L'atteso ritorno
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L'atteso ritorno

Ri-fiaba - 26K caratteri

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    Propongo questo figlioccio, sceso in pista nel ri-raccontiamo, al pubblico di USAM, per comprendere meglio le potenzialità

    L’atteso ritorno



    In un grazioso paese, ai piedi di una grande montagna, la vita scorreva via tranquilla al pari della corrente del placido fiume che rasentava il borgo. Nulla sembrava potesse scalfire la quiete del luogo. Eppure, quanto di più inimmaginabile accadde, lasciando un segno indelebile in quell’angolo di mondo.
    Tutto ebbe inizio con l’approssimarsi dell’estate, quando gli abitanti si accorsero che i gatti, pigri e panciuti, erano a uno a uno spariti. Della questione se ne parlò per due o tre sere all’osteria, senza venire a capo di niente. La situazione cambiò quando iniziarono a sparire i polli, i conigli e altre bestie da cortile. Si convenne di indagare per venire a capo del mistero. Fossero stati i lupi si sarebbero ritrovati i resti delle carogne.
    Ben presto l’ingenua disattenzione degli abitanti di Hamelin cozzò con la dura realtà: dagli anfratti più oscuri i topi avevano iniziato a uscire allo scoperto per prendere possesso della città. Erano riusciti, nel volgere di poco tempo, a mettere in secondo piano ogni altro animale, gatti compresi. La maggior parte era finita rosicchiata dalla voracità dei topi.
    Erano ovunque, guidati da una fame che non si saziava con il solo pane o scorze di patate. La notte, le mamme dormivano stringendo a sé i figli appena nati; di giorno, i padri, avviandosi nei campi, lanciavano un ultimo sguardo ai propri cari, neanche li dovessero lasciare in preda a un branco di lupi. Le donne rimanevano chiuse in casa assieme ai vecchi e ai bambini. Prima d’iniziare le faccende consuete, andavano a vedere, negli angoli più nascosti, se c’era un forellino nel legno degli infissi o una crepa sospetta nei muri, tra una pietra e l’altra. Cercavano una traccia, un tentativo dei topi di crearsi un passaggio per penetrare nella quiete domestica, a caccia di qualcosa da mettere sotto i denti.
    La città intera era in preda al panico. Per tale ragione, non esisteva più un’alba in cui il risveglio di ogni abitante di Hamelin potesse considerarsi spensierato e privo di ansie. Valeva per tutti. Per tutti, tranne che per Jonas. I suoi risvegli non venivano di certo rattristati al pensiero di incrociare uno di questi piccoli animali. Tutt’altro. Non aveva paura di loro. I topi, ai suoi occhi, non erano cattivi, non gli tiravano dietro insulti e prese in giro, non lo trattavano con disprezzo. No di certo. Se doveva provare un sentimento di odio, questo andava nei confronti degli esseri Umani, che tanto umani non erano mai stati con lui.

    ********

    La casa dove il piccolo Jonas viveva insieme al padre era attorniata dal fitto canneto, ai margini della palude. Chiunque fosse entrato in quelle stanze, spoglie e umide, avrebbe subito notato l’assenza di una donna. La madre era morta poco dopo averlo dato alla luce. Era un bambino solo e sempre triste. La notte si coricava con mille pensieri, al termine del sonno si svegliava affranto, con poca gioia di vivere.
    L’esistenza di Jonas era simile a un torrente di montagna. Seppure avesse ancora molto cammino davanti, per crescere e diventare grande, doveva in continuazione superare aspre difficoltà, in un vorticoso procedere, giorno dopo giorno. Il più difficile dei quali segnò l’esistenza sua e degli abitanti della città di Hamelin.
    Si era al termine del mese di giugno, il sole aveva fatto capolino dal monte sovrastante la città, quando le palpebre di Jonas, infastidite dai raggi filtrati dal solaio, si sollevarono. Prima di veder altro adocchiò l’invadente ospite: se ne stava a gironzolare accanto alla protuberanza formata dai suoi piedi, al di sotto della coperta. Smosse un alluce e ne richiamò l’attenzione.
    Dietro la parvenza sorniona il sorcio nascondeva un’aria insolente. Jonas lo osservava compiaciuto. Le pupille del sorcio erano piccine e lucide. Due lenticchie scure appiccicate sul grigio pelo, poco sopra il naso, rosa come l’estremità delle zampette. Le orecchie sproporzionate rispetto al capo, così pure i baffi sottili e la lunga coda, gli donavano un aspetto simpatico. Fosse riuscito a prenderlo l’avrebbe tenuto con sé.
    Il bimbo si stiracchiò, stropicciandosi gli occhi. Il topolino rimase sul margine del letto. Aprì la bocca, a mostrare i denti, più affilati della lama di uno stiletto. Se ti mordicchiavano le dita potevano arrivare fino all’osso senza lacerare la pelle, lasciando un formicolio stranamente piacevole. Ma, volendo, le avrebbero scorticate in un batter di ciglia.
    Jonas si sollevò per tentare di afferrarlo. Non riuscì ad allungarsi a sufficienza. Il topo, alzando il muso, tese le orecchie per poi scivolare in basso, scomparendo alla sua vista. Sembrava aver trovato di meglio da fare. Il fanciullo si catapultò su di un fianco, puntò una gamba alla parete e le braccia sul pagliericcio, per ficcare la testa fin sotto al letto. Rimase in bilico sul bordo a osservare il buio.
    La smorfia di delusione, piegato in su lo sguardo, cambiò in scoramento. Poggiò la mano in terra per non cadere. Ruotò il collo, alzando la testa, per allargare la figura incorniciata dallo stipite della porta. I piedi, le gambe, il busto e infine gli occhi del padre, fermo a fissarlo sulla soglia della stanza. Al solito era in ritardo. Ma a un bambino la voglia di alzarsi non arrivava sapendo che Thomas, il fabbro, aspettava il suo garzone per ammazzarlo di lavoro.
    Il padre lo rimproverava spesso: sempre a perder tempo in divertimenti stupidi anziché guadagnarsi il pane, diceva. Ci fosse stata ancora sua moglie avrebbe pensato lei ad allevarlo come si deve, a quel figlio svogliato. Lui aveva già il suo bel daffare a servire nelle terre del Borgomastro. Jonas era un pensiero in più. Un bambino come lui era destinato a campar poco. Magro e malaticcio, e pure zoppo; neppure buono a servire nei campi. Fortuna il lavoro in bottega.
    Tutte le sventure si erano abbattute sulla sua casa disgraziata. La moglie morta e il figlio storpio. Troppo per un pover’uomo costretto a rimboccarsi le maniche ogni mattina per riuscire a racimolare la giornata. E adesso, ci mancavano pure i topi.
    Jonas sapeva bene cosa gli toccava, non aveva bisogno di chi glielo ricordasse. Alzarsi, vestirsi, andare dal fabbro e tornare a casa con un pezzo di pane e un tocco di lardo. Era grande abbastanza per badare a se stesso. Di bambino gli era rimasta la fervida immaginazione. Ai suoi occhi, un fetido topo si trasformava in un tenero compagno di giochi. Sì, li adorava proprio. L’unico in città che vedendo una sudicia tana non ci ficcava dentro la punta dell’attizzatoio, ma ci buttava uno sguardo, nella speranza di trovarci dentro una nidiata. I cuccioli di pochi mesi si potevano stringere nel palmo della mano e si portavano in giro nascosti in una delle tasche o nella sacca. Erano morbidi e mansueti. Ti fissavano con lo stesso sguardo intenso con cui li osservavi. All’opposto dei cuccioli di uomo, così malvagi e perfidi. E allora, se lo mangiassero pure quello schifo di paese per quanto gliene importava a lui. Molto meglio darla in pasto ai topi la città, piuttosto che sopportare prese in giro e umiliazioni.

    *******

    Nella bottega del fabbro le faville del fuoco salivano alte ogni qual volta Jonas spingeva in basso il mantice. Alcune scomparivano avviluppate nella cappa, altre ricadevano perdendo lucentezza, e il rosso vivo si faceva ben presto grigio cenere. A ogni colpo, una vampata di calore gli ritornava contro, rendendo lo sforzo ancora più pesante da sopportare. Era da non credersi quanta energia usciva dal suo gracile corpo. Ancora due o tre sbracciate e poi Jonas avrebbe potuto riposarsi. Era l’ora in cui il padrone si recava all’osteria a farsi dare una pinta di birra e una strisciata da una delle prosperose avventrici, di quelle che con un soldo ti facevano stare bene una giornata intera.
    Il pezzo di metallo, incandescente quanto la palla nel cielo a mezzodì, passò dai carboni all’incudine. Pochi colpi ben assestati e l’ennesimo ferro di cavallo, incurvato come la schiena di Jonas, finì in fondo al secchio, sollevando una nuvola di vapore. Nemmeno il tempo di farlo terminare di sfriggere e il fabbro aveva già voltato l’angolo, lasciandolo libero di prender fiato. Aveva il viso acceso quanto un ferro da forgiare. Calmò l’arsura allo stesso modo, immergendo il capo in un secchio d’acqua.
    Rinfrescatosi, Jonas si accomodò su di un ceppo. Al ritorno, il padrone gli avrebbe comandato di andare a riempire altri secchi. Mentre aveva questo pensiero, il suo sguardo fu attirato da due topi. Era strano che si fossero spinti fin sotto le braci della fucina. Non ne aveva mai veduti in quel posto asfissiante. In pochi secondi ne contò una dozzina. Di vario tipo e taglia. Da dove erano saltati fuori? Averlo saputo prima, nelle pause, li avrebbe scovati per giocarci insieme. I sorci, avanzavano verso la porta. Li adocchiò finché non scomparvero nel medesimo angolo svoltato dal padrone. Si alzò per andargli dietro.
    La sorpresa fu totale quando, affacciandosi, fu costretto a rientrare. Un nugolo di topi scendeva per la via, come un ruscello, neanche fossero piovuti dal cielo. Jonas non ne aveva mai visti tanti in vita sua. I sorci avanzavano ignorando ogni cosa intorno, richiamati da una forza superiore. Le persone se ne stavano alle finestre o sull’uscio di casa, a guardare preoccupate.
    Jonas prese le sue cose e iniziò a seguirli. Procedeva rasente ai muri, per guadagnare una posizione in testa alla strana processione. Giunto al punto in cui la via si apriva sulla piazza del municipio non riuscì a credere ai suoi occhi: ogni angolo era traboccante di topi. La gente, compreso il borgomastro, osservava in silenzio, dai balconi, l’ampio spazio gremito di quanti più sorci ci si aspettasse mai di vedere. Dalla parte opposta una figura si stagliava sui saltellanti animaletti. Portava un vestito dai tanti colori, in testa un altrettanto buffo cappello e avanzava suonando un piffero. Ebbene, sopra lo squittio persistente, si poteva ascoltare una melodia uscire dalle labbra dell’uomo.
    Jonas si bloccò a tale vista. L’assurdo corteo, capitanato dal misterioso pifferaio, imboccò la via verso il fiume. Non aveva altra scelta: doveva seguirli. Pensò di attraversare la piazza ma così facendo si sarebbe esposto allo sguardo di tutti. Decise di aggirare l’ostacolo per raggiungerli prima che scomparissero. Con il cuore in gola arrancava goffo per i vicoli del borgo, tra le persone che procedevano in senso contrario, dirette al palazzo del comune. La voce di questo miracolo divino si era sparsa in fretta. Tanti accorrevano per ammirare il fenomeno dei topi ammansiti.
    Superate le ultime case, Jonas fu in grado di ascoltare, seppure in lontananza, la melodia del pifferaio. Non riuscì a raggiungere le sponde alberate: una visione agghiacciante lo immobilizzò. Il buffo omino se ne stava immerso fino alla vita suonando imperterrito mentre intorno a lui, i topi, mossi da una volontà inoppugnabile, si immergevano per poi tentare di mantenersi a galla, senza riuscirci. Tanti ne affogavano e ancor più continuavano a catapultarsi nei flutti, incantati dalle note liberate nell’aria, seguiti dai curiosi accalcati dietro di essi. Pareva fosse la moltitudine a spingerli, anziché la musica del pifferaio.
    La superficie dell’acqua ribolliva come se sul fondo, al posto dei ciottoli, ci fossero dei carboni ardenti. Lo strepitare dei topi era tale che Jonas si era stretto la testa tra le mani. Rimase inerte, paralizzato dall’orrendo spettacolo di morte. Quando la dolorosa processione ebbe termine, scosso da un sussulto, si riebbe. Seppur claudicante e ancora inebetito, tanto da sembrare lui stesso un topo abbindolato dalla melodia misteriosa, raggiunse il greto del fiume e senza esitazioni si tuffò, scomparendo tra le increspature della corrente.

    *******

    Quando Jonas si riprese era steso sull’argine, stremato. La folla era sparita, compreso l’omino dal vestito colorato. Il fiume era tornato a essere un silenzioso scorrere d’acqua. Chissà quanto tempo era rimasto svenuto. Si alzò in piedi di scatto, vacillò insicuro per via della gamba fasulla e per la preoccupazione della bottega lasciata incustodita. Fosse mancato anche un solo attrezzo sarebbe stato picchiato a malo modo. Prima di andare provò a rammentare quanto accaduto. Gli rimaneva in testa l’immagine dell’acqua infestata dai topi. Mentre annegavano, preso dallo sconforto, si era lasciato andare. Voleva opporsi, ma cosa mai avrebbe potuto contro l’incantesimo? Il suo tentativo era stato imprudente, se non da pazzi. Fortunatamente era rimasto a dibattersi nella corrente nell’indifferenza generale, riuscendo a ritornare a riva con le sue sole forze.
    Ricompose i panni zuppi, sistemò la sacca, stringendosela al fianco e si avviò verso la bottega. Tagliò per la strada più breve ma giunto ai margini della piazza si trovò davanti un chiassoso muro di persone. Le urla di gioia salivano alte, così come i boccali, per festeggiare la fine dell’incubo. Nel pieno dei clamori si udì uno squillar di trombe, dapprima soffuso, poi sempre più assordante. In pochi istanti tutta la folla si zittì per voltarsi in direzione del palazzo comunale. Chi poteva si avvicinò. Jonas, all’opposto, si discostò per vedere meglio.
    Affacciato al balcone, il primo cittadino di Hamelin faceva ampi gesti al popolo accorso, gli era accanto la figura multicolore. Il bimbo, da così lontano, non sentiva quanto il borgomastro aveva da proclamare. La folla rispondeva all’unisono alle sue parole. Urlava di no: non si doveva pagare al pifferaio nessuna cifra spropositata. Cinquanta fiorini erano una somma giusta, gridava la gente, già brilla per le copiose bevute.
    Jonas si era messo ad ascoltare i commenti di due comari accanto a lui. Gli sembrava di capire che in precedenza, erano state promesse al pifferaio tante monete d’oro, più di mille, in cambio dello sterminio dei topi. Ma in fondo, diceva la più grassa, ora che erano morti non c’era più bisogno dello stregone a soffiar aria dentro a uno zufolo. Hamelin era stata liberata e solo questo contava.
    Liquidato il pifferaio, la folla era tornata a rumoreggiare festosa. A Jonas era tornato il pensiero della bottega. Doveva avviarsi se voleva evitare una sgridata. Si strinse nelle spalle per raggiungere l’altro capo della piazza. Seppure si facesse più piccolo possibile, non riusciva a farsi largo. La gente lo sbalzava di qua e di là. Era impossibile contrastare quella bolgia, tanta era la gioia che aveva libero sfogo. Lui aveva da contrapporre la sua tristezza a spingerlo via da quel posto, troppo poco per averla vinta.
    Stava per ritornare sui propri passi quando la massa si aprì. Jonas si spostò per non essere travolto. Accanto gli passò l’uomo agghindato da giullare. Ora poteva guardarlo da vicino: aveva un naso più affilato della punta del cappello, lo sguardo era torvo. Gli sgargianti colori del suo abito facevano da contrasto al volto, scuro per il disappunto.
    Lo straniero, deriso e sbeffeggiato, laddove in precedenza era stato portato in trionfo, raggiunse il sentiero che portava fuori città. Tirò fuori dalla sua borsa il piffero e portandolo alle labbra iniziò a suonare. Jonas, a pochi metri da lui, sentì la testa pervasa da una musica stupenda, magica, mai ascoltata in precedenza. Era affascinato dalle sue dita che con grazia danzavano sul pezzo di legno. Strinse al petto la sacca come se comprendesse il potere della musica, in grado di chiedergli qualsiasi cosa in cambio. Fu l’ultimo gesto che sentì pienamente suo. Dopodiché le gambe iniziarono a muoversi per loro conto, si accodò all’uomo, così come in precedenza avevano fatto i topi.
    Stavolta, anziché immergersi nel fiume, il pifferaio seguì le sponde e si allontanò dalla città. Giunto a un bivio imboccò la strada che si inerpicava in salita. Prima di lasciare il sentiero volse lo sguardo alle sue spalle. Oltre al piccolo storpio si erano aggiunti altri trenta o quaranta bambini, ma molti ancora, dal fondo della via, accorrevano. Il corteo, in apparenza allegro e spensierato, si dipanò per i tornanti che conducevano alla montagna sovrastante Hamelin. I suoi abitanti, ignari di quanto stava accadendo, continuavano a festeggiare la dipartita dei topi finiti in fondo al fiume a far da pasto ai pesci.

    ******

    La vetta della montagna si andava facendo sempre più vicina. Durante il cammino la truppa di bambini, guidata dal pifferaio, incrociò solo lo scassato carretto di Joseph, il guardiano delle mucche. Dal pascolo scendeva in paese a portare il latte appena munto. L’uomo osservò alquanto stupito l’allegra brigata sfilargli accanto. Anche se il sole del primo pomeriggio picchiava forte sulla sua pelata, la musica del pifferaio gli procurò un brivido insolito. Arrestato il carretto, si passò il fazzoletto sulla nuca e poi sul collo, per asciugarsi il sudore. Rimase fermo fino a quando l’ultimo bambino non scomparve oltre la curva. Nel contempo il pifferaio era già ricomparso sopra di lui, nel sentiero che risaliva fino alla cima. L’eco delle note risuonava nelle sue orecchie. Scosse il capo, a negare il pensiero che gli girava in testa e fece schioccare il frustino sulla groppa dell’asino, per rimetterlo in marcia. Il vecchio Joseph, con lo sguardo ancora dubbioso a seguire la punta del cappello sopra di lui, dovette dare una scrollata alle redini per non prendersi di petto lo zoppetto apparso davanti al ciuco.
    Gli mandò un accidenti. Doveva stare più attento se non voleva finire a far da grasso al mozzo delle ruote. Poi, senza rallentare, proseguì in direzione di Hamelin. In paese aspettavano il latte; aveva perso fin troppo tempo per colpa di chi se ne andava a zonzo mentre lui aveva ancora del lavoro da fare.
    Jonas, fermo a riprender fiato, fissava l’espressione adirata del carrettaio, non riuscendo a dir nulla in risposta ai suoi improperi. Procedeva stremato. Il viso, rigato dalle lacrime, era paonazzo per lo sforzo di non farsi distanziare dagli altri. Questi avevano preso un discreto vantaggio. Ogni qual volta li pregava che lo aspettassero, gli ultimi della fila gli tiravano dietro sassi e insulti. Non fosse stato per il suono del piffero si sarebbe di certo ritornato. Ma non era in grado di decidere nulla, se non seguire le note del musicante in testa al plotone.
    Svoltato l’ennesimo tornante, si ritrovò da solo. Davanti a lui non si vedeva anima viva e la melodia era cessata. A Jonas sembrò di essersi svegliato da uno dei suoi sonni agitati, eppure sapeva di non aver vissuto un sogno. Si guardò intorno. Oltre la curva, la strada si divideva. Una proseguiva fino a raggiungere una stalla, di certo da lì proveniva il carretto incrociato in precedenza. L’altra continuava l’ascesa. A metà di quest’ultima, si intravedeva una fonte. Decise di proseguire. La raggiunse e bevve a piene mani, fino a scoppiare.
    Seduto sul bordo del fontanile, rinfrancato dalla sosta, prese a riflettere su quanto gli era accaduto. Nella vasca si rispecchiava il suo volto. Riconobbe, in quell’immagine distorta, la sua malinconia. Dove erano finiti gli altri? Possibile che a lui fosse toccato un destino differente dal loro?
    Guardò in terra, oltre la punta dei suoi piedi. Il sentiero, ridotto a una mulattiera, aveva impresso i segni del passaggio dei bambini. Pur non essendo irretito dalla strana musica Jonas decise di seguire le tracce, quasi sperasse che in fondo a quel percorso ci fosse la chiave per comprendere ciò che lo rendeva estraneo al mondo.
    Non dovette camminare molto. Arrivò fino a uno slargo: le numerose orme terminavano davanti a una parete di roccia. La fissò a lungo, quasi ne dovesse prendere le misure. Era solo più che mai, nel silenzio assoluto del luogo. Si chiedeva dove fossero finiti i fanciulli, guidati dal pifferaio. Dovevano per forza aver seguito quella strada. Eppure, sembravano spariti nel nulla. Jonas fu preso dallo sconforto, anziché gioirsene, era dispiaciuto per la sua sorte, opposta a quella degli altri. Gli veniva da piangere. Pure la musica melodiosa lo rifuggiva.
    Ripensò alla magia del pifferaio. Così come in precedenza i topi erano sprofondati nel fiume, i bambini erano stati inghiottiti dalla montagna. Non c’era alcun motivo per continuare a rimanere lì. Raccolse le poche forze rimaste per affrontare il viaggio di ritorno. Neppure iniziò la discesa che subito dovette arrestare il passo. Dal fondo del sentiero giungevano molte persone. Ben presto il luogo si riempì di genitori affranti alla ricerca dei figli, di parenti disperati, invocanti i nomi dei cari nipoti. Jonas era strattonato da quanti chiedevano dove fossero finiti i bambini o quale direzione aveva preso il pifferaio. Lui riusciva solo a balbettare di essere rimasto attardato, e per quanto si era dato da fare, a un certo punto li aveva persi di vista. Forse erano scomparsi oltre la roccia della montagna, non sapeva dire altro. Si faceva ancora più piccolo nei suoi panni, stringeva le sue cose, come se non avesse altro da difendere. Cercava di divincolarsi dalle madri disperate perché rivolevano indietro i figli. Nessuno voleva ammettere quanto era accaduto. Avevano tutti perso il lume della ragione.
    Jonas se ne stava ad ascoltare impietrito gli insulti e le minacce rivolte al maleficio caduto su Hamelin, che aveva rapito i figli sani per lasciarli con un povero storpio. Sentiva gli sguardi di rancore nei suoi confronti, pesanti come macigni. Aveva l’unica colpa di essere scampato al diavolo in persona o chiunque fosse quel musico maledetto. Il bambino scansò tutte le mani che lo strattonavano e si diede per campi. Lasciò le persone alla loro disperazione. Si faceva notte e molti si erano convinti a restare per presidiare il posto, nella speranza di veder tornare i figli dall’oscuro fato toccatogli in sorte.

    ******

    Jonas trovò riparo in una stalla e vi trascorse la notte. Quando Joseph entrò per dare del fieno alle bestie se lo vide rannicchiato in un angolo. Dapprincipio lo scambiò per un ladruncolo, poi, vedendolo arrancare nel tentativo di fuga, si rammentò di lui. Era lo storpio che per poco non finiva sotto al suo carretto. Sembrava ancora scosso, ammutolito per lo spavento, di fronte alle punte del forcone in mano al contadino.
    Joseph, comprendendo la paura nell’animo del bambino, si era subito rabbonito. Anziché sgridarlo cercava di dargli parole di conforto. Aveva un peso a chiudergli lo stomaco. Non si sarebbe mai immaginato che quel corteo festoso in realtà era carico di morte. Altrimenti avrebbe preso il tizio per il collo e lo avrebbe scaraventato giù dalla montagna. Aveva scoperto ogni cosa solo dopo essere giunto in città. Era stato lui a dare indicazione del punto in cui aveva veduto i bambini. Il pover’uomo, pur sentendosi in colpa, affermava di conoscerla bene la taccagneria degli abitanti di Hamelin. La colpa era solo la loro; se avessero pagato quanto dovuto, non sarebbe accaduto nulla di così brutto. Ne era sicuro.
    Joseph leggeva nei suoi occhi il dolore, comprese che al ragazzino poco importavano certi discorsi. Era sfuggito a un incubo e non voleva riviverlo. Se ne stava spalle al muro, ripetendo a mezza bocca che presto sarebbero tornati e nulla più. Il vecchio, non potendo far altro per lui, prese l’asino dal recinto, lo legò al carretto e lo riaccompagnò in città.
    Giunto a casa, trovò il padre davanti a una scodella di zuppa, imbronciato come suo solito. Non si poteva dire che benedisse quel ritorno. Ora gli altri genitori lo avrebbero guardato male perché solo suo figlio aveva avuto salva la vita. Bel guadagno. Tanto non gli spettava di campare molto, e farlo a sprezzo dell’invidia della gente non avrebbe portato a niente di buono.
    Jonas prese un po’ di pane dalla dispensa, due mele dal cesto sopra il tavolo e il tocco di formaggio regalatogli da Joseph, tenuto nascosto dietro la schiena, si chiuse nella sua stanza. Si sdraiò per riposarsi. Poteva smettere di tenere stretta a sé la sacca. La poggiò sul letto e l’aprì con attenzione. Ne sollevò un lato e avvicinò il viso, ficcandoci quasi la punta del naso. Sbriciolò alcuni pezzi di formaggio e attese. Da dentro la sacca uscirono uno alla volta dei topini. Era riuscito a salvarli dai flutti e se li era portati dietro tutto il tempo. Jonas li osservava felice mentre addentavano il cibo.
    La notte scese a porre termine a quel lungo giorno per la città di Hamelin. Sul fianco della montagna si poteva intravedere il luccichio dei fuochi, accesi dalla gente in attesa del ritorno dei figli. Nel buio della sua stanza anche gli occhi di Jonas brillavano di una luce particolare. Era una fiamma alimentata dalla speranza che a tornare, grazie a lui, fossero stati i topi. Bastava un po’ di pazienza e stavolta se la sarebbero mangiata fino all’osso quella città infame.

    gV

    Edited by VdB - 3/11/2009, 08:35
     
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  2. marramee
     
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    Questa re-visione del pifferiaio mi è piaciuta moltissimo. Il punto di vista scelto è ottimo, il finale perfetto. Unico neo una certa pesantezza della prima parte, dove la storia fatica a ingranare. Non posso fare a meno di dare il mio primo quattro del mese.
     
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  3. Alessanto
     
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    SPOILER (click to view)
    Avevo letto questo ri-racconto durante la selezione a cui ho partecipato. Non per niente ha passato il turno.
    Scritto bene, vicenda modificata in modo più che godibile. Poco da dire a parte: peccato per non averlo nell'antologia. Sono un po' in difficoltà per il voto. E' un tre abbondante ma non un 4. Ci penso un po'.


    PS
    Per gli altri: perché non date un occhiata all'iniziativa Ri-Raccontiamo organizzata da Juda? Il 3° bando è stato bloccato per qualche tempo. Secondo me è un occasione, per tutti. Ho trovato la possibilità di scrivere una favola modificandone genere e punto di vista molto interessante.

    EDIT
    In relazione agli altri racconti ho votato 3.

    Edited by Alessanto - 4/11/2009, 21:46
     
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  4. VdB
     
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    User deleted


    CITAZIONE
    Unico neo una certa pesantezza della prima parte, dove la storia fatica a ingranare.

    @marramee confermi i miei dubbi. ho snellito l'incipit. Grazie per voto e commento
    CITAZIONE
    Poco da dire a parte: peccato per non averlo nell'antologia

    @Alessanto non rientrava nei miei piani, far parte di un antologia, ma di scrivere un racconto che potenzialmente ne facesse parte, sì... :angel: :diablo:
    Grazie anche a te per lettura e commento. Approvo quel che hai scritto sul Ri-raccontiamo, bell'esperienza!!
     
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    Losco Figuro

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    Premetto che adoro le riscritture di fiabe classiche, anche se le mie in genere sono molto più cattive, e questa più che una versione differente della fiaba è la fiaba stessa da un diverso punto di vista.
    Detto questo, il titolo non mi piace e mi sembra abbastanza fuori luogo, ma non ti penalizzerò cérto per questo. Il racconto si legge molto bene, tolto qualche punto che ti ho segnalato nell'analisi più sotto, e il finale non me l'aspettavo affatto.
    Non mi ha preso al 100%, ma il potenziale è ottimo. Voto 3.

    Appunti vari:
    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Se ti mordicchiavano le dita potevano arrivare fino all’osso senza lacerare la pelle,

    Non l'ho capita. :huh: Come si fa ad arrivare all'osso senza lacerare la pelle?

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Sembrava aver trovato di meglio da fare. Il fanciullo si catapultò su di un fianco, puntò una gamba alla parete e le braccia sul pagliericcio, per ficcare la testa fin sotto al letto. Rimase in bilico sul bordo a osservare il buio.

    La virgola dopo "pagliericcio" è di troppo.

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Ma a un bambino la voglia di alzarsi non arrivava sapendo che Thomas, il fabbro, aspettava il suo garzone per ammazzarlo di lavoro.

    Dà un po' di scollegato questa frase. Presumo che il garzone di Thomas sia Jonas, ma in questo caso perché "a un" e non "al" bambino? Si ha la strana impressione che ai bambini in generale non venga voglia di alzarsi perché Thomas ammazza di lavoro il suo garzone, chiunque egli sia. :rolleyes:

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Ci fosse stata ancora sua moglie avrebbe pensato lei ad allevarlo come si deve, a quel figlio svogliato.

    "come si doveva", la "a" prima di "quel" è di troppo.

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Magro e malaticcio, e pure zoppo; neppure buono a servire nei campi. Fortuna il lavoro in bottega.

    Se è magro e malaticcio ce lo vedo male a fare il garzone a un fabbro, ci vuole una bella tempra.

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    E allora, se lo mangiassero pure quello schifo di paese per quanto gliene importava a lui.

    Quell'"a lui" è pleonastico

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Era l’ora in cui il padrone si recava all’osteria a farsi dare una pinta di birra e una strisciata

    Cos'è una strisciata? :huh:

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Non ne aveva mai veduti in quel posto asfissiante. In pochi secondi ne contò una dozzina. Di vario tipo e taglia.

    Non che ci sia niente che non va, ma ci vedrei meglio una virgola dopo "dozzina"

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    I sorci, avanzavano verso la porta.

    Virgola di troppo

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Ebbene, sopra lo squittio persistente, si poteva ascoltare una melodia uscire dalle labbra dell’uomo.

    Uhm... non proprio, esce dal piffero la melodia, non dalle labbra.

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Fosse mancato anche un solo attrezzo sarebbe stato picchiato a malo modo.

    "in malo modo"

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Fu l’ultimo gesto che sentì pienamente suo. Dopodiché le gambe iniziarono a muoversi per loro conto, si accodò all’uomo, così come in precedenza avevano fatto i topi.

    Meglio una virgola dopo "suo", al più il punto puoi metterlo dopo "loro conto"

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Non fosse stato per il suono del piffero si sarebbe di certo ritornato.

    Perché "si sarebbe"? Direi solo "sarebbe"

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Pur non essendo irretito dalla strana musica

    Magari "non essendo più irretito" starebbe meglio

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Non si sarebbe mai immaginato che quel corteo festoso in realtà era carico di morte.

    "fosse carico"...

    CITAZIONE (VdB @ 2/11/2009, 12:44)
    Jonas prese un po’ di pane dalla dispensa, due mele dal cesto sopra il tavolo e il tocco di formaggio regalatogli da Joseph, tenuto nascosto dietro la schiena, si chiuse nella sua stanza.

    Da rivedere. Così com'è il soggetto di "si chiuse nella sua stanza" è "il tocco di formaggio"

    CITAZIONE (Alessanto @ 2/11/2009, 20:46)
    PS
    Per gli altri: perché non date un occhiata all'iniziativa Ri-Raccontiamo organizzata da Juda? Il 3° bando è stato bloccato per qualche tempo. Secondo me è un occasione, per tutti. Ho trovato la possibilità di scrivere una favola modificandone genere e punto di vista molto interessante.

    Fatto da tempo, ma non mi piacciono i paletti che ci sono, se no avrei già aderito. :)
     
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  6. sgerwk
     
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    Preciso che giudico questo racconto a prescindere dalla sua origine. Secondo me ha due difetti fondamentali: 1. a livello di struttura, non si partecipa molto al dramma del bambino fino quasi alla fine (poi mi spiego meglio) e 2. lo stile è altalenante (poi spiego pure questo).

    Punto 1: del bambino ci viene detto (indirettamente) che è una specie di zimbello del villaggio. Grazie per l'informazione, ma perché lo prendono in giro (questa cosa si capisce solo dopo)? Sembra una sciocchezza, ma il fatto di non aver descritto niente di questo rende la cosa un po' astratta, e in qualche modo fa perdere di interesse (non "vediamo" lui che viene preso in giro, e nemmeno ci viene fatto capire come succede). A causa di questo, non mi sono sentito particolarmente partecipe dei suoi problemi almeno fino a metà racconto. Lo stesso succede riguardo i suoi rapporti con il padre e il fabbro: i problemi del bambino con loro sono a malapena accennati. Dato che è questo il conflitto che regge il racconto (protagonista vs. resto del paese), alla fine la storia non prende più di tanto. Cioè, non ha preso me.

    Punto 2: mi sembra di capire che stai cercando di imitare lo stile all'antica delle favole. Questo andrebbe bene, se non fosse che ogni tanto ti scappano cose tipiche dello stile moderno, sia a livello lessicale, tipo "aggirare l'ostacolo", che strutturale: sembra che tu stia cercando di usare un narratore onniscente, ma poi ti scappano dei pezzi dello stile che si usa di solito nella terza persona limitata (tipo "Chissà quanto tempo era rimasto svenuto." (come "chissà quanto"? il narratore non è onniscente?)

    Poi all'inizio c'è un troppo infodump, ma questo ti è già stato segnalato.

    Ti segnalo anche qualche piccolo dubbio. Non è che siano errori specifici, per la maggior parte, ma cose su cui non sono convinto.

    "scorreva via tranquilla" toglierei il "via", mi dà l'idea di qualcuno che sta per morire (e non penso che sia questa l'idea che volevi dare)

    "del luogo" secondo me la frase è più bella senza queste due parole, che sono fra l'altro abbastanza implicite

    "I topi, ai suoi occhi, non erano cattivi, non gli tiravano dietro insulti e prese in giro, non lo trattavano con disprezzo. " questa frase mi suona un po' male, per via di quel "ai suoi occhi" che sembra quasi riferirsi anche ai due "non..."

    "esseri Umani" perché la maiuscola?

    "La casa dove il piccolo Jonas" non so, mi sembrerebbe più naturale che "piccolo" venga messo la prima volta che viene nominato Jonas; fino a questo punto avevo pensato fosse lo scemo del villaggio, e quindi un adulto

    "avrebbe subito notato l'assenza di una donna" a senso, direi "percepito", più che "notato"

    "Seppure avesse ancora molto cammino davanti, per crescere e diventare grande, doveva in continuazione superare aspre difficoltà, in un vorticoso procedere, giorno dopo giorno." questa frase non mi suona: per prima cosa, "seppure" non mi sembra la parola più corretta (nonstante); poi non capisco la relazione fra le due parti: "nonostante avesse ... doveva in continuazione superare ..."; sarebbe come dire che di solito chi ha molto cammino davanti non deve superare difficoltà

    "alzando la testa, per allargare la figura" allargare?

    "Tutte le sventure si erano abbattute sulla sua casa disgraziata." intorno a questo pezzo vedo un infodump un po' eccessivo e un cambio temporaneo di punto di vista; forse avresti potuto dare alcune di queste informazioni in forma di dialogo (quello che dice il padre)

    "sfriggere" capisco il senso, ma penso che "sfrigolare" sia più adatto

    "Calmò l'arsura allo stesso modo" chi?

    "I sorci, avanzavano verso la porta." virgola

    "I sorci avanzavano" qui "I sorci" mi sembra ridondante, e ti costringe a usare un sinonimo per evitare la ripetizione di "topi"

    "Non fosse stato per il suono del piffero si sarebbe di certo ritornato" non credo che ci vada "si" in questa frase

    "affermava di conoscerla bene la taccagneria degli abitanti di Hamelin." penserei che ci vada una virgola dopo "bene"

    "fossero stati i topi" sarebbero stati i topi? questa frase non mi del tutto chiara: lui spera che i topi siano tornati o che torneranno?

    Voto: 2

     
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  7. Yue07
     
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    Una fiaba riscritta coi fiocchi. E' andata giù rapida e veloce proprio come il torrente che tu stesso hai citato nel racconto. Molto buono lo stile, il punto di vista del bambino ben utilizzato, la trama in generale...scusa la scarsità del commento, ma pur pensandoci non trovo dei nei a questo racconto.
    4, meritatissimo. Complimenti.
     
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  8. VdB
     
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    Grazie a tutti per lettura e commenti. Valuterò con calma ogni cosa segnalatami.
     
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  9. rehel
     
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    Non ho molto da dire e purtroppo non saprei come esserti d'aiuto. Perché per quanto mi riguarda ritrovo uno stile di scrittura eccellente, in questo caso adattato in maniera ottimale allo stile di una fiaba, seppure moderna.
    Non vedo cose particolari. E mi ripeto: mostruosa capacità di scrittura (a dire il vero ri-scrittura, in questo caso :) ) che ogni volta mi colpisce.
    Che altro? Voto quattro. :woot:
     
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  10. Daniele_QM
     
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    Non conosco bene tutta la fiaba nella versione originale quindi non farò paragoni con essa. Di per sé il racconto ha dalla sua un'ambientazione formidabile. Buona anche la psicologia del ragazzo. La mancanza di dialoghi è accettabile - anche se preferisco sempre che ci siano - perché parliamo di una favola. In realtà non ho ben capito dove spariscono i bambini. Pensavo cadessero da un dirupo ma sembra che piano spariti nella roccia. Non so se fosse così nella versione originale ma mi pare funzioni poco. Nel complesso un tre pieno.
     
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  11. VdB
     
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    Ciao daniele,
    SPOILER (click to view)
    CITAZIONE
    Pensavo cadessero da un dirupo ma sembra che piano spariti nella roccia. Non so se fosse così nella versione originale ma mi pare funzioni poco.

    Non riesco a comprendere la tua segnalazione rispetto alla montagna.
    CITAZIONE
    Non conosco bene tutta la fiaba

    Posso darti qualche informazione in più sulla fiaba (di tradizione tedesca, riscritta dai fratelli Grimm). Io ho preso come riferimento la versione tradizionale (più cupa e con finale meno "buonista" e che si basa su un fatto veramente accaduto intorno al 1270). Riporto il finale del "Pifferaio di Hamelin":
    CITAZIONE
    Intanto il suonatore si avviava verso la grande montagna che si trovata proprio alle spalle della città.
    I bimbi dietro cantavano: erano così felici di seguire quell'omino che nessuno li avrebbe distolti dal loro proposito.
    Giunsero così a metà montagna: al suono del piffero questa si aprì e tutti, pifferaio in testa, entrarono nella fenditura che si richiuse ermeticamente dietro l'ultimo della fila.
    Ne restò fuori solo uno zoppetto che non era riuscito a camminare veloce come i compagni.I cittadini che giunsero sul luogo dopo qualche tempo, lo trovarono là che piangeva disperato per non aver potuto raggiungere i suoi amici.
    Dei bambini non c'era più traccia e nessuno seppe mai ciò che ne fosse stato.

    In quella dei fratelli Grimm "il pifferaio magico", i bambini vengono rilasciati:
    CITAZIONE
    La musica infatti trascinava i piccoli sempre più lontano, attraverso i prati e i boschi, finchè giunsero ai piedi di un'immensa montagna. Il Pifferaio subito cambiò melodia e magicamente, una porta di pietra cominciò a aprirsi.
    Entrò svelto e tutti lo seguirono, soltanto uno di loro era rimasto indietro perché era un pò lento.
    «Ehi, Pifferaio! Bambini! Aspettatemi! Voglio venire anch’io con voi!» gridava, ma la misteriosa porta di pietra ormai si era chiusa.
    In quel momento, arrivarono di corsa i genitori e il bambino raccontò loro ogni cosa.
    Aspettarono fino a sera, ma nessuno rispondeva e decisero di tornare a casa.
    L’unico bambino rimasto a Hamelin era davvero triste e si sentiva terribilmente solo senza nessuno con cui giocare. Il suo unico desiderio era raggiungere gli altri bambini. Così una mattina, senza dir niente a nessuno, si allontanò, ripercorrendo il sentiero che aveva fatto quel giorno con i suoi amici.
    Si era costruito con un bastoncino di legno un piccolo piffero e, arrivato di fronte alla grande porta di pietra, cominciò a suonare l’allegra melodia del Pifferaio, che non aveva mai dimenticato.
    A un tratto, dall’altra parte della roccia, un flauto rispose alla sua musica. Il bambino ricominciò a suonare e le note del piffero magico risposero ancora. La roccia della montagna iniziò a tremare come la prima volta e la grande porta lentamente si aprì. Tutti i bambini di Hamelin uscirono correndo felici sui prati e abbracciarono con gioia il bambino che li aveva salvati.
    «Il Pifferaio ti vuole parlare» gli dissero.
    Così, il piccolo bambino entrò senza avere timore nella grande montagna, curioso di scoprire il segreto della musica magica. Intanto ad Hamelin il sindaco se ne stava rinchiuso nel suo palazzo tremando di paura per quello che aveva combinato… ma ormai era troppo tardi. Nessuno più rideva, nessuno più cantava, non c’erano le voci dei bambini che giocavano nelle strade e tutti erano preoccupati per il piccolo che era partito solo e non era più tornato.
    Improvvisamente, da lontano, sentirono un allegro frastuono! I cittadini di Hamelin si precipitarono a guardare cosa stava succedendo e videro un corteo di più di trecento bambini che scendeva attraverso i
    prati della grande montagna. Tutti cantavano e correvano allegramente, preceduti dal piccolo bambino che stringeva tra le mani, con gli occhi che gli luccicavano dalla felicità, un meraviglioso piffero di legno. Era proprio il piffero magico che l’uomo con la piuma sul cappello gli aveva regalato. Non vi dico gli abbracci, i baci, i salti di gioia dei genitori!
    A Hamelin si fece festa per tre giorni e tre notti!
    I bambini però non raccontarono mai dove erano stati e che cosa avevano fatto in montagna.
    Il sindaco invece imparò a mantenere le promesse!
     
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  12. Daniele_QM
     
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    Relativamente alla montagna
    SPOILER (click to view)
    non riuscivo a capire come fossero scomparsi. Non mi era proprio chiaro che la montagna si fosse aperta e poi richiusa. Cosa che invece leggendo la parte che mi hai citato emerge più chiaramente. Quindi il "funzioni poco" deriva dalla non piena comprensione del testo. Adesso non so se sia per mio o tuo difetto... :P
    In ogni caso non sono arrivato al voto pieno perché l'assenza di dialoghi rende la lettura un po' troppo lenta.
     
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  13. VdB
     
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    Visto che i racconti li ho commentati tutti, visto che al momento non ho altri impegni se non ultimare il racconto per il prossimo USAM, rispondo a qualche segnalazione:
    SPOILER (click to view)
    @rehel
    CITAZIONE
    Perché per quanto mi riguarda ritrovo uno stile di scrittura eccellente, in questo caso adattato in maniera ottimale allo stile di una fiaba

    Che dire, l’unica raccomandazione che posso farti è che i tuoi complimenti oltre a gratificarmi, mi mettono a disagio per una semplice ragione: mi imbarazzo per te, non vorrei che fai la parte di quello che al termine della recita si alza in piedi e batte le mani con enfasi mente tutto il resto del teatro lo guarda perplesso perché lo spettacolo non gli è piaciuto.
    @Yue
    CITAZIONE
    scusa la scarsità del commento, ma pur pensandoci non trovo dei nei a questo racconto.

    Scusarti per un così bel complimento? Scherzi?
    @Sgerwk
    CITAZIONE
    1. a livello di struttura, non si partecipa molto al dramma del bambino

    Non mi interessava spingere sull’emotività perché non rientrava nella finalità del progetto
    CITAZIONE
    mi sembra di capire che stai cercando di imitare lo stile all'antica delle favole

    più o meno...
    CITAZIONE
    Poi all'inizio c'è un troppo infodump

    È solo la premessa, non so se rientra nell’infodump, ma non credo, non descrivo il funzionamento del reattore di un’astronave, né l’evolversi dell’esodo di un popolo... è la classica introduzione che si fa nelle favole (c’era una volta in un paese lontano, lontano...)
    Ti riporto, per tua curiosità, semmai tu ne abbia, l’incipit della favola utilizzata come traccia
    CITAZIONE
    C'era una volta la città di Hamelin in Germania. Era una città molto graziosa, ma aveva due grossi difetti: i suoi cittadini erano molto avari e le sue cantine piene di topi.
    Di gatti neanche l'ombra perché, siccome costavano ai padroni, erano stati cacciati.
    Fatto si è che i topi diventavano tanti e tanti che non era più possibile vivere nella città.
    Si pensò allora di far tornare i gatti scacciati, ma i topi li misero in fuga. Era una vita beata la loro.
    Ce n'erano di tutti i tipi: topi, t'opini, ratti, rattoni e per tutti c'era da mangiare: nei granai, nelle cucine, dove c'erano molte forme di formaggio.
    I poveri cittadini, non sapendo più che fare, si rivolsero al loro sindaco..
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    @CMT
    CITAZIONE
    questa più che una versione differente della fiaba è la fiaba stessa da un diverso punto di vista.

    Sì, infatti, questo è.
    salut
     
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  14. ferru
     
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    ciao

    grazie per il commento al mio racconto per iniziare. :D

    Veniamo al tuo.

    SPOILER (click to view)
    Parto con un particolare: io solitamente la domenica mattina mi alzo presto e vado a correre; mentre mi preparo, accendo la televisione. C'è la melevisione se non sbaglio su rai 3. Trasmettono sempre delle belle fiabe. Ecco, mi è subito venuto in mente leggendo la tua storia. Ho provato a leggere il tuo racconto fissandomi nella mente la voce narrante della televisione, e tutto scorreva meravigliosamente. Non una parola fuori posto, per conto mio. Devo confessarti che non sono un patito di racconti simili. Ma devo essere oggettivo. ho iniziato e leggerlo e sono arrivato alla fine senza interruzione. Non mi sono posto problemi di sorta. Una piacevole ventina di minuti trascorsa addosso a un monitor.
    Ora non posso negarti il 4


    Ferruccio
     
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  15. Idrascanian
     
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    Che dire, la tua rivisitazione di questa favola - già inquietante nella sua versione originale - è riuscita bene. Trovo la scrittura molto curata e hai saputo ricreare eccellentemente lo stile "antico" delle fiabe.
    Due difetti:
    1- la storia fatica un po' a ingranare e ad "acchiappare" il lettore nelle fasi iniziali, per poi accelerare verso il finale.
    2 - come ti hanno già segnalato la storia non è molto originale, solo osservata da un diverso punto di vista. Ma credo questo fosse il tuo obiettivo.
    Poco altro da aggiungere, se non che il mio voto è un tre abbondante.
    A rileggerti!

     
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16 replies since 2/11/2009, 12:44   420 views
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