scrittura, forse un po' troppo asciutta ma è okay.
    Passiamo alla storia. Purtroppo il paragrafo finale non m'è piaciuto proprio, non so, sarà il dialogo che non mi sembra funzionare oppure, alla fine viene su come troppo raccontato. Non c'è una vera scoperta da parte del personaggio unitamente al lettore. Forse la frase "Non ero solo, vero" è troppo diretta. Manca il travaglio della scoperta.
    In ogni caso, la storia è bella ma un gradino sotto quella che ha vinto l'USAM due mesi fa (ancora ci penso a quella...)

    Voto 3.
     
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  9. sgerwk
     
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    SPOILER (click to view)
    Il racconto è scritto bene, ed è anche abbastanza originale in quanto combinazione di due idee: "bambole horror" e "gemello morto". Entrambe sono state usate per film horror, ma che io sappia mai insieme.

    Il difetto del racconto è che secondo me ha un finale un po' debole. Per un racconto di questo tipo, che ruota intorno a una rivelazione, la rivelazione dovrebbe spiegare e colpire. Come spiegazione va bene, ma non mi ha colpito più di tanto. Forse il problema è che è difficile immedesimarsi in Marco neonato che ha vicino il gemello morto con gli occhi aperti (troppo piccolo per questa immedesimazione?). A ripensarci, la cosa è in effetti abbastanza orribile, però il racconto non mi ha dato quest'idea. Forse il problema è che il finale è troppo veloce, cioè non lascia il tempo di immaginarsi l'idea del bambino con il gemello morto vicino.

    Un altro problema del racconto è che la rivelazione alla fine dice anche che non è mai esistita nessuna minaccia reale sul presente. Marco in qualche modo "ricorda" quello che gli è successo prima di nascere, e basta.


    Qualche commento su punti specifici:

    "L'altro, era che l'acqua dentro il vaso era prutrida": non ci va la virgola, putrida

    "disegnare parabole veloci": non credo "parabole" sia la parola giusta; forse "cerchi"?

    "La domanda raggiunse Luisa come un gancio in pieno volto": un diretto, forse? (per essere un gancio al centro della faccia, lei avrebbe dovuto essere chinata... :D )

    "Mia sorella, quella più grande, aveva pensato": a questo punto, questa frase non è del tutto chiara; dato che non è nemmeno necessaria, forse si potrebbe anche togliere

    Voto: 3

     
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  10. Fini Tocchi Alati
     
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    Bello.

    SPOILER (click to view)
    Il ritmo incalzante mantiene alto l'interesse del lettore sino alla fine e la bella scrittura rende piacevole la lettura.

    Il finale, tuttavia, non mi è piaciuto. Mi riferisco all'ultima frase, secondo me troppo breve e secca e non conclusiva (da un punto di vista emotivo e del ritmo). Mi ha fatto storcere un po' il naso.


    Comunque, un'ottima prova.
    Il mio voto è 3.
     
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  11. vittoriano tresoldi
     
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    Bello, ho gradito.
    Intrigante e inquietante, l'ho letto con piacere e alla fine mi è quasi dispiaciuto che sia finito presto.
    Però, ripensandoci, hai trovato la misura giusta per questo tipo di storia. Anche il ritmo é ben mantenuto e hai messo anche un buon bilanciamento tra dialoghi e narrazione.
    Unico piccolissimo appunto, è che vai a sfiorare l'infodump in quache dialogo, per esempio quando la moglie dice al marito che deve uscire per fare la visita dal ginecologo oppure quando gli ricorda di andare a prendere la bambina all'asilo.
    L'ultima nota, al protagonista sdraiato sul letto farei guardare le stelline sul soffitto invece che la carta da parati, per via della posizione e perché l'immagine sarebbe più bella.
    Comunque mi piacerebbe leggere altro di tuo.
    Il voto per me è 4.
    Ciao
    VT


     
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  12. marramee
     
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    Scritto davvero bene, e con un'atmosfera molto azzeccata. Trovo però che il finale sia affrettato e non sfruttato come dovrebbe. Di certo inferiore alla cura con lui è scritta il resto della storia. La "scoperta" dovrebbe essere fatta per gradi, e in modo più incisivo.

    Voto: 3.
     
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  13. Piscu
     
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    il racconto è più che buono, ma gli manca un guizzo in più per arrivare all'eccellenza. credo che sia il fatto che alla fine non succede niente. il protagonista ricorda un trauma infantile e ne scopre la causa che gli era stata nascosta... ma tutto finisce lì. questa scoperta non influisce sulla sua vita, o anche se lo fa il lettore non lo sa.

    niente da dire sulla forma, a parte che nell'ultima parte mi pare che manchi qualche trattino nel dialogo con la madre.


    metto tre.
     
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  14. papaditi
     
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    Bello, scritto bene, niente da dire, anche io odio le bambole e mi sono identificato perfettamente, per fortuna ho due figli maschi.

    ciao
    Pat
     
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  15. domit
     
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    @Virg
    @Sgerwk

    SPOILER (click to view)
    Visto che vi siete presi la briga di leggere e commentare, ho piacere di spendere due parole su un punto del racconto che credo sia risultato poco chiaro. :)

    CITAZIONE
    C’era una bambola, in particolare, che lo terrorizzava, questo lo rammentava bene. Era quella di sua sorella, quella maggiore.

    Qualcosa nella sua memoria si sta svegliando: tutto prende il via dall'episosodio di Missy Rock (che lo fissa, ricordandogli qualcosa,, e dalla repulsione che prova abbracciando il pancione di sua moglie. Questi due elementi si collegano nella sua mente, fino a prenderlo per mano e a fargli pensare "Mia sorella, quella maggiore" (Laura). Ma il pensiero è superfluo, strano, visto che non ha altre sorelle. Il suo inconscio si riferisce alla gemella mai nata.
    Tutto qui. :P


    Grazie a tutti per i commenti. :) Se c'è qualcosa che non vi torna leggete lo spoiler. Ecco! :B):
     
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15 replies since 9/8/2009, 00:10   352 views
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