CANE DA SANGUE

circa 14.570 battute

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  1. rehel
     
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    CANE DA SANGUE



    La sua faccia: un naso rincagnato piantato di sbieco su un muso nero di barba incolta, solo a guardarla metteva paura.
    Maso era un cacciatore, più un bracconiere, a dirla schietta, senza che si potesse dire quale fosse, delle due, la cosa che meglio gli riusciva. In ogni caso era uno di quelli bravi, che conosceva la zona come le sue tasche. Ma Quando Murri guardava quel grugno irsuto non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa; e aveva concluso che forse era più opportuno così.
    Maso si era messo nei guai. Era stato catturato dai carabinieri reali in fragranza di reato ed era finito dentro senza concreta possibilità di uscire per parecchio tempo. Ma le credenziali con le quali Murri si era presentato al capitano gli avevano permesso di portarselo via in quattro e quattr'otto, senza bisogno di fornire spiegazioni all'esterrefatto ufficiale.
    A Maso aveva detto chiaro tondo che se fossero tornati vivi, il suo debito con la legge sarebbe stato cancellato.
    L'uomo non aveva battuto ciglio né domandato spiegazioni. Aveva sputato per terra e gli aveva chiesto da fumare. Adesso stavano risalendo la valle.
    Maso si era tirato dietro Lupo, un cagnaccio scuro di razza indefinita, che d'aspetto non era certo meglio del padrone. Sulla sua presenza il cacciatore era stato fermo.
    «O viene anche la bestia oppure voi potete riportarmi dentro, perché da solo non faccio nemmeno un passo».
    Murri non aveva detto niente. Quando era stato il momento di partire aveva raschiato fuori solo una parola dal fondo della gola:«Andiamo». Si era incamminato e Maso dietro di lui con Lupo alle calcagna. Appena avevano lasciato il borgo il cacciatore si era messo in testa, a seguire una pista misteriosa che solo lui sembrava in grado di fiutare.
    Durante il tragitto non scambiarono parola continuando a camminare immersi nei propri pensieri. Poi, a pomeriggio inoltrato, Maso aveva strizzato l’occhio al movimento rapido di una lepre. Le aveva tirato un colpo, ma non l'aveva presa in pieno e l'animale era scappato via scalciando. Subito Lupo le era corso dietro e dopo un ora si era rifatto vivo con la preda fra i denti.
    «Ci fermiamo qui» aveva detto Maso, e a Murri era rimasto il dubbio se il posto fosse buono o la sosta voluta solo perché al cacciatore era venuta in testa l'assillo di spellare la bestia. Comunque fosse, Maso accese il fuoco con l'acciarino, svuotò il ventre della lepre dalle interiora e lo farcì con erbe aromatiche scovate nel sottobosco. Dopo una mezz'ora, con gran soddisfazione di entrambi, si ritrovarono a mangiare l'animale arrostito su un bastone.
    Intanto Maso aveva lanciato le budella a Lupo che vi si era gettato sopra con una voracità ributtante, e lo guardava, quasi ammirato, affondare il muso nelle viscere fumiganti. Gli occhi chiusi, ebbro del piacere che gli procurava quel particolare cibo.
    «Così si abitua bene all'odore» disse Maso indicando con un cenno del capo. «E' un cane da sangue. Quella bestia lì è capace di ritrovare la pista di un animale ferito anche dopo una notte di pioggia».
    Finito di mangiare si sistemarono fra delle rocce mezzo spaccate. Con dei teli allestirono un riparo e tutti e tre, uomini e cane, si stesero a riposare.
    Murri fumava pensoso, mentre Maso e Lupo sembravano essere precipitati in un sonno profondo, seppure inquieto. Gli uomini mandati per scoprire cosa stesse accadendo da quelle parti erano scomparsi nel nulla; sapeva solo che uno di loro si chiamava Zamin. Adesso avevano incaricato lui, Giovanni Murri, da poco ritornato dall’inferno dell’Aspromonte, nella speranza che potesse dare meno nell'occhio e che la sua esperienza fra i briganti fosse un viatico per risolvere il mistero. Ma con chi doveva combattere in quelle terre desolate? In meridione erano pur sempre uomini in carne e ossa, anche se feroci e selvaggi.
    «State cercando i cani neri, vero?»
    Maso si era svegliato di colpo, come se quella domanda gli fosse stata messa in bocca da un sogno appena fatto. Prese il sigaro che Murri gli aveva passato e si mise a sedere.
    «Chi cerca i Lòi trova la morte; lo sapete?»
    «Io e te abbiamo i nostri fucili» disse Murri indicando il Carcano ad ago che Maso teneva incollato al corpo anche nel sonno. Lui invece rigirava fra le mani un modello più recente e costoso: un Vetterli fabbricato in svizzera. «E poi c'è Lupo. Se qualcuno vuole mettere in pericolo il suo padrone, lui saprà bene come difenderlo, feroce com'è».
    Maso gli ripassò il sigaro:«Lupo l'ho trovato che girava per queste terre desolate. Mi è venuto dietro e non mi ha mollato più. Non so cosa abbia fiutato in me, ma lui non ha padrone. Non appartiene a nessuno e quando si sarà stancato di Maso del fu Germino se ne andrà via per conto suo».
    Detto questo si rimise giù. Dopo nemmeno un minuto russava come se non si fosse nemmeno svegliato.

    Il mattino seguente portò in dote una selva di nuvole che inzuppavano il bosco.
    «E' lontano il villaggio?» chiese Murri.
    «Un paio d'ore». Fu la secca risposta accompagnata dal sempiterno sputo per terra.
    Murri si domandò come avrebbe fatto il cacciatore a trovare la strada giusta, lontano da piste battute, andando di traverso solo per boschi, ma l'uomo sembrava procedere spedito, sicuro del fatto suo.
    Giunsero nel villaggio prima che il sole si fosse elevato allo zenit, mentre il cielo si stava sporcando di grosse nuvole nere cariche di pioggia o, peggio ancora, di neve. Un cuculo fece assurdamente sentire la sua voce.
    «Porta male in questa stagione» disse Maso. «Non dovrebbe nemmeno starci da queste parti».
    «Forse si sarà perso» osservò Murri acido.
    Prima videro il lago, una distesa scura, lontano. Poi il villaggio. Erano solo case abbandonate, senza traccia di vita. Un borgo così piccolo da non meritare nemmeno un nome; Campo, lo avevano chiamato da sempre.
    Trovarono dei corpi irrigiditi dal gelo e mezzo sbocconcellati dagli animali. Uno aveva le mani davanti alla faccia, come se non volesse vedere chi, o cosa, lo stava uccidendo. Dalle vesti si capiva che era stato un prete; un giovane prete. Si trovava all'interno della costruzione posta più in alto di tutte, una chiesetta vicino a un cipresso, oltre l'edificio tutto scorticato che era stato un osteria.
    «Don Teffali» costatò Maso sputando per terra.
    Un'imposta sbatté. Un uccello volò via sdegnato.
    «C'è qualcuno».
    Murri squadrò interrogativo il viso di Maso.
    Il cacciatore strinse il fucile. Cominciò a muoversi leggero come se fosse stato privo di peso corporeo. Girò un angolo e si appiattì contro un muro.
    «Vai Lupo!» disse al suo cane.
    L'animale partì di scatto. Lo videro entrare in una casa, poi si udì un abbaiare feroce.
    Maso, lesto, si mise a corre, Murri subito dietro.
    Entrarono.
    L'uomo era crocifisso a un tavolo rialzato posto contro una parete. Aveva il torace nudo. Alcune delle costole erano state estirpate e utilizzate alla stregua di chiodi per trafiggere mani e piedi. Il corpo era grosso e alto, le basette castane gli incorniciavano il volto fino a raggiungere il mento.
    «Ecco il dottor Ederle» disse Maso.
    Un’imposta sbatté col suono secco di un colpo di fucile. Il vento del nord si era levato improvvise a spazzare il villaggio.
    «Non c’è più nessuno» disse Murri alzandosi il collo del pastrano, e quello fu tutto, per il momento.



    Avevano lasciato il Campo il mattino seguente. La notte l’avevano trascorsa in una delle case dove non c’erano cadaveri, le finestre chiuse e la porta rinforzata con un tavolaccio pesante. Murri non aveva voluto accendere il fuoco. Mangiarono formaggio, luganeghe stagionate e pane. Lupo dovette accontentarsi delle bucce e di poche briciole.
    «Se dovessi dare retta allo sguardo del vostro cane sono sicuro che mi mangerebbe in un boccone, se solo potesse. Eppure io non gli ho fatto nulla».
    A Maso sfuggì un sorriso sghembo:«Nessuno sa cosa gli passa per la testa a quella bestiazza. Ma a me non fa paura».
    Murri accarezzò il Vetterli:«Nemmeno a me, credetemi».
    Come al giorno appresso Maso guidava il gruppetto. Murri gli aveva chiesto se aveva mai sentito parlare di un certo Zamin, il cacciatore aveva risposto che forse sapeva dove trovarlo, ma non garantiva che fosse vivo. Ad ogni ulteriore domanda si era chiuso in un silenzio immusonito.
    Sprofondarono nel bosco uscendone solo per brevi tratti di prato, nei quali Maso cercava la lepre con uno sguardo febbricitante, ma senza più trovarla. Camminarono senza soste fino ad arrivare a una parete scoscesa che precipitava da un monte avvolto nelle nuvole.
    «Dove siamo?» chiese Murri.
    «Ancora lontani» rispose Maso spuntando per l’ennesima volta per terra. E stava per parlare ancora quando la sua attenzione fu attratta dall’atteggiamento irrequieto del cane.
    Lupo tremava tutto, puntava il muso contro un foro nel terreno. Una vibrazione sorda gli usciva dalla gola inciampando malamente nei denti.
    «Vai, Lupo, vai!» gli gridò Maso.
    Il cane s'infilò nel buco e scomparve alla loro vista.
    Maso si accucciò a sedere.
    «Quella è la tana di una bestia. Lupo la troverà e me la porterà fuori; vedrete come è bravo».
    Murri si accese un sigaro. «Sempre che non ne trovi una più forte di lui».
    «Deve ancora nascere l'animale più cattivo di Lupo; vedrete». Detto questo sputò per terra e si mise ad aspettare masticando una presa di tabacco.
    Dopo un'ora Murri aveva perso la pazienza:«Non è che quel vostro cane si sia permesso il lusso di schiacciare una dormita alla faccia nostra?»
    Maso lo guardò, livido, come se Murri avesse sparlato di sua madre. Prese un ramo e cominciò ad allargare il buco. Ne seguì l’andamento tortuoso e, quando la tana s’infrattò nel profondo, si mise a scavare con le mani nude sacramentando a più non posso.
    In breve il foro divenne largo come un braccio. A quel punto Maso ci si infilò dentro e sparì alla vista dell’esterrefatto Murri. Dopo una decina di minuti il volto barbuto del cacciatore fece la sua ricomparsa:«Venite a vedere anche voi!».
    Murri non aveva nessuna intenzione di cacciarsi in quell’anfratto umido, tuttavia c’era qualcosa nell’espressione incredula di Maso che gli fece cambiare idea. Senza dire una parola lo seguì. Poche movenze goffe, le mani che accarezzavano la terra umida intrisa di radici spezzate. Penombra e odore di cose che marcivano, sassi sotto le ginocchia. E poi un chiarore diffuso, irreale.
    Murri sbucò in un luogo ampio, tiepido e silenzioso. Maso lo aspettava in piedi, le mani sui fianchi. C’erano delle case dall’aspetto antico, che risalivano sicuramente a diverso tempo addietro. Alcune erano mezzo sepolte da grosse pietre che ne avevano spaccato i tetti e i muri, altre erano quasi integre. Con le porte e le finestre spalancate sembravano aspettare quietamente i loro padroni fuggiti chissà dove e chissà quando.
    «È il villaggio sepolto della leggenda. Può essere solo quello!»
    Maso allargava le braccia meravigliato e si guardava a destra e a sinistra come se non riuscisse a saziarsi di quello che vedeva.
    Murri scuoteva la testa:«Non ci posso credere» diceva ogni tanto. Camminarono ancora fra muri pericolanti trattenuti a stento da radici che sembravano avere abbracciato quelle case come a supplicarle di non lasciarsi cadere giù. Di resistere ancora per un po’ per conservare una parvenza di villaggio, in attesa di qualcuno che tornasse a farlo rivivere.
    «Cosa diceva la leggenda?» chiese a un certo punto al cacciatore.
    «Che tanto tempo fa, proprio da queste parti, un viandante si vide rifiutare ospitalità per la notte. Nessuno in quel villaggio lo aveva voluto in casa e lui dovette continuare il suo cammino al freddo e al buio. Prima dell’alba la montagna che sovrastava il borgo venne giù e lo coprì tutto. Nessuno ne trovò mai traccia».
    Murri scosse la testa. «Tutte storie, solo storie».
    Un ululato pervenne attenuato dalla distanza.
    «Lupo, mi ero dimenticato di lui» disse Maso. «Dove diavolo è andata quella bestiazza?».
    La voce del cane risuonò più forte e più vicina. Una vibrazione ascendente, gonfia di toni selvatici.
    Maso trasalì.
    «Andate a prenderlo» gli disse Murri.
    Il cacciatore lo squadrò di sbieco:«Andateci voi».
    Lupo mise d’accordo entrambi comparendo da dietro un muro che sembrava divorato da una gigantesca pianta rampicante. Il cane non era più lui, grande il doppio e selvatico in proporzione, rispetto a come era prima. Stava con la gola aperta. Le zanne lucide di saliva.
    «Ha la rabbia, come avete fatto a non accorgervene?» disse Murri imbracciando il fucile.
    Maso si avvicinò a Lupo esitando. Allungò un braccio, ma a metà corsa lo arrestò. Poi guardò la bestia e provò ancora a tendere la mano verso di lui.
    Lupo lo osservava con un’espressione terribile. Sembrava malato o pazzo, oppure tutte e due le cose, mescolate assieme in un assurdo ghigno animalesco.
    La mano di maso raggiunse il cane e prese ad accarezzarne il muso.
    «Lo vedete, non è malato».
    Murri non lo ascoltava nemmeno. Pensava di avere fra le mani una prova vivente del contagio, il delirio ossessivo che da mesi terrorizzava la zona.
    Alzò il fucile.
    «Cosa volete fare?»
    «Ucciderlo e portare il suo corpo da un veterinario».
    Maso lo guardò in tralice scuotendo la testa.
    «Non costringetemi a scegliere fra lui e voi».
    «I carabinieri vi aspettano a braccia aperte, lo sapete, vero?»
    «Allora aspetteranno per un bel pezzo!»
    Detto questo Maso colpì Murri col calcio del fucile, in piena faccia. E mentre questi cercava di puntare il suo Vetterli verso il cacciatore Lupo spiccò un balzo. Afferrò Murri alla gola e iniziò a dilaniarlo.
    Maso estrasse il coltello. Quando gli aprì le viscere, Murri era ancora vivo. Il cane abbandonò il collo smembrato e si gettò famelico a cibarsi. Maso stette per un po’ a guardarlo, poi, a un’occhiata interrogativa della bestia, si inginocchiò anche lui e spalancò la bocca. Dopo poco aveva la barba nera intrisa di sangue fresco e dall’odore acre delle viscere.



    Maso e Lupo corsero via. Scivolarono come ombre fra le ombre della sera. Rapiti dalle voci che sussurravano nel vento. Corsero sotto la luce della luna, sgomitando, sbraitando, sbavando. Poi i loro corpi si fusero in uno solo che più niente aveva né dell'una né dell'altra forma. Allo sguardo appariva solo un agglomerato di carne, pelle ossa e muscoli, una massa confusa dipinta d'ombra su cui brillavano i denti.
    Ciò che era appena nato si arrestò per un istante. Alzò il grugno al cielo nero come a incitare il volo silenzioso della luna. Aspirò l'aria densa delle grida che sorvolavano la foresta e riprese a correre, come se avesse paura di giungere troppo tardi alla sua misteriosa meta.
    La forma saltò un fosso e per un istante sembrò ridere in faccia alla tramontana che gli pungeva gli occhi, poi si riscosse, e continuò a correre ringhiando contro quel buio assoluto.



     
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  2. Magister Ludus
     
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    Anche questa è una buona idea, da curare meglio la forma del testo però. Il finale m'è piaciuto, ma come stile forse si discosta un po' dal resto.

    Tuttavia anche tu hai delineato bene i due personaggi, forse più Maso.

    Le mie segnalazioni:

    un naso rincagnato piantato di sbieco su un muso nero di barba incolta, solo a guardarla metteva paura: forse rende meglio se la seconda frase la separi con un punto.

    in fragranza di reato: forse volevi dire “flagranza”, a meno che il reato non sia così profumato :D

    aveva detto chiaro tondo: chiaro e tondo

    della gola:«Andiamo»: manca uno spazio dopo i due punti

    un ora: un'ora

    era venuta in testa l'assillo: venuto

    E': È

    «Un paio d'ore». Fu la secca risposta: una pausa inutile, togli il punto.

    grosse nuvole nere cariche di pioggia o, peggio ancora, di neve: mmm... quando nevica il cielo è bianco, non nero

    Un cuculo fece assurdamente sentire la sua voce: perché “assurdamente”?

    un osteria: un'osteria

    Il vento del nord si era levato improvvise: refuso

    nei quali Maso cercava la lepre con uno sguardo febbricitante, ma senza più trovarla: quale lepre? Quella del giorno prima se la sono mangiata.

    pazienza:«Non: anche qui manca lo spazio

    la tana s’infrattò: il verbo si riferisce alle fratte, ai cespugli, quindi qui è fuori luogo

    In breve il foro divenne largo come un braccio: quindi prima era più stretto, allora come ha fatto a entrarci un lupo?

    ricomparsa:«Venite: anche qui manca lo spazio

    la testa:«Non ci posso: idem

    «Dove diavolo è andata quella bestiazza?». Il punto non serve

    di sbieco:«Andateci voi»: anche qui manca lo spazio

    Stava con la gola aperta: cioè era sgozzato?

    CITAZIONE
    Murri non lo ascoltava nemmeno. Pensava di avere fra le mani una prova vivente del contagio, il delirio ossessivo che da mesi terrorizzava la zona.
    Alzò il fucile.
    «Cosa volete fare?»
    «Ucciderlo e portare il suo corpo da un veterinario».
    Maso lo guardò in tralice scuotendo la testa.
    «Non costringetemi a scegliere fra lui e voi».
    «I carabinieri vi aspettano a braccia aperte, lo sapete, vero?»
    «Allora aspetteranno per un bel pezzo!»

    io qui mi sono perso, non capisco chi dice cosa. Sistema meglio la struttura del dialogo, non andare a capo quando non serve.

    di carne, pelle ossa e muscoli: una virgola dopo pelle
     
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  3. rehel
     
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    Acciderpolina che bel lavoro di editing, quasi come CMT! :D
    Sui personaggi credo di avere glissato un po', nel senso che i personaggi del libro a cui mi riferisco, il prete e il dottore, sono due cadaveri che non hanno molta parte nella storia. :fischio: Gli altri sono personaggi creati ex novo.

    in fragranza di reato: forse volevi dire “flagranza”, a meno che il reato non sia così profumato :D

    :sunglass: Che dire? Mi pugnalerei alla gola, se potessi.


    Un cuculo fece assurdamente sentire la sua voce: perché “assurdamente”?

    Il cuculo è un uccello che viene a primavera, non in inverno. E' credenza in certe vallate del nord, che un cuculo che canti fuori stagione porti male.


    In breve il foro divenne largo come un braccio: quindi prima era più stretto, allora come ha fatto a entrarci un lupo?

    Lupo è un cane e come molti animali predatori è in grado di infilarsi in passaggi strettissimi. Hai mai visto i gatti?
    Comunque l'episodio è un po' tratto da un racconto di Mauro Corona, che appunta parla di un cane da sangue che s'infila nella tana di un animale, ma lì dentro ci rimane secco perché una pietra sul soffito della tana gli cade addosso e lo immobilizza.


    nei quali Maso cercava la lepre con uno sguardo febbricitante, ma senza più trovarla: quale lepre? Quella del giorno prima se la sono mangiata.

    Be', la lepre in senso lato; una lepre, una qualsiasi. Come dire di uno che: andava a funghi, non certi specifici, ma in generale.


    Io mi prendo ancora un po' di tempo per i commenti, sono impegnato da USAM e da un'altra cosuccia. Comunque non è facile perché i nostri tre racconti mi sembrano per certi versi piuttosto simili. E forse è anche un pregio, visto che si doveva cercare di rendere lo stile di uno scrittore e l'atmosfera della sua storia.

    :)
     
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  4. Peter7413
     
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    Ola!
    Racconto ben scritto, bel titolo, personaggi riusciti. Il finale risulta invece forzato e "non spiegato".
    I contro sono da ricercarsi nell'attinenza al libro. Non ci sono protagonisti dell'originale, se non alcuni richiami. In più il richiamo alla corsa selvatica è, a mio avviso, sbagliato in quanto nel finale del racconto sembra quasi che una febbre primigenia attacchi cane e uomo e li porti all'unione. Nella visione di Coltri, invece, il tutto avveniva secondo un piano ben stabilito e attraverso l'unione fisica (mediante ago e filo) di più animali, il tutto condito, nella ricetta, da un po' di sana stregoneria incarnata dal Libro del Comando e dalle pagine inserite nei corpi.
    In conclusione un buon racconto che, a mio avviso, risulta però slegato in maniera eccessiva dal libro non presentando personaggi comuni e fallendo sulla tematica centrale.
    Due parole ancora sullo stile, che ho trovato, invece, molto vicino a quello dell'originale.
    A rileggerci presto!
     
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3 replies since 2/5/2011, 15:25   105 views
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