Un sorriso e mezzo
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Un sorriso e mezzo

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  1. rehel
     
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    Un sorriso e mezzo

    Allora beccatevi questo B-Movie...



    Quando accumuli debiti su debiti, a causa della dedizione maniacale che riservi a ogni video-poker che ti ritrovi davanti, allora è facile uscire di casa col terrore di trovare dietro l’angolo qualcuno pronto a spezzarti le gambe con una mazza da baseball, oppure farcirti lo stomaco con un palmo di acciaio ben temprato. La famiglia mi ha mollato ed è giusto così. Sono rimasto solo, all’ombra del mio idolo elettronico in attesa dell’ennesimo olocausto di soldi. Ma oggi è un’altra giornata e mi prendo una pausa da tutto questo. Guardo le labbra carnose della rossa al mio fianco e l’amico fra le gambe pulsa alla grande; sorrido, la vita non è mai stata così bella.
    Di solito Giovanni non mi considerava più di tanto, invece oggi si è fatto vivo all’improvviso proponendomi una serata a base di ragazze, coca e cena di pesce, tutto offerto da lui, a casa sua. Un suo amico gli aveva dato il bidone e aveva bisogno urgente di un appoggio per l’amica della bionda, ragazza che lo interessava in modo particolare.
    Svuoto un calice di prosecco che accompagna giù per la gola un altro gamberone al sale e penso a quanto cucina bene Giovanni e quanto invece è idiota il suo amico. Se la serata andrà avanti così come minimo ci scapperà un’orgia, queste due sono arrapate come mandrille. Magari, alla fine di tutto, potrei anche chiedere a Giovanni un prestito, visto che suo padre ha i soldi fin sopra i capelli che non ha.
    Dio, che battute mi vengono, ho gli occhi pieni di lacrime dal ridere. Di nuovo mi giro seguendo la scia di profumo della mora che sniffa una riga e mi chiedo come mai adesso sono diventate due. E subito mi rendo conto che tutte le cose nella stanza si sono sdoppiate e formano due immagini distinte. Giovanni osserva tranquillo.
    ― Qualcosa che non va? ― chiede le sua doppia faccia da suino.
    Solo adesso mi accorgo di essere in un bagno di sudore. Il cuore è un martello pneumatico che sfonda le orecchie e mi sento malissimo, come se mi fossero rimasti pochi secondi di vita.
    Allungo una mano verso di lui: ― Giovanni… ti prego…
    ― Sì? ― dice, mentre incrocia le mani sotto al mento. Accanto a lui, fra la nebbia corrosiva che mi si spande nel cervello, intravedo la bionda che abbassa la testa fra le sue gambe.
    ― Ti piacciono le scommesse? ― dice ancora Giovanni chiudendo gli occhi beato.
    Poi tutto diventa scuro e io precipito in un profondo, indefinito nulla.

    ***

    Buio.
    Buio denso, nero come il culo dell’inferno.
    Non vedo niente. Cerco di allargare le mie braccia e scopro che si muovono troppo poco. Tasto con una mano. Legno, legno grezzo tutto attorno. Non c’è spazio. Sono chiuso da qualche parte, al buio; oh, Dio!
    Sepolto… vivo?
    Urlo e quasi non riconosco la mia stessa voce. Una forza disumana mi prende, si scarica nelle mani che affondano verso l’alto e spaccano le assi. Rimuovo sassi e radici che riempiono gli occhi e la bocca, la terra mi frana addosso, ma proseguo instancabile, ed ecco, ecco la luce del sole!
    Grido ancora quando esco dalla fossa. Un verso gutturale, consonanti ottuse che mi si inaspriscono acide nella gola.
    Il sole ferisce gli occhi, eppure non ho mai visto niente di più bello, potrei restare assorto per ore a fissare quella luce che, solo adesso me ne rendo conto, credevo di non potere vedere più. Poi un rumore alle mie spalle. Mi giro e vedo un uomo pallidissimo con l’espressione stravolta, come quella di chi si è appena reso conto di essere stato a un passo dall’essere piallato sull’asfalto da un TIR. Anche lui è uscito da una fossa. Barcolla e fa qualche passo incerto. Sputa un verso rauco che ricorda un po’ troppo il mio.
    Mi guarda e anche io lo guardo; stiamo pensando la stessa cosa: carne poco fresca appena risorta dalla tomba. E subito mi rimbalza nella mente la cena con Giovanni e come dopo mi sono sentito male. Cavolo, quei gamberi al sale li avevano pescati con l’arca di Noè?
    Osservo le mie mani. Sono diafane e allo stesso tempo macchiate di scuro. Intreccio le dita, non avverto calore, solo un vago senso di gelo. Ma l’orrore si fa strada in me quando mi rendo conto di non respirare. E se capisci che la cosa è perfettamente normale in un cadavere, diventa dura da accettare quando il corpo in questione è il tuo.
    Delle grida maldestre richiamano la mia attenzione. Ci sono altri cadaveri che risorgono in questa sorta di cimitero senza croci né lapidi, privo di muro di cinta, di fiori o di qualunque altra cosa caratterizzi un camposanto in qualunque parte dell’Italia.
    È allora che vedo la recinzione. Un reticolato alto almeno quattro metri, percorso da fili elettrici che promettono un caldo benvenuto a chi abbia la malaugurata idea di tentare di scavalcarlo. Quasi di fronte a me c’è un cancello robusto e delle persone vestite con abiti da caccia che si avvicinano dall’altra parte della barricata. Ci sono anche dei grossi cani che si mettono ad abbaiare a più non posso.
    Gli uomini si approssimano alla recinzione, adesso riesco a contarli: sono quattro. Uno di loro avanza verso il cancello, con un megafono in mano.
    ― Vedo con piacere che state tutti bene, ragazzi ― dice portandoselo alla bocca.
    Non credo ai mie occhi. L’ho visto solo poche volte, ma non posso sbagliarmi, la sua pelata lucida è inconfondibile. Si tratta del padre di Giovanni, e il figlio è subito dietro, quello con la mimetica grigia e un berretto che fatica a nascondere la faccia da maiale.
    ― Ascoltatemi bene, perché se il vostro corpo è andato, anche se non del tutto, il cervello invece dovrebbe essere ancora abbastanza a posto. Io e questi signori siamo grandi appassionati di caccia e di scommesse.
    Abbassa il megafono e ride rivolgendosi al figlio.
    ― Hai salutato il tuo amico, figliolo?
    Giovanni sputa per terra: ― Quel pidocchio non è affatto mio amico. Piuttosto che averne come lui mi taglierei le palle e ci giocherei a minigolf.
    Gli altri due, dietro, scoppiano in una risata idiota.
    Il padre di Giovanni rialza il megafono.
    ― Be’, per farla breve, in un modo o in un altro siamo venuti in possesso dei vostri cadaveri. Per averli abbiamo dovuto pagare strozzini, magnaccia e altra simpatica gente del genere. Ognuno di voi ha la propria storia alle spalle, non è stato facile convincerli a lasciare curare a noi la vostra dipartita, capite, non sarebbe stata così educativa come se lo avessero fatto loro, ma noi siamo degli sportivi veri. Cosa non faremmo per una battuta di caccia? Eh, ragazzi? Una bella caccia all’uomo come si usava nei tempi andati. Poi, tanto per rendere più interessante la cosa, mettiamo in ballo anche una bella sommetta. Chi riuscirà a uccidere il maggior numero di voi fottuti zombie del cazzo vincerà il gruzzolo messo sul piatto!
    Mentre i cani riprendono ad abbaiare come ossessi il loro entusiasmo, il padre di Giovanni si accende un sigaro con tutta la calma di questo mondo.
    ― Quel terreno che abbiamo trasportato qui è speciale, non avete idea di quanto costa ― dice mentre aspira una lunga boccata. ― Io non ci volevo credere, ma fa resuscitare per davvero. Sembra ci sia dentro un fungo particolare venuto da chissà dove, forse dallo spazio. Solo che si torna dall’aldilà in un modo diverso, troppo diverso. È un po’ come quei film americani sugli zombie. Con la differenza che il cervello stranamente rimane a posto, mentre il corpo procede nel suo sfacelo. In questo modo la cosa sarà ancora più interessante. Materia grigia umana bene istruita a scuola, in grado di pensare e con l’aggiunta del pepe data da un corpo che ha acquisito una notevole forza. Ah… che prede meravigliose!
    Si concede una pausa per caricare il fucile, accarezza un cane e poi conclude: ― È meglio se vi allontanate. Quando questo sigaro sarà finito libererò i cani. Poi arriveremo noi coi fucili. Mi sembra abbastanza chiaro, no?
    Rimango rigido come un palo. Sono stato avvelenato! La rivelazione mi colpisce come una fucilata. I gamberi non c’entrano. Mi hanno messo una schifezza nel cibo, o nel prosecco, anche se sembrava così buono. Ma i pensieri relativi alla mia dipartita vengono interrotti da Giovanni che alza il fucile e spara un colpo in aria.
    È come se me lo avesse tirato contro. Mi scuoto e comincio a correre verso la parte opposta. È solo un modo di dire perché la mia deambulazione è lenta e, immagino, anche piuttosto comica da vedere. Penso ai film con gli zombie e non ci posso credere di essere ridotto così, ma se guardo gli altri miei compagni di sventura la cosa è evidente.
    Due si allontanano seguendo la recinzione. Io punto verso una collina boscosa che si vede al termine del prato. Mi seguono in quattro, fra cui una ragazza con una vistosa capigliatura rossiccia, che in qualche posto si deve essere giocata parte della mandibola. Ogni tanto mi volto preoccupato, temo che da un momento all’altro quel pazzo sciolga i cani. Con l’odorato che si ritrovano fiuteranno la nostra carne mezza marcia anche se dovessimo rifugiarci al Polo Nord. Non abbiamo nessuna speranza di scappare, di nasconderci. E poi, per andare dove? Per fare cosa? Siamo solo cadaveri, fatti rinascere per una stupida scommessa. A quanto pare non c’è nessun paradiso che ci aspetta, nemmeno un lugubre inferno, solo posti da controfigure in un gioco pazzesco messo in scena da una mente delirante.
    Continuo a camminare più veloce che posso. In fondo c’è un vantaggio a essere morti, non si avverte la fame, né la sete e non si sente il male, l’ho capito quando sono finito in pieno contro un cespuglio di rovi spinosi. Nemmeno un riflesso, una parvenza di dolore, nulla. Però paura sì, quella tanta. Paura di morire? Non lo so. È stupido, come posso avere paura di morire se sono già morto? Però io ho paura, questo è sicuro, perché ho l’inquietante sensazione di avere le palle tutte rattrappite.
    Quando siamo quasi al boschetto sento i colpi. Mi giro e vedo il mare spuntare da dietro dei cespugli in lontananza. E anche dall’altra parte scorgo il turchese di un’acqua cristallina. Questi bastardi si sono comprati un’intera isola e l’hanno attrezzata per la loro caccia alla volpe del cazzo.
    Ancora due spari e delle grida eccitate. Provengono dalla zona in cui la rete di recinzione si prolunga fino alla battigia. I due sventurati che andavano da quella parte hanno già terminato il loro percorso.
    La rossa mi guarda dubbiosa, non sa se entrare nel bosco oppure no. Io faccio di sì con la testa, e allora sembra sorridere. Un sorriso reso ancora più buffo dalla menomazione della sua mandibola.
    Andiamo, “Mezzosorriso”, dico dentro di me, mentre dalla gola esce solo una poltiglia di vocali dissociate.
    Il fogliame non dura a lungo. Dieci minuti e sbuchiamo dall’altra parte. Gli altri che erano con noi non si vedono più, forse hanno sbagliato direzione, oppure hanno cambiato idea. Ed è meglio così, più ci dividiamo, maggiori sono le possibilità di sfuggire. Poi mi rendo conto dell’idiozia che ho pensato. Quest’isola è una grande trappola, comunque non c’è scampo. Una parte è recintata col filo elettrificato. E lì è probabile che ci sia l’accampamento dei cacciatori e l’attracco di una nave. Il resto è tutto circondato dalle acque, così mi ritrovo a rompermi la testa per cercare di ricordare se gli zombi sanno nuotare oppure no. Ma per quanti sforzi faccia non rammento niente del genere.
    Mezzosorriso si agita. Punta un dito alla sua destra. Capisco cosa vuole dire. C’è un torrentello stitico che sbuca da dietro un masso e si getta in picchiata verso la spianata del cimitero. Mi dà la mano e io l’afferro. Sembra tiepida, ma so che è solo un impressione, che in realtà deve essere gelida come l’ombelico di un eschimese, comunque sia la stringo forte e assieme ci avventuriamo nel rigagnolo d’acqua. Percorriamo alcune decine di metri in salita, poi usciamo su un terreno cosparso solo di rocce. I cani dovranno sudarsela un bel po’ la nostra carne morta!
    Alla fine giungiamo in un punto abbastanza alto, infatti quando mi guardo attorno posso vedere buona parte dell’isola. Siamo in quella che prosaicamente si potrebbe definire la vetta. Mezzosorriso si agita preoccupata. Mi indica una direzione ben precisa. Guardo anch’io, e se non fosse uno sproposito, potrei dire che il fiato mi viene meno. Ci sono almeno quattro o cinque cani che stanno risalendo la leggera salita verso di noi, fra poco saprò cosa si prova a morire due volte.
    Mezzosorriso fa per scappare via, ma io la fermo. In confronto a quegli animali noi siamo delle tartarughe paralitiche, non andremmo da nessuna parte. La velocità non fa parte del nostro corredo genetico… Dio, ma cosa sto dicendo! Comunque sia non posso fare a meno di pensare a come sono sbucato fuori da una fossa piena di terra. Se quella adesso è la mia forza perché non metterla a buon frutto invece di scappare come un coniglio paraplegico? Frugo il suolo con lo sguardo, mi ci vuole un po’, ma alla fine trovo due bastoni lunghi e robusti. Ne do uno a Mezzosorriso e mimo l’atto di spaccare la testa a qualcuno.
    Lei guarda me, poi i cani. Alla fine di nuovo il suo sguardo si posa sul mio. Poi stringe forte il bastone e urla il suo grido di battaglia.
    Brava ragazza, forse insieme ce la possiamo fare.
    Per primo mi arriva addosso una bestiaccia dal pelo lungo, gli occhi spiritati e la bava alla bocca, ma lascia i denti sul mio randello che in maniera assai concreta gli spappola il muso. Vola via che è un piacere, quasi un fuori campo: Zombie Island 1 – Hot Dogs 0, dopo il primo inning.
    Un altro punta deciso alle caviglie e anche a lui va piuttosto male. Ho una forza che non mi sono mai sentito prima. Il mio calcio è devastante e lo apre in due come un branzino eviscerato. Ma a Mezzosorriso butta male. Una di queste bestiacce l’ha azzannata a un piede e l’altra mostra una spiccata predilezione per la sua gola.
    Le prendo entrambe per la coda, le faccio girare ed ecco che volano contro una parete di roccia. Ma adesso viene il difficile, dietro ai cani c’è sempre un cacciatore.
    Indico a Mezzosorriso di mettersi in bella mostra, io mi nascondo dietro a un cespuglio, una vecchia tattica da autostoppista. Infatti non ci vuole molto, un tipo con la pancia che deborda dalla mimetica corricchia asmatico verso la mia compagna. So cosa pensa: un’altra preda facile per vincere la scommessa. Giù di sotto si è abituato troppo bene, probabilmente non si è nemmeno divertito. Si ferma e fa per prendere la mira, ma io gli sono subito addosso, le braccia strette alla gola. Tiro da una parte all’altra come se dovessi staccare un palo da terra. Sento un crock e il suo collo adesso ciondola inerte. In fondo è stato più facile di quanto pensavo.
    Poi è il profumo che mi assale. Un profumo dolce di carne umana. È irresistibile e mi devasta il cervello facendo scattare in me qualcosa di ancestrale a cui non posso oppormi.
    Stacco un braccio e comincio a divorarlo a quattro palmenti, non ho mai mangiato nulla di così buono. Anche Mezzosorriso si accoscia sul cacciatore e prende a rosicchiargli un polpaccio.
    Dopo un’ora buona siamo sfiniti. Del cacciatore è rimasta una carcassa smangiucchiata e poco altro. Il pezzo più prelibato e tenero, il pene correlato dei suoi bravi testicoli, l’ho lasciato a Mezzosorriso, del resto mi sembrava giusto così vista la sua difficoltà a masticare.
    Trascorriamo tutta la giornata a osservare svogliatamente la mattanza sotto di noi. Gli altri zombie cercano di scappare ognuno per conto proprio, senza essersi organizzati o avere cercato delle posizioni più elevate. A uno a uno diventano prede facili dei cani che li aggrediscono e poi vengono finiti dai cacciatori. Non si sono nemmeno resi conto della forza che possiedono, scappano e urlano di terrore, semplicemente muoiono una seconda volta e mi chiedo se per loro sarà davvero l’ultima.
    A sera i cacciatori accendono un falò. A quest’ora avranno fatto i conti e notato l’assenza di uno di loro e dei quattro cani. Domani mattina verranno a cercarci quassù e di fronte a tre doppiette e almeno una ventina di quelle bestie non so cosa potremo fare.
    Non sento il sonno, la fame è placata. Sete? Non so cosa sia. Guardo le stelle, poi l’occhio mi si posa su uno degli animali.
    Ho un sussulto. Chiamo con un grugnito Mezzosorriso e le indico la strada con la mano. Si va di sotto, penso.
    Scendiamo lenti, in silenzio, dalla parte opposta rispetto a dove si trova il campo dei cacciatori, con estrema cautela per non scivolare sotto il peso degli animali morti che mi porto dietro. Adesso siamo giù, nel posto dove eravamo partiti. Guardo la recinzione, naturalmente è chiusa e per noi non c’è possibilità di fuga da quella parte.
    Allora, in silenzio, scaviamo e ci sediamo ad aspettare l’alba che verrà.

    ***

    I cacciatori giungono presto, poco prima dello spuntare del sole. Giovanni è in testa al gruppo e guida l’avanzata tenendo la muta di cani al guinzaglio. Sorride, mentre le bestie fremono, le narici aperte e le code agitate in un vortice di movimento. Suo padre si toglie il berretto e si asciuga la testa sudata.
    Si fermano, forse si aspettano che noi scappiamo via. Poi riprendono ad avanzare piuttosto delusi. Quando sono a una ventina di passi si fermano di nuovo e puntano i fucili. Sembra un plotone d’esecuzione. Credo che la loro caccia li abbia parecchio delusi; troppo facile. Si aspettavano una certa resistenza e invece tutto si è risolto in un massacro. Allora cerchiamo di creare un lieto fine a tutta questa storia.
    Caccio un urlo. I cani accorrono da dietro i cespugli dove stavano acquattati e piombano addosso ai loro simili viventi. Do una gomitata a Mezzosorriso. Ci lanciamo, è solo un modo di dire, verso i nostri avversari gridando a pieni polmoni, anche se in realtà, ora, sono solo delle inutili saccocce sgonfie d’aria. Terrorizzare l’avversario è una vecchia tattica, sempre efficace. Infatti Giovanni e suo padre riescono a sparare qualche proiettile a vuoto, il terzo cacciatore nemmeno quello. Lo randello di brutto col primo colpo che sferro. La testa gli vola via e va in buca dentro una pozzanghera melmosa. Mezzosorriso ha addentato il padre di Giovanni alla testa e non si sogna di mollare la presa anche a costo di giocarsi quel pezzo di mandibola che le rimane. Il mio ex amico osserva con gli occhi sbarrati la scena dei cani zombie che massacrano gli altri loro fratellini, sembra un ateo che stia assistendo alla trasfigurazione di Gesù. Poi ritorna coi piedi per terra e comincia a scappare più veloce che può.
    In breve è tutto finito. Io ho masticato a dovere il terzo cacciatore, Mezzosorriso si è gustata il cervello del padre di Giovanni mentre il suo corpo era ancora preda delle ultime convulsioni. I cani oziano con le pance gonfie dei loro fratelli.
    Non so quanto tempo ci sia voluto per fare resuscitare il mio corpo, ma i cani sono piccoli e pesano molto meno di un essere umano, ho sperato che una notte fosse sufficiente e mi è andata bene. Li ho portati giù dalla collina per seppellirli nel terreno miracoloso. Prima dell’alba sono spuntati fuori. Sono cani intelligenti e bene addestrati, non ci hanno messo molto a capire di restare nascosti là dietro in attesa del mio richiamo.
    Do un’altra gomitata a Mezzosorriso, sembra che capisca solo così di doversi muovere. La caccia continua, c’è solo stato uno scambio tra cacciatore e preda.
    La ragazza si muove, finalmente. Cammina e subito mette un piede in fallo, scivola e sembra quasi sul punto di cadere. Poi si riprende, guarda verso di me e sorride in quel suo modo tutto sbilenco, visto la mezza bocca che le è rimasta. Io ricambio il suo sorriso, così, assieme, almeno ne facciamo uno e mezzo.
    Guardo preoccupato la sua gamba sinistra, è messa piuttosto male, forse ha sbattuto da qualche parte, oppure è stato un colpo di fucile. L’arto è quasi spezzato all’altezza dell’anca e prossimo a partire per i fatti suoi. Fra poco camminerà con una sola. Forse è per questo che mi sembra una ragazza maledettamente in gamba?
    A quanto vedo non ho perso il vizio delle battute.
    Forse è proprio questo difetto a darle questa particolare andatura. Ha un bel fondoschiena che agita in maniera provocante, anche se mi viene il dubbio che lo faccia apposta. Se non fosse assurdo sarei tentato di darle un bel pizzicotto; sarà che è parecchio che non tocco una donna, ma devo riconoscere che le sue chiappe frollate mi attizzano.
    E così io e Mezzosorriso siamo in quest’isola sperduta in mezzo a chissà quale mare. Due fottutissimi zombi lanciati in una assurda camminata claudicante dietro ai cani che fiutano come dannati le tracce di Giovanni. Ma da quanto tempo non mi divertivo così? Sono morto o vivo, o chi lo sa. Inferno, paradiso, dimensioni parallele, mezzi mondi sospesi o chissà cos’altro. Sinceramente non me ne importa nulla. Ho un pensiero fisso in mente: Giovanni. L’isola è piccola, questione di poco tempo, poi lo troveremo.
    E mi dispiace, ma questa volta non avrò gentilezze nei confronti di Mezzosorriso, il mio interesse è troppo personale, e le palle di quel porco me le gusterò solo io.

    Edited by rehel - 17/9/2009, 14:24
     
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  2. Daniele_QM
     
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    Ricordo che lo avevi già postato in Usam. Lo hai rivisitato da allora?

    EDIT:
    bene, questo non l'ho letto di sicuro! :)

    Edited by Daniele_QM - 1/9/2009, 22:08
     
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  3. rehel
     
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    Oh, cappadocia! Ma sei sicuro?
    Cavolo, mi si stà sciogliendo il cervello?! :blink:
    Allora sostituisco.
    :(
     
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  4. Daniele_QM
     
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    CITAZIONE (rehel @ 1/9/2009, 13:59)
    Oh, cappadocia! Ma sei sicuro?

    Eh sì... :unsure: tra l'altro avevi scritto le stesse cose prima del racconto! :argh:
     
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  5. rehel
     
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    Se sentite odore di cordite non preoccupatevi... mi sono appena fatto esplodere le cervici. Era doveroso... :cry:
     
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  6. Piscu
     
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    confermo che in effetti "una piuma della dea" l'avevi già messo in usam. quello di luglio credo, poco dopo la chiusura del circo massimo.

    vabbè dai, settembre è cominciato solo oggi, è normale non aver ancora ricollegato tutto.
     
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  7. Alessanto
     
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    Avevo letto questo racconto nel corso della RR (mi pare che fosse il 2° turno...)
    Mi è/era piaciuto molto. Scritto con cura, c'è azione a raffica e divertimento per avvenimenti e linguaggio.
    Voto 4.
     
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  8. rehel
     
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    Grazie Alessanto, ma credo tu non abbia materialmente votato... :sunglass:
     
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  9. Alessanto
     
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    CITAZIONE (rehel @ 2/9/2009, 08:01)
    Grazie Alessanto, ma credo tu non abbia materialmente votato... :sunglass:

    :blink:
    Alla RR? Lo so sono stato eliminato al primo turno. <_< :cry:
    A questa USAM? Ehm... in effetti l'ho fatto. :huh:
     
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  10. Piscu
     
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    molto carino, sì. breve antefatto e poi subito con l'azione. riesci a creare uno scenario credibile, anche per quanto riguarda la resuscitazione che spieghi con un paio di frasi.

    l'unica cosa che non mi è chiara è se mezzo sorriso sia la rossa che era a cena o qualcun altro.

    lo stile a tratti ironico è ottimo. qualche appunto:

    "con la pancia che gli deborda"
    io toglierei "gli"

    "(concedetemi questo che è solo un modo di dire) "
    questo inciso in cui si si rivolge direttamente al lettore secondo me non ci sta. tutto il racconto è una narrazione in prima persona, e si sottindende che qualcuno stia leggendo, però non ci sono altre occasioni in cui parla direttamente a questo ipotetico lettore.


    un paio di refusi:

    ai mie occhi.

    la mia deambulazione è lenta e, imagino,

    che i realtà

    poco prima dello spuntare del sole..
    (due punti)



    sarebbe un tre abbondante, mi sento di arrotondare a tre.
     
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  11. rehel
     
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    E' curioso, anche a quella macelleria mi chiesero (più d'uno) se la rossa è la stessa.
    La risposta è no. Perché dovrebbe? Tuttavia dovrò essere più preciso in merito, visto che si tratta di una domanda ricorrente. Magari un rapido cambio di colore... :shifty:
    Grazie anche a te. :)
     
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  12. papaditi
     
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    Accipicchia! Che forza.
    Bravo davvero!
     
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  13. Daniele_QM
     
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    Molto divertente. Buoni lo stile e il ritmo, che trasinano col "mezzo sorriso" sulle labbra. :P
    Tuttavia a un certo punto ho storto la bocca:
    SPOILER (click to view)
    quando il padre di Giovanni sciorina tutta la spiegazione sul perché e il come li ha fatti resuscitare. Ecco, mi è parso un po' forzato, anche inverosimile. Avrei visto meglio un non detto, la mente dello zombie chiederci perché e per come e magari scoprirlo alla fine, prima di mangiarsi Giovanni.

    Vado col 3!
     
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  14. Piscu
     
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    CITAZIONE (rehel @ 2/9/2009, 12:39)
    E' curioso, anche a quella macelleria mi chiesero (più d'uno) se la rossa è la stessa.
    La risposta è no. Perché dovrebbe?

    perché accenni a una rossa durante la cena, e nella fase zombie dici semplicemente "la rossa", come se fosse un personaggio già conosciuto. almeno è stata la mia impressione.

    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE (Daniele_QM @ 2/9/2009, 14:28)
    Tuttavia a un certo punto ho storto la bocca: quando il padre di Giovanni sciorina tutta la spiegazione sul perché e il come li ha fatti resuscitare. Ecco, mi è parso un po' forzato, anche inverosimile. Avrei visto meglio un non detto, la mente dello zombie chiederci perché e per come e magari scoprirlo alla fine, prima di mangiarsi Giovanni.

    il problema è che il protagonista DEVE scoprire che è la terra a far resuscitare, altrimenti non potrebbe poi procedere con la zombizzazione dei cani che è un elemento importante della trama.

    quindi potrebbe essere reso meno intenzionale ma la spiegazione ci dev'essere.

     
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  15. rehel
     
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    Vorrei aggiungere che quando uno possiede molti soldi e compra qualcosa tende poi a vantarsene. Il mio panfilo ha gli scaldabagni foderati di moquette.. oppure la mia auto ha 56 carburatori doppio corpo, bella vero?!.
    Ecco, il padre di Giovanni si vanta di tutto quesllo: l'isola, il terreno ecc. e ha bisogno di mostrare queste sue spese agli altri. Per lui è una fase indispensabile e serve anche al lettore per capire.
    Nella macelleria qualcuno aveva storto il naso all'idea, ritenendo che sarebbero bastati corpi qualsiasi di gente poveraccia del terzo mondo senza per questo ricorrere per forza di cose a figure particolari come il protagonista.
    In questa versione credo di avere aggiustato il tiro e riferito dettagli impotanti al fine di giustificare la scelta operata dai cacciatori.
     
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