Amante Galattico
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FANTASMI di Alberto Priora Prodotto dalla Illegal Unitia tutti i diritti riservati alla Illegal Unitia 2009
Il radioso sorriso del funzionario sembrava stampato nella plastica e metteva in secondo piano il resto del volto. — Quindi noi non dobbiamo preoccuparci di nulla? — domandò Nicola. — Assolutamente di nulla. L’agenzia di cui faccio parte, che risponde direttamente al nostro governo, si occuperà di vendere la vostra casa e trasferirà il ricavato sul vostro conto personale, trattenendo solo le tasse e le commissioni previste per legge. — E dobbiamo pagare qualcosa per il viaggio? — la voce di Rosa salì di tono per un pizzico di agitazione. — No, signora. Come è spiegato a pagina nove del manuale introduttivo che ha in mano, è tutto a spese del governo. Cito a memoria: “Tutti i pensionati aventi diritto verranno trasferiti su Maliu Nago senza alcun aggravio di spesa. Sono compresi: il trasferimento all’astroporto, l’imbarco, il viaggio dalla Terra fino a Beta Hydri su di un’astronave di prima o di seconda classe, secondo disponibilità, con passaggio di accorciamento nel non-spazio, lo sbarco e il trasferimento all’insediamento di competenza. Vitto ed equipaggiamento standard sono inclusi.” La donna scorse l’opuscolo e poi alzò lo sguardo verso il funzionario. — Ha un’ottima memoria. — Grazie. È il mio lavoro. — Potremmo rivedere le immagini di… come ha detto che si chiama il paese? — Si tratta dell’insediamento numero centosessantasette, Stella Ponente. — Ecco. Potremmo rivederle ancora una volta prima di decidere? — Nicola si passò la mano tra i capelli bianchi, i pochi che ancora gli restavano, ma smise quando incrociò lo sguardo severo di sua moglie. — Certamente — il funzionario mosse il mouse virtuale e lo schermo a parete a fianco del tavolo tornò a illuminarsi. Le immagini erano prese dall’alto e mostravano un paese composto da qualche centinaio di edifici, adagiato lungo un fiume di colore blu intenso e circondato da colline di una tonalità di verde più intensa di quelle terrestri. La visuale si spostò gradualmente e passò in rassegna le villette, il centro commerciale, il teatro, la bocciofila, i giardini, l’ospedale, le chiese e il centro servizi. Piccoli e comodi autobus si spostavano incessanti nelle strade altrimenti prive di auto, ma ricche di panchine. — Cosa ne dici Rosa? — Credo che sia un’ottima scelta. Mi sembra molto bello e ho letto che il clima è ottimo — spostò lo sguardo sul funzionario. — Sa, ho problemi di artrite. — Quasi un’eterna primavera, se mi permette di dirlo, signora. E il pianeta è incontaminato dal punto di vista dell’inquinamento, anche se la colonia italiana e tutti i suoi insediamenti godono di servizi completi ed efficienti garantiti dal nostro personale. Potrà vivere la sua pensione nella più completa tranquillità, pur senza rinunciare a nulla — il funzionario si piegò leggermente in avanti, spingendo la coppia a fare altrettanto per diventare come partecipi di un segreto. — Anch’io ho aperto le pratiche per poter andare su Maliu Nago quando smetterò di lavorare, lontano da tutto quello che accade qui, sulla Terra — disse abbassando di poco il tono di voce, anche se nell’ufficio non c’era nessun altro che potesse sentirli. — Già. La Terra non è più quella di una volta — commentò Nicola. — Naturalmente mi mancano ancora parecchi anni. — Certo. Si vede. — Grazie. Allora avete deciso? La coppia di anziani si guardò in viso. I molti anni trascorsi assieme riducevano al minimo i tempi necessari per comprendersi. — Sì. Abbiamo deciso. Ci trasferiamo. — Un‘ottima scelta — concluse, sempre sorridendo, il funzionario. — Davvero un’ottima scelta.
La porta d’ingresso annunciò le visitatrici quando queste avevano appena superato il cancello del giardino. — La signora Anna, la signora Betta e la signora Paola sono arrivate — disse con tono formale il sistema domestico, che aveva la voce di un attore che era piaciuto tanto a Rosa quando era giovane. — Con loro c’è anche il Signor Luigi — aggiunse come per un ripensamento. In realtà stava distinguendo le ospiti attese e individuate grazie ai dati biometrici da un accompagnatore non previsto. — Rosa, le tue amiche sono arrivate! — disse Nicola mentre finiva di prepararsi. — Ho sentito, caro. Ma c’è anche Luigi? — rispose lei dalla cucina. Nicola terminò di pettinarsi e si controllò nello specchio elettronico. — Sì, vado con lui al circolo. Mi sono solo dimenticato di segnalarlo al sistema domestico. Rosa appoggiò qualcosa di metallico sul tavolo. — Lo sai che in questo modo poi bisogna usare i comandi manuali, altrimenti la porta non si apre. — Scusami! — disse Nicola uscendo dal bagno dopo aver messo al suo posto l’ultimo ciuffo di capelli, accorgendosi però che sua moglie era già arrivata al pannello del sistema e stava premendo un tasto proprio sotto la scritta DomoSis3. In realtà avrebbero potuto impostare il sistema per fargli recepire i comandi verbali a distanza, ma entrambi, come tutti gli anziani, erano sempre un po’ restii alle innovazioni. Del resto chiamavano ancora sistema domestico l’impianto computerizzato che li aiutava a gestire l’intera villetta, invece di ricorrere alle abbreviazioni da codice fiscale che sarebbero state in voga tra i giovani. Ma non c’erano giovani a Stella Ponente. La porta si aprì per far entrare le amiche di Rosa, venute per trascorrere un pomeriggio fatto di tè, biscotti e chiacchiere. Nicola salutò le tre donne, si sorbì qualche osservazione su come sua moglie lo stesse mantenendo in forma, malgrado avesse superato i sessantacinque anni, e poi varcò la soglia ben contento di aver programmato altre attività. — Buongiorno! — lo salutò Luigi. — Buongiorno! Sei pronto per il torneo di oggi? L’amico, che sfoggiava dei capelli più fitti dei suoi anche se tinti, sorrise. — Certo. Per quanto posso essere pronto per un torneo di briscola. Se ci sbrighiamo, però, riusciamo anche a iscriverci alla gara di bocce. — Certo! — Nicola guardò la pensilina che stava davanti a casa sua. L’indicatore segnalava solo due minuti all’arrivo dell’autobus. — Dovremmo fare in tempo. Il mezzo sbucò oltre l’angolo al momento previsto e si fermò davanti a loro. Nicola e Luigi occuparono due dei posti liberi e salutarono le altre persone a bordo. Un piccolo e cortese coro gli rispose. Poi il pilota automatico chiuse le porte e si diresse verso il Circolo di Stella Ponente.
Quando le porte dell’autobus si chiusero dietro di loro, lasciandoli nella piazza inondata dal piacevole calore di Beta Hydri, Nicola indicò qualcosa al suo amico. — Guarda. Ce n’è un altro! — Dove? — Lì. Accanto all’ingresso del Circolo. — Ah — la voce di Luigi non nascose una certa seccatura — basta che non lo facciano entrare. Gli passarono accanto. Era un alieno, anche se tecnicamente si trattava di uno degli abitanti originali di Maliu Nago. Era alto circa un metro e trenta, pressoché umanoide e con una pelle grigia chiara con sottili venature rossastre, che corrispondevano ai vasi sanguigni. La testa era glabra, con due occhi sottili e verticali e una bocca quasi rotonda. Vestiva con una specie di saio sporco ed era scalzo. Tendeva una mano in avanti, in attesa. Luigi gli passò oltre senza guardarlo, ma Nicola si fermò. Non gli sembrava differente da quello che aveva visto due giorni prima, all’ingresso del centro commerciale, o di quello che stazionava davanti al teatro. Se non avesse saputo che ne erano stati visti parecchi in tutta Stella Ponente, avrebbe potuto pensare che si trattasse dello stesso individuo. Magari lo era. L’alieno aveva lo sguardo fisso davanti a sé, la mano tesa e immobile. Nelle fessure c’erano occhi verdi privi di pupille. Nicola si mise una mano in tasca. — Ehi, ma cosa fai? — disse Luigi che era tornato indietro. — Niente. — Mica vorrai dargli qualcosa? Nicola tolse dalla tasca la mano. Era vuota. — Andiamo, altrimenti non riusciamo a iscriverci. Il Circolo, con tutte le sue attività per i coloni pensionati, li accolse.
Rosa aveva preparato per cena minestra di verdura e un secondo di prosciutto e formaggio con contorno di fagiolini. Tutto cibo prodotto sul pianeta. — Ne ho visto un altro. — Un altro? — domandò sua moglie. — Degli abitanti. — Ah, di quelli. Nicola abbassò il cucchiaio. — Sì. Li chiamano fantasmi, ho sentito. Ma credo che il loro nome sia un altro. — Hanno un nome? — Non dovrebbero averlo? Rosa sospirò — Fino a qualche tempo fa stavano chiusi nelle loro riserve e ci stavano bene. Poi il nostro governo ha deciso che non era più possibile. Pare che altre nazioni terrestri abbiano impugnato i trattati di colonizzazione. Se un pianeta colonia è abitato, alla popolazione vanno dati gli stessi diritti dei coloni. Furbe le altre nazioni che hanno trovato pianeti disabitati, all’Italia è toccato questo e non può neppure decidere come comportarsi. — Erano qui prima di noi — accennò Nicola. — Potevano anche esserlo, ma non è che usassero più di tanto il pianeta. Sono come i nostri uomini primitivi, forse come le scimmie. E non sanno fare niente. Nicola tornò a mangiare. La minestra si stava raffreddando. Rosa proseguì. — O meglio, una cosa la sanno fare. Chiedono la carità. Stanno tutto il giorno e tutta la notte dove passa la gente normale e tengono tesa la mano. Non si capisce neppure se sono sempre gli stessi o se si danno il cambio. Che se ne fanno poi delle nostre monete, dei nostri spiccioli? Mica comprano le nostre cose. — Questo non lo puoi sapere. Rosa gli rivolse un’occhiataccia contrariata. — Anna mi ha detto che sta succedendo così in tutti gli insediamenti, non solo da noi. E anche Paola. Non ne parlano nei comunicati in televisione, ma basta chiedere in giro. Sono ovunque e sono tanti. — Io ne ho visto solo qualcuno. — Ci sono, fidati. Ci sono. Certo che se il funzionario ce lo diceva prima di partire. — Cosa sarebbe cambiato? Sai che cosa ci siamo lasciati indietro. — Certo. Sto solo dicendo che lui avrebbe dovuto dircelo. Se avevano già deciso di lasciarli uscire dalle riserve e sapevano che erano già apparsi in molti insediamenti, avrebbe dovuto dircelo. Tutto qui. — Hai ragione — disse Nicola con scarsa convinzione, sperando di lasciare cadere il discorso. Purtroppo non ci riuscì.
Il giorno dopo, mentre stava facendo una passeggiata lungo il fiume tenendo al guinzaglio George, il cane che Rosa aveva battezzato sempre basandosi sul suo attore preferito, ne vide un altro in attesa davanti a un bar. L’alieno guardava le persone che passavano e teneva il braccio teso e la mano aperta. E veniva ignorato. Nicola si avvicinò. George tirò per andare da un’altra parte, ma poi si rassegnò e fece i suoi bisogni sul bordo del marciapiede. Un robot pulitore giunse dopo quindici secondi per far tornare l’ambiente alla gradevolezza apprezzata dagli abitanti. Gli occhi verdi e verticali lo fissarono. La bocca rimase immobile. La mano anche. Nicola cercò di studiarne i dettagli. Anche se dotato di braccia e gambe simili a quelle umane, di una testa con gli stessi organi di senso dei terrestri e di apparati che gli permettevano di respirare ossigeno, bere acqua e mangiare proteine come i coloni, chi gli stava davanti era senza dubbio alieno. Giovane, vecchio, bambino, maschio, femmina o cosa. Pensò Nicola cercando di rammentare gli scarsi particolari che aveva trovato sulla rete informativa di Maliu Nago. Non aveva modo di saperlo e neppure di chiedere in giro: un insediamento, o meglio, una colonia di pensionati non aveva molti scienziati che si fossero presi la briga di studiare la specie originaria del pianeta. La mano rimaneva tesa. L’essere non pareva voler fare altro; il fantasma, se doveva chiamarlo come facevano tutti. Si guardò attorno. Gli altri abitanti di Stella Ponente passavano tranquilli, intenti alle loro poco faticose attività da pensionati: passeggiare, andare a fare qualche spesa, che gli automatismi della colonia non rendeva necessarie, cercare divertimenti o svaghi di tutto riposo. Godersi la vita dopo la pensione. Lontani dalla Terra. Lontani da un mondo che sembrava non avere più necessità o rispetto delle generazioni più vecchie. Lontani dall’Italia, una nazione che si era trovata a tal punto incapace di occuparsi dei suoi anziani, da ritrovarsi in prima linea nell’utilizzare la soluzione per risolvere quello che riteneva un problema. — E ci ha preparato un bel posto qui — disse. L’alieno non sembrò avere reazioni di alcun genere; la sua mano era sempre tesa. Nicola si mise una mano in tasca e prese una moneta tra le dita. Ci giocò a lungo prima di decidersi a estrarla. Anche se nessuno pareva badare a lui, si sentiva come addosso decine e decine di sguardi. — Ecco. Tieni. Quando la moneta fu nel palmo grigio pallido, gli occhi verdi del fantasma si mossero verso di lui in maniera impossibile per un terrestre, grazie a muscoli facciali posti sottopelle. Nicola rimase turbato da quel movimento che era così innaturale, anche se provò a convincersi che doveva trattarsi di qualcosa di paragonabile a una semplice espressione del viso umano. — Allora, ci vediamo — sussurrò allontanandosi e tirandosi dietro George.
— A cosa stai pensando? — domandò Rosa al termine della cena. — A niente di importante — Nicola sapeva che non era il caso di parlare a sua moglie di quel pomeriggio. Non che lei non fosse in grado di capire, anzi l’aveva sempre trovata capace di una grande sensibilità, quella stessa sensibilità che l’aveva resa sempre più tesa e preoccupata sulla Terra; ma era prevenuta. — Se lo dici, allora sarà vero. Però ti trovo con la testa da un’altra parte. Nicola alzò le spalle. — Pazienza. Sai che ho visto anche io uno di quei fantasmi? — Davvero? E dove? — Ero a far spese con le mie amiche, volevo trovare una gonna che andasse bene con il maglione che mi hanno regalato, e ce n’era uno proprio davanti al negozio. Stava lì con la mano tesa, ma sono convinta che stesse osservando tutti i nostri movimenti. Di noi terrestri intendo, di noi terrestri della colonia. — Ma non hai detto che era lì con la mano tesa? — E cosa ci stava a fare? Anche se qualcuno gli desse dei soldi, e secondo me non dovrebbe dargliene, cosa se ne fa? Mica c’è qualcuno disposto a vendergli qualcosa; almeno lo spero. Nicola si alzò cercando di inventarsi qualcosa da fare. Non aveva voglia di mettersi a discutere; forse non aveva neppure voglia di mettersi troppo a riflettere su una situazione di cui era curioso, ma su cui stentava ad avere un’opinione personale. — Avrebbero dovuto lasciarli dentro — aggiunse sua moglie seguendolo con lo sguardo. — Come? — Avrebbero dovuto lasciarli dentro la riserva. Per me stanno architettando qualcosa. Noi finiamo per abituarci a loro e poi, quando non ce lo aspettiamo, ci assalgono e ci uccidono tutti. Nicola scosse di nuovo la testa. — Dai, non puoi dire sul serio. — E perché no? — Io non credo che possa succedere qualcosa del genere. — E allora cosa ci fanno qui? Nicola uso come scusa l’andare a buttare via la spazzatura, benedicendo il fatto che sua moglie avesse scelto di non attivare le procedure automatiche, e uscì di casa con i sacchetti destinati ai contenitori per il riciclaggio. Almeno in questo la colonia italiana era differente dalla nazione originale. All’esterno fissò il cielo sereno della sera che andava riempiendosi di stelle. — Cosa ci fanno qui? — mormorò. — Era casa loro e siamo arrivati noi a prendergliela.
Il giorno dopo Nicola tornò davanti al bar. L’alieno era ancora lì, sempre con la mano tesa e sempre ignorato. Come faccio a capire se è quello di ieri? Si avvicinò al fantasma e tirò fuori dalla tasca un’altra moneta. — Ecco — disse mettendola nel palmo aperto. Anche questa volta notò una reazione, anche se era difficile riuscire a interpretarla. — Però sarei curioso di sapere che cosa te ne fai o che cosa ve ne fate, dato che non so neppure dire se ci siamo già visti ieri o un altro giorno, oppure se sei appena arrivato. Il fantasma rimase in silenzio, anche se gli occhi privi di pupilla si erano spostati in direzione di Nicola. — Sai, sul mio pianeta, quello su cui stavo fino a qualche mese fa, una volta capitava di trovare persone, altri voglio dire, che avevano bisogno di mangiare, e più che dargli dei soldi gli si diceva: “Ehi, vieni con me che ti offro qualcosa.” Poi i tempi sono cambiati. I soldi non servivano per mangiare, ma per altro, e se non si stava attenti si finiva per essere derubati. La Terra non è più quella di una volta; è diventata un brutto posto e il paese, la nazione in cui stavo, in cui stavo con mia moglie intendo, non ha più risorse per occuparsi di tutti e allora ha pensato di seguire l’esempio di altri e di cominciare a spedire via i suoi milioni di anziani. Qui per la precisione. Nicola diede uno strattone al guinzaglio di George che tirava per andarsene. Il fantasma rimase ancora a fissarlo. — E a noi anziani, messi così da parte, ormai inutili in un posto pieno di violenza e di cose più veloci di noi, è una soluzione che va benissimo. Quando è arrivato il momento di decidere, sapevamo subito che avremmo accettato; come puoi dire di no a quello che ti viene presentato come un paradiso. Ecco perché molti di noi sono così diffidenti nei vostri riguardi. Guardò a lungo l’alieno sperando in una risposta, quando si accorse però che altri coloni si erano fermati a guardarlo scosse la testa e si allontanò.
— Ecco, firma — disse sua moglie prima ancora di mettere la cena in tavola. — Che cos’è? — chiese Nicola. — Una petizione. Stiamo raccogliendo firme in tutta Stella Ponente per chiedere all’amministrazione locale di far prendere al governo dei provvedimenti sui fantasmi, di fare qualcosa per mandarli via. Non è possibile che dopo tutto quello che abbiamo fatto per andarcene dalla Terra e dall’Italia, ci ritroviamo a dover convivere con questi alieni che non si capisce cosa vogliano o anche perché vogliano qualcosa. Se non sono stati in grado di tenersi il loro pianeta ci sarà una ragione, non credi? — Mi pare che tu sia ingiusta nei loro confronti. Rosa lo squadrò con aria seccata. — Ingiusta? Ma ti pare che dobbiamo convivere con chi è pronto a metterci un coltello nella schiena? — Guarda che non hanno armi di nessun genere. — Non intendevo in quel senso. Sono comunque pericolosi. Basta il fatto che non li capiamo per renderli pericolosi. Nicola scosse la testa. Era difficile discutere con le paure che sua moglie si era portata dietro dalla Terra. Come poteva provare a convincerla che le cose non stavano così. Ma ne sono convinto anche io?— Abbiamo pagato. Abbiamo dato tutto quello che avevamo in Italia e ci meritiamo di poter fare le nostre scelte; non di subirle e basta. Siamo scappati da un posto sempre più violento, sempre più incomprensibile, sempre più sporco e ci meritiamo di più. — Ci hanno fatto andare via perché era comodo così — Nicola lasciò cadere la penna senza aver firmato. L’elenco delle persone che avevano aderito era molto lungo. — Ci hanno parcheggiato qui perché siamo troppo difficili da gestire. Noi lo abbiamo accettato, incapaci di reagire alla cosa, e adesso ci comportiamo nello stesso modo con chi troviamo sulla nostra strada. Dovremmo impegnarci per capire e invece ci rifiutiamo di farlo. Sua moglie lo guardò stupefatta. — La pensi così? Ti piacciono quei cosi, i fantasmi? Allora dimmi perché stanno lì, a fissarci con la mano tesa. Dimostrami che non hanno altri scopi. — Sono fatti così. Ecco il perché. — Non è una spiegazione sufficiente. Io non voglio stare in mezzo a loro. Ti basta? E se non ti basta, ti deve bastare per forza. Prese il foglio con le firme e cambiò stanza.
Il giorno dopo Nicola si recò ancora al bar lungo il fiume e ancora una volta si avvicinò al fantasma, chiedendosi se avesse un modo di capire se fosse di fronte allo stesso alieno del giorno prima o a un altro. — Io non so neppure se mi capisci. Io ti parlo, ti spiego, ma in realtà non so se quello che dico ti è chiaro oppure no. Come faccio a spiegarti quello che ti stiamo facendo? E quello che ti faremo? Come faccio ad aiutarti? Il fantasma rimase a fissarlo con la mano rivolta in attesa. Gli occhi verdi fissi su di lui. Nicola prese un’altra moneta, questa volta consapevole di essere osservato da altri terrestri, che si stavano chiedendo che cosa facesse. Poi ebbe un’intuizione. E se? Invece della moneta nel palmo aperto dell’alieno mise la sua mano. Il contatto con la pelle pallida dava una strana sensazione, un calore sommesso che sembrava diffondersi poco a poco. Un’unione tra due specie diverse. Attese un cambio di espressione nel fantasma, un segno, una reazione. Ma non ne arrivò nessuna. Nicola si allontanò. Dopo poche decine di metri si voltò e fissò ancora l’alieno con la sua mano protesa. Sarebbero presto finiti di nuovo nelle loro riserve, c’erano pochi dubbi a riguardo. Sarebbe bastato che i vari comitati che si stavano organizzando nella colonia diffondessero la notizia sulla Terra per creare problemi o ripensamenti a chi, per la propria pensione, decideva di spostarsi su Maliu Nago. Non era una cosa che il governo si poteva permettere. Il futuro era fatto di nuovi insediamenti e di nuove colonie. Lo spazio per gli abitanti originali, i fantasmi, era poco. E sarebbe stato sempre di meno. Il nuovo avrebbe preso il posto del vecchio e lo avrebbe preso fino a quando non sarebbe più rimasto alcuno spazio in cui fuggire. Nicola tornò verso casa. Anche lui non poteva più fuggire.
Edited by Alberto Priora - 2/11/2009, 17:56
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