Nubi
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Nubi

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  1. Snow2
     
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    13 agosto: nuova versione

    Nubi



    Sultan knows: now one is supposed to think. That is what the bananas up there are about. The bananas are there to make one think, to spur one to the limits of one’s thinking. But what must one think? One thinks: Why is he starving me? One thinks: What have I done? Why has he stopped liking me? One thinks: Why does he not want these crates any more? But none of these is the right thought. […] The right thought to think is: How does one use the crates to reach the bananas?

    Elizabeth Costello, J.M. Coetzee




    I.
    Mauro sedeva davanti al PC battendosi un indice sulla tempia. Al centro dello schermo era aperta una finestra con il video trasmesso dalla telecamera fissata sulla testa di Doody, il loro antropocervo. Altri riquadri dedicati al flusso delle sue onde cerebrali, all'analisi della vescica e degli enzimi contornavano il video senza registrare i risultati attesi dal Monolli.
    Mauro sapeva che il professore stava iniziando a spazientirsi, lo percepiva dal tono della sua voce, ogni giorno più tagliente. Ad ogni modo, pensava, la nuova location era interessante, di certo meglio del laboratorio in cui erano rimasti chiusi per un anno e mezzo. Si trovavano a bassa quota, sulle Prealpi sopra Trento, in uno spazioso casotto circondato da faggi e roverelle dove potevano godere delle cure di Monìche, la signora etiope proprietaria del capanno. Dalla dimestichezza che la donna dimostrava con quell'ex rifugio convertito in abitazione (un bagno, tre stanzette e una sala) sembrava esserci nata dentro, ma lui sapeva che aveva vissuto a Vicenza fino a pochi anni prima, gestendo un ristorante etnico insieme al marito, e che solo dopo la sua morte si era data all’eremitaggio.

    Mauro si stropicciò gli occhi.
    Doody si trovava a duecento metri dal rifugio.
    Doveva avere le zampe a mollo, perché dall’inquadratura si vedeva tutt’attorno una larga polla d’acqua grigia e torbida contornata da alberi secchi e nodosi color ferro.
    Doody si voltò verso ovest e osservò un suo simile che incedeva fra la vegetazione in lontananza.
    Oltre quello ce n’erano degli altri, un grosso gruppo. I cervi di tutta la zona erano provvisti di chip e Mauro poteva controllarne la posizione su di un piccolo radar: erano tanti puntini verdi, mentre Doody era un quadratino rosso.
    C’era qualcosa di infantile e crudele in quella rappresentazione. Doody era diverso dagli altri e non si integrava. Il suo DNA era stato rielaborato attingendo a quello umano e aveva capacità intellettive superiori a quelle dei suoi simili in misura esponenziale.
    Era un genio.
    Aveva l’aspetto d’un giovane cervo possente e odorava come ogni altro cervo, ma i suoi simili lo scansavano. Impossibile dire con certezza in che modo riuscissero a capire che era diverso. Non che Doody facesse molto per avvicinarli, peraltro; sembrava incerto, come se non fosse sicuro di appartenere alla loro specie. Dissociato e depresso.
    Questi problemi non interessavano il professore, lo facevano solo infuriare, voleva vedere l’antropocervo far funzionare la logica, “dare risultati”, ma per Mauro, laureato in psicoetologia, erano tutto. Lui era “quello buono a riflettere”, come aveva sottolineato una volta il Monolli, lasciando l’ampia gamma delle sue incapacità nel non detto.

    Monìche – che da alcuni minuti stava versando mestolate fumanti in dei recipienti di coccio – batté un cucchiaio contro un piatto per attirare l’attenzione.
    Mauro e il professore si alzarono dalle rispettive scrivanie e sedettero a tavola.
    Il Monolli disse: «Buona cena» in tono composto, passandosi una mano sulla pelata punteggiata di nei come un guscio di coccinella.
    Monìche iniziò a portarsi alle labbra cucchiaiate di zuppa producendo forti rumori di risucchio; Mauro intuì che la delicatezza era dedicata al professore; difatti, quando questi le lanciò un’occhiataccia lei la smise, sogghignando.
    «Non torna più il ragazzo che vi aiutava con i computer?» chiese dopo qualche secondo.
    «Tornerà fra due settimane», rispose Mauro. «Si occupa della manutenzione dell’hardware e non c’è bisogno che stia qui tutto il tempo, per monitorare la situazione bastiamo io e il professore». Mauro ingollò un sorso di zuppa, poi continuò in tono più cauto. «Non ci hai ancora spiegato perché hai scelto di comprare casa proprio qui».
    «Vuoi sapere che ci fa una negra sulle Alpi, eh?»
    «Vorrei sapere che ci fai tu sulle Alpi. Cosa ci facciamo io e il professore lo sai».
    «Curiosità da psicologo?»
    «Semplice curiosità...»
    Monìche smosse il sedere per farlo aderire meglio alla sedia. Aveva sessant'anni, i fianchi larghi e le ossa grosse, ma era magra. Le clavicole le tendevano la pelle color liquirizia come aste d'ombrello, mentre gli zigomi sporgenti creavano dei forti chiaroscuri sul suo volto.
    Sembrava una delle donne spigolose di Picasso.
    «Sono nata a Vicenza», disse, «l’unico pezzo di natura vera che ho visto sono questi monti. Mio padre mi portava spesso quassù, diceva che le Alpi gli ricordavano l’Africa».
    «L’Africa», ripeté il professore.
    «Sì».
    «Per via della natura incontaminata?» chiese Mauro.
    «Più o meno. C’è qualcosa nelle cime a perdita d’occhio che a mio padre ricordava le distese brulle dell’Etiopia orientale. E questo posto ricorda qualcosa anche a me – non l’Etiopia, io non l’ho mai vista. Mi ricorda mio padre. Ci son venuta senza rifletterci troppo, visto che nella vecchia casa di Vicenza non riuscivo più a dormire».

    Al contrario del professore, a Mauro piaceva Monìche.
    Era certo che li stesse ospitando per avere qualcuno accanto dopo tanto tempo, per capire se fosse il caso di tornare a vivere in città fra i suoi simili anziché restare isolata ai margini del mondo.
    Quando ebbe finito di mangiare le chiese se voleva una mano per sparecchiare, ma lei come sempre rispose di no.
    Allora lui lasciò il tavolo e quando fu di nuovo davanti al suo monitor dovette sprizzare gli occhi.
    Nell’inquadratura c’era la loro capanna.
    Doody li stava osservando.


    II.
    La mattina dopo quando Mauro si alzò il Monolli era già alla sua postazione e bofonchiava qualcosa di poco lusinghiero nei confronti dei cervi.
    Mauro bevve il caffè e si fece forza. «Professore», disse, «lo sa, è il rigetto. L’istinto di Doody non collima con le possibilità che gli abbiamo introdotto nel DNA. Non sa che farsene del nostro intelletto, è depresso sin dal primo anno di vita».
    «So bene cos’è il rigetto. E tu dovresti sapere che per ogni esemplare vengono praticati interventi differenti, quindi non venirmi a pontificare certezze su come si evolverà la situazione».
    Monìche si avvicinò. «Ma c’è mai stato un animale che non ha rigettato l’intelligenza? Che si è “evoluto”?» chiese tirando su la cerniera del cappotto, una giacca bombata azzurra che in verità non le donava affatto.
    Mauro e il Monolli la guardarono.
    «Lei è coperta da obbligo di segretezza, lo sa? Ha capito quello che ha firmato?» chiese il professore.
    «Ho capito, ho capito. E a chi vuole che lo dica, poi».
    Mauro disse: «Via professore, sono notizie di dominio pubblico, anche se ufficiose. Tutti gli animali hanno sempre sviluppato depressioni psicotiche di vario genere; di base, una diffusa disappetenza per la vita. Alcuni hanno dimostrato di poter risolvere problemi di logica non elementari, ma nulla di straordinario. Ad ogni modo, gli esperimenti ci permettono di indagare gli effetti delle manipolazioni genetiche e di avvicinarci alle questioni irrisolte sul funzionamento della mente».
    «Per modificare meglio le persone in futuro?» chiese Monìche afferrando un cesto di vimini.
    «Anche».
    La donna aprì la porta lasciando entrare i raggi del sole.
    Mauro socchiuse gli occhi, quasi inspirando la luce solare: fuori era una giornata splendida, ideale per andare a funghi.
    «Torniamo al cervo», lo redarguì il professore.

    Un’ora dopo Mauro stava uscendo dal bagno quando il professore gli disse di tornare al suo monitor. La telecamera inquadrava un tratto di bosco a bassa quota, con al centro un macchia azzurra che appariva e scompariva fra gli arbusti di ginepro.
    Era Monìche.
    «La sta di nuovo osservando», disse il professore.
    Doody avanzava verso di lei.
    «Non è la prima volta. Doody osserva un po’ tutto…»
    «Shhh! Guarda».
    Mauro fissò il suo schermo. Connetté il microfono al canale delle casse e di colpo si udì il crepitio del terriccio sotto le zampe di Doody e il vento che fischiava in sottofondo.

    L’antropocervo si mosse agile. Il cappotto di Monìche si fece più vicino e pochi secondi dopo lei si voltò di scatto.
    I due si studiarono per un tempo che a Mauro parve lunghissimo. Infine Monìche si rilassò.
    «Tu sei quello strano, vero?» chiese facendo un passo avanti.
    Doody torse il collo cercando di scrollarsi la camera posta fra le corna, poi avanzò verso Monìche, la osservò e sbatacchiò di nuovo la testa.
    Lei allungò una mano e la appoggiò sulla folta criniera del cervo, con fermezza. Mauro e il professore videro il suo volto spigoloso in primo piano e temettero che volesse liberarlo dalla telecamera, invece Monìche si limitò ad accarezzarlo e a dargli un paio di pacche sul dorso.
    Un attimo dopo tornò ad addentrarsi fra gli arbusti mentre l’antropocervo restava immobile a osservarla.


    III.
    La mattina del settimo giorno Mauro entrò nella sala principale trovando il Monolli intento a scrutare il suo schermo.
    Sedette al suo posto. Al centro dello video campeggiava la loro abitazione.
    «Doody continua a osservarci», disse.
    «Da due ore», rispose il professore. «Ho controllato. E di sicuro sta pensando a noi... perché?»
    «Be’», disse Mauro, «sa che siamo qui. Lei lo ha anche aiutato a liberarsi da quell’intrico in cui era rimasto avvinghiato per ore, il primo giorno. Forse in questo momento sta odiando me e lei e si chiede perché gli facciamo del male».
    «Non ti seguo».
    «Siamo immagini, odori associati al suo dolore. Soprattutto lei, professore: fin dalla nascita Doody soffre e vede e annusa lei. Oppure», continuò cambiando tono «è qui solo per Monìche».
    «Con lei ha un qualche tipo di legame».
    «Lo penso anch’io. Il suo atteggiamento tradisce qualcosa».
    «E sarebbe?»
    «Secondo me ha percepito in lei un senso di abbandono simile al suo; una certa assonanza emozionale. Chissà, magari pensa che nonostante l'odore lei e Monìche appartengano alla stessa specie. Una specie “a parte”...».
    Il professore lasciò cadere un silenzio eloquente. «Altro?» chiese infine.
    «No, faccio solo illazioni, lo sa. Nella testa di Doody c’è un caos che non possiamo nemmeno immaginare; turbolenze psichiche come nuvole elettriche che si incontrano e generano tempeste...»

    Nel frattempo Monìche era entrata nella sala. Disse a Mauro: «Preparati».
    Lui assentì.
    Disse al professore: «Scendo in paese a far compere con Monìche, come d’accordo. Saremo di ritorno per l’ora di pranzo».
    «Vai, vai», disse il Monolli. «Ma fa’ attenzione, il cervo potrebbe avvicinarvi».


    Monìche e Mauro si incamminarono lungo il sentiero che conduceva alle automobili dell’Istituto.
    Il cielo era un soffitto di cotone bagnato; soffiava un vento timido che si avvertiva solo a momenti.
    Mauro lasciò vagare lo sguardo sugli aceri verdi, i faggi monumentali, i cespugli abbarbicati sui pendii e, più lontano, sui veli di foschia e le pareti di roccia che si tuffavano nel nulla come cascate d'acqua pietrificate.
    Qualche minuto dopo raggiunsero le auto in uno spiazzo collegato all'asfalto da una pista di terra. Immerse nella natura le ibride Volkswagen facevano uno strano effetto: modelli polialimentati a elettricità, metano e solare con forme arrotondate che riprendevano quelle dell’antico Maggiolino.
    I due entrarono nella prima auto e si slacciarono i giubbotti.
    Mauro accese il computer di bordo, lo impostò su “Metano” e attese il report del computer sulle condizioni della vettura.
    Tutto okay.
    Digitò rapido sulla tastiera e sul display apparve la visuale in prima persona dalla testa di Doody.
    «Così vediamo dov’è», spiegò a Monìche.
    L’auto scese silenziosa fino alla strada provinciale, poi Mauro accelerò e il computer prese a mandare dei piccoli “bip” ogni volta che veniva scalata una marcia.
    Alcuni minuti dopo fissando il paesaggio nel monitor Monìche disse: «Riconosco quegli alberi, il cervo dev’essere vicino. Là», continuò indicando un punto in alto, oltre il suo finestrino.
    Il cellulare di Mauro squillò: il professore li avvertiva che il cervo si stava dirigendo verso di loro, e che se avesse continuato a seguirli avrebbero dovuto fare marcia indietro.
    Mauro chiuse la chiamata.
    «Ahia», disse Monìche indicando lo schermo.
    La visuale si era fatta confusa. Il terreno scorreva rapido divorato dalle zampe di Doody.
    «Corre verso di noi», disse lui pestando sul freno.

    Due secondi dopo l'antropocervo irruppe sull’asfalto; le zampe posteriori slittarono per un momento ma in qualche modo riuscirono a tenerlo in piedi.
    Doody traccheggiò per alcuni secondi davanti a loro fiutando la brezza, poi si avvicinò alla macchina.
    Era alto due metri alle corna e lungo altrettanto, pesava centotrenta chili e aveva occhi mobili, inquieti.
    Raggiunse il Maggiolino e urtò più volte il cofano con le corna, poi sollevò le zampe anteriori e piantò gli zoccoli stretti e appuntiti nella carrozzeria, scavando due bozzi.
    Chinò la testa e appoggiò il muso umido sul parabrezza, appannandone metà con un colpo di fiato.

    Mauro e Monìche lo fissarono e Doody ricambiò lo sguardo.
    A lungo.
    Non lo distolse come avrebbe fatto un altro animale, messo a disagio dagli occhi degli umani; le pupille di Doody erano due biglie d’un nero profondo, con venature grigie simili a spirali di fumo che sembravano risucchiarti.
    Il cellulare squillò facendo sobbalzare Mauro.
    L’antropocervo un attimo dopo scese dal cofano e senza più voltarsi si avviò in salita, lungo il declivio.

    «Gesù».
    Monìche era una maschera di pietra con le pupille tremolanti.
    «Non ti preoccupare», le disse. «Al massimo lo sediamo». Poi richiamò il professore, che eccitato gli disse di recarsi pure in città, ché tanto Doody continuava a correr su verso il rifugio.


    IV.
    «Che vuoi farci», disse Monìche tornando nell’auto. Sola come sono, senza figli… Non che non abbia conosciuto qualcuno in vita mia, ma come potevo passare del tempo assieme ai camerieri del ristorante o agli amici rattrappiti che aveva mio padre? La verità è che da quando è morto mio marito è finito tutto, non solo il ristorante e la vita che avevo, è finito proprio il mondo. È come per gli animali che magari studi tu, quelli che scompaiono dal pianeta. Prima eravamo in due. Da quando lui se ne è andato sono rimasta sola, l'ultimo esemplare della mia famiglia».

    “Era da tanto che ne voleva parlare”, rifletté Mauro allacciandosi la cintura.
    Era uno dei suoi pregi saper ascoltare, come diceva Susanna all’inizio della loro relazione. Ed era vero. A Mauro bastava un briciolo di autoanalisi per rivedere in sua madre – impetuosa, dominante per vocazione –, una delle cause della sua remissività, della volontà di dare voce agli altri anziché sovrastarli.
    Forse è davvero un debole, pensa a volte, un uomo di seconda fila, ma almeno è una persona giusta. E non è poco.
    Eppure Susanna era riuscita a ferirlo ‒ all’apparenza solo le donne potevano farlo. “Stai sempre a riflettere, a cercare di capire le cose, a lavorare gratis, ma quand’è che ti svegli? Pallemosce, questo sei. Pallemosce. I piedi in testa da tutti”.
    L’aveva mollata lì per lì, disorientato. Ma il peggio era venuto quand’era tornato il giorno dopo e lei lo aveva accolto come se si fossero lasciati anni prima.
    “Hai fatto bene a mandare tutto all'aria. A me va benissimo così”, gli aveva detto.
    E non mentiva.

    Mauro mise in moto e accese il computer, senza tradire alcun sentimento.
    L’immagine sullo schermo sembrava in still: la visuale ostruita da rami sottili, forse rovi.
    I ricordi svanirono dalla sua mente come ombre davanti a una torcia. Impugnò il cellulare preoccupato.
    Il professore gli raccontò di come Doody fosse tornato al rifugio e si fosse spinto fino alla porta fiutando; di come subito dopo fosse fuggito a rotta di collo nel tratto di bosco a est del rifugio crollando di colpo in mezzo ai rovi, forse con una zampa malconcia.
    «Sarò lì il prima possibile», disse Mauro.
    «Fai con calma, non credo sia grave», rispose il professore, «andrò io a sbrogliarlo, tanto è vicino. Così posso controllare se si è acciaccato».
    «Gli spari un tranquillante, prima».
    «Un tranquillante... Ma lo sai per quanto tempo falsano i diagrammi? No, perché dovresti saperlo».
    Mauro aprì bocca per replicare ma alla fine desistette.

    Risalì i tornanti occhieggiando di continuo lo schermo. Doody ogni tanto muoveva la testa, ma in realtà restava anche troppo fermo.
    «Strano», disse a Monìche. «I cervi mappano il territorio in cui si muovono alla perfezione e Doody si era già fatto male in quella zona, il primo giorno».
    Dopo qualche minuto il professore comparve al centro del display. Era davanti a Doody, inguainato nel suo giubbotto arancione coi risvolti di pelo. Osservò Doody per un po' con i suoi occhietti indagatori e seri, passandosi una mano sulla pelata.
    Mauro gli telefonò affinché lo sedasse, il professore dapprima grugnì, ma poi disse, chinandosi: «In realtà non sembra ferito. Dio, dovresti vedere con che occhi mi sta guardando. Mai vista una cosa del genere…»
    «Gli spari», ripeté Mauro.
    Il professore chiuse la chiamata, mise il cellulare in tasca e si slacciò il giubbotto. Aveva perso l'espressione fiera che era un tutt'uno con la sua cocciutaggine. Sembrava intimorito, insicuro, e forse per questo vecchio, vecchio come a Mauro non si era mai mostrato.
    Quando estrasse la pistola Doody si mosse.

    Mauro e Monìche videro la camera volare contro il petto del professore come una palla di cannone. Fu un attimo.
    La pistola a dardi schizzò via.
    «Gesù», gridò Mauro, mentre Monìche si appiattiva contro lo schienale sgranando gli occhi. Dall’inquadratura non più rasoterra si accorsero di quanto Doody e il Monolli fossero vicini a un precipizio.
    L’antropocervo si lanciò a capo chino verso il professore, disteso e dolorante. Con le corna raspò il terreno e proiettò in aria Vincenzo Monolli insieme a un nuvolaccio di terra.
    Il corpo del professore roteò sullo sfondo dei picchi in lontananza, restando sospeso a testa in giù per un attimo. Poi sparì in basso, fuori dall’inquadratura.
    I piedi per ultimi.


    V.
    Dopo aver contattato l’Istituto affinché mandasse dei soccorsi, Mauro chiese a Monìche – intenta a sorseggiare una tisana con sguardo vacuo – di girare intorno alla capanna e chiamare a gran voce Doody. Lei finse di non udire ma Mauro insistette.
    «Lasciatelo in pace», borbottò lei, ma lui le spiegò che sarebbe stato catturato comunque, e che avrebbero fatto meglio a occuparsene loro.

    Poco dopo Monìche uscì, e con le mani a megafono intorno alla bocca cominciò a urlare: «Ehi! Cervo vieni qui. Vieni fuori. Ehi!»
    Ci vollero più di venti minuti, ma alla fine Doody uscì dal bosco e le si avvicinò cauto.
    Mauro prese la mira con calma e riuscì a centrarlo con un dardo dalla finestra del rifugio.
    Le zampe di Doody tremarono talmente forte che sembrava delle mani le stessero scuotendo. Stramazzò al suolo con gli occhi chiusi.
    Mauro, sotto lo sguardo accigliato di Monìche, lo raggiunse con la pistola in pugno e una catena sulla spalla.
    Gli chiuse un cerchio d’acciaio intorno al collo per poi fissare l'altra estremità alla roverella più vicina.

    Doody dormì per molte ore.



    VI.
    Al tramonto Mauro aveva accompagnato i soccorritori sul luogo dell’incidente. Affacciandosi dal ciglio della scarpata aveva visto il corpo del professor Monolli ridotto a un lungo sputo di sangue sulle rocce più in basso.

    Ora sedeva davanti al computer spento con gli occhi persi nel nulla. Si sentiva svuotato. Pensava a cosa l’Istituto avrebbe fatto di lui, di Doody e dell’intero progetto.
    Monìche si teneva occupata cucinando, ma anche lei era nervosa. Mauro si chiese se in parte lo fosse perché lui e Doody con ogni probabilità avrebbero lasciato la zona; se temesse di perdere lui, il cervo o entrambi.

    Il supervisore dell’Istituto entrò spalancando la porta per poi richiuderla con una spinta – come se fosse casa propria.
    Mauro alzò di scatto la testa.
    L’uomo gli si avvicinò, era sui quarantacinque, con i capelli dorati a spazzola. Tese la mano e disse: «Piacere, Francini».
    Mauro gliela strinse.
    Un attimo dopo il supervisore camminava in cerchio per la sala pronunciando frasi di circostanza. “Che tragedia”, “mi dispiace per la famiglia”, “l’Istituto si prenderà cura dei suoi cari”.
    Mauro inspirò, trovò la forza e andò al punto ‒ forse con poca sensibilità nei confronti del Monolli ma senza ipocrisia.
    «Cosa ne sarà del progetto?»
    Il Francini puntò i suoi occhi su Monìche. «Le dispiace uscire?»
    Prima che lei rispondesse Mauro gli spiegò che era coperta da obbligo di segretezza ed era l’unica persona ad aver stabilito un legame con l’antropocervo.
    Il Francini parve rifletterci su. «Okay», disse alla fine. «Bene. Lei è il nuovo responsabile dell’esperimento», disse additandolo. «Fra qualche giorno le manderò un nuovo esperto genetico. Uno dei migliori, ha la mia parola».
    «Non intende chiudere il progetto?»
    Il supervisore si avvicinò. «Solo ufficialmente. Qui non finisce niente, ragazzo mio, questo cervo promette bene. Il Monolli è morto come è morto, ma non si può negare che fosse un grande professionista. Il suo cervo ha dato risultati».
    Il Francini scrutò il volto di Mauro ‒ assai perplesso ‒ in silenzio. Poi d'un tratto fece un passo avanti e sbatté un palmo sulla scrivania, vicino alla sua testa. «Ragazzo, ti devi svegliare però, che Cristo. Sei a capo del progetto adesso, e depresso non servi a nessuno. Non puoi fare questo lavoro ridotto uno straccio, hai capito?»
    «Sì».
    «Fra una decina di giorni tornerò per controllare che il gruppo abbia cominciato a lavorare », disse, e dopo una lunga occhiata a Mauro uscì dal rifugio.


    Lui e Monìche restarono soli con il silenzio.
    Evitarono di guardarsi.
    Cinque minuti dopo Monìche uscì senza indossare il cappotto. Mauro appoggiò i gomiti sul davanzale della finestra e la osservò sapendo bene cosa stava per fare; alla luce della luna la vide passare una mano sul dorso di Doody, che aveva appena smesso di brucare, la vide liberarlo dal collare e non disse nulla. Non gli parve una buona idea, ma non ebbe la forza per discuterne.
    Monìche rientrò mentre lui accendeva il PC.
    Disse in tono fermo: «Lo avete fatto impazzire. Ora lo curiamo».
    «Monìche, chiudi la porta. Calmati».
    «Adesso sei il capo, vai a prendere dei farmaci. Puoi farlo, no? Proviamo a curarlo».
    Mauro la guardò stupito. «E da cosa, di preciso? È inutile, Monìche. Non capisci? Non può guarire. I suoi problemi sono nel DNA e i farmaci non arrivano fin lì».
    Lei puntò i piedi intenzionata a non cedere. «Giusto qualcosa per farlo stare calmo un paio di giorni, così lo teniamo vicino a noi e gli teniamo compagnia. Così capisce che siamo amici».
    Mauro scosse la testa. "Ha appena ucciso un uomo", pensò. Poi un odore acre di foglie morte, erba falciata e sterco lo fece voltare verso la porta.
    Doody chinò il collo per evitare di urtare lo stipite con le corna ed entrò nel rifugio.
    I suoi zoccoli batterono ritmici sul parquet. Cloc, cloc.
    Sembrava enorme, lì dentro, illuminato dalla luce elettrica nell'ambiente ristretto. Sembrava mostruoso.
    «Dio», urlò Mauro. «Monìche fallo uscire!»
    Si guardò attorno ma la pistola a dardi non era a portata di mano.
    Doody roteò su stesso chinando di tanto in tanto il capo, muovendosi come se stesse ispezionando una grotta. Urtò un comodino con un fianco facendolo ribaltare.
    «Monìche, fallo uscire!»
    «Aspetta. Lo vedi? Non è aggressivo. Dagli qualcosa per farlo stare buono. Anche se non può guarire, giusto per stare sicuri».
    Doody si avvicinò a Mauro fino a portare il muso bruno e allungato, con il tartufo nero sulla punta, a un palmo dal suo volto.
    Mauro senti la paura ovattargli l'udito. Dapprima tutto quello che vide furono le sue profonde narici; poi alzò la testa. Scrutò negli occhi del cervo e di nuovo gli parve che in quelle pozze nere scorressero nubi grigie e misteriose. Nubi capaci di ingoiare il mondo intero.
    «Non dovrei farlo», sussurrò, distogliendo lo sguardo. «Ci devo pensare».
    Immaginò che il Monolli fosse ancora seduto alla scrivania dall'altra parte della sala. "Sei stupido? Falseresti i diagrammi", gli avrebbe detto.
    «Sempre ci devi pensare? Sempre?» lo aggredì Monìche. «Vuoi aspettare che arrivi il nuovo professore così ti mette i piedi in testa e ti dice cosa fare?»
    «Va bene», replicò lui a voce alta, stupendosi di se stesso. «Ci proverò. Ma solo perché l'ho deciso io. Hai capito?»
    «Sì», disse Monìche.
    I due si guardarono a lungo, poi la donna accarezzò il muso del cervo con una mano, e quando uscì dal capanno Doody la seguì diligente, come un alunno il maestro.

    Il computer aveva riaperto in automatico le solite finestre. Mauro pigiò il tasto d'accensione finché non si spense di colpo.
    Entro dieci giorni avrebbe dovuto rendere conto all'Istituto delle sue scelte, e il progetto vietava di interagire con l'antropocervo quando non strettamente necessario.
    Avrebbero stravolto tutto standogli vicino, ma in passato si era ripromesso di tener fede alle sue scelte, avesse avuto di nuovo il coraggio di prenderne qualcuna. E in fondo questo progetto non esisteva più e lui e Monìche erano il soli a sapere il perché. Poteva farsi rispettare, se voleva.
    E poi qualcosa di interessante poteva saltar fuori anche così.

    Lasciò la scrivania e si appoggiò allo stipite della porta d'ingresso. La luna era quasi piena, in fase crescente. Doody stava brucando non lontano da dove l'aveva incatenato, mentre Monìche sedeva nell'erba a gambe incrociate a due metri da lui, il suo maglione bianco che risaltava nella penombra.
    “Sembrano essersi accettati a vicenda”, pensò prima di richiamarla in casa. Ma non seppe dire se gli ricordassero di più due compagni di branco o una famiglia ristretta.

    Edited by Snow2 - 13/8/2011, 11:00
     
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  2. Fini Tocchi Alati
     
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    User deleted


    Eccomi!
    Dunque, fino al finale ero intenzionato a mettere 4.
    In effetti, il racconto mi è piaciuto: c'è un buon ritmo e buoni personaggi - il migliore, secondo me, è Monìche. Meno forte il professore - la storia è interessante e l'idea che la sorregge notevole.
    Però il finale mi sembra troppo buttato via. In quattro e quattr'otto cerchi di chiudere e mi è sembrato che puntassi troppo sul mettere in evidenza il carattere debole di Mauro e quindi la sua voglia di cambiare. Da questo punto di vista acquista valore il passo in cui parli di Susanna e della madre di Mauro (che fino al finale mi era parso avulso dalla storia), però mi è sembrato un po' forzato il riferimento. Forse perché questo carattere remissivo di Mauro dovresti farlo emergere più chiaramente sin dall'inizio. Non so dirti, però, se il finale potrebbe acquistare valore. Non so, temo che potrebbe rimanere comunque un po'... "moscio".
    Credo che dovresti focalizzare meglio lo scopo del racconto. Al momento io ne individuo due: da una parte vuoi raccontare della triste condizione dell'antropocervo e dei rapporti che questo riesce a creare con gli esseri umani, dall'altra, però, tendi a dare prevalenza (specie nel finale) a una sorta di crescita umana di Mauro. Non so, magari sono solo mie impressioni. Riflettici su, va!

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    A livello di trama mi è parso parecchio inconsistente, se non ingenuotto. Abbiamo dei ricercatori, una donna sola. Ci sono degli abbozzi di psicologie (anche buoni, specie quella dello psicologo e di Moniche), un cervo super intelliggente. Abbiamo ingegneria genetica. Insomma abbiamo un contesto, un background, un palcoscenico già pronto per la storia, con tanto di personaggi che aspettano il via. Ma la storia dove sta? Inizia, certo, c'è una vendetta animale, ma mi sembra troppo misero rispetto al contorno, che promette o anticipa cose ben più ampie. Lo psicologo resta irrisolto, tanto per dirne una: un personaggio a tutto tondo che però non partecipa, se non in modo marginale, da comparsa. Gli studi che fanno restano in sospeso, tanto per dirne un'altra. Il finale tronca ogni possibile sviluppo. Comincia una nuova vita per il cervo e Moniche? Ci viene solo suggerito, e neanche in modo sicuro: all'arrivo del nuovo esperto di genetica le cose torneranno come prima; il cervo ucciderà ancora, la ricerca verrà chiusa e Moniche resterà d nuovo sola. Insomma, complessivamente non va da nessuna parte, e quel poco che pare andarci, lo fa in modo poco notevole.


    Qualche appunto:

    CITAZIONE
    Al centro dello video campeggiava il loro casotto.

    ...

    CITAZIONE
    Mauro lasciò vagare lo sguardo sugli aceri verdi, i faggi monumentali, i cespugli abbarbicati sulle scoscese e, più lontano, sui veli di foschia e le pareti di roccia che si tuffavano nel nulla come cascate d'acqua pietrificate.

    Te lo segno perché ho un dubbio grosso così, ma potrebbe essere corretto. Il fatto è che io finora ho trovato scosceso sempre come aggettivo, mai come soggetto. Quindi, per me, andrebbe detto cosa è scosceso.


    Voto: 2
     
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  4. Snow2
     
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    Attilio
    CITAZIONE
    Però il finale mi sembra troppo buttato via. In quattro e quattr'otto cerchi di chiudere e mi è sembrato che puntassi troppo sul mettere in evidenza il carattere debole di Mauro e quindi la sua voglia di cambiare. Da questo punto di vista acquista valore il passo in cui parli di Susanna e della madre di Mauro (che fino al finale mi era parso avulso dalla storia), però mi è sembrato un po' forzato il riferimento. Forse perché questo carattere remissivo di Mauro dovresti farlo emergere più chiaramente sin dall'inizio. Non so dirti, però, se il finale potrebbe acquistare valore. Non so, temo che potrebbe rimanere comunque un po'... "moscio".

    Allora, sì, secondo me hai ragione: nel finale Mauro e la sua reazione hanno troppo risalto. Domani torno sul racconto. L'idea è di lavorare soprattutto sulla conclusione, e penso di farlo allungando l'ultima parte, in modo che l'uscita di Mauro risulti bilanciata meglio con lo spazio dedicato a Monìche e a Doody.
    Cercherò anche di fare emergere prima, più chiaramente, la remissività di Mauro.
    Il finale è un po' moscio, sì, non riserva rivelazioni o sorprese né una conclusione vera e propria, ma ho scritto la storia con l'idea precisa di lasciare un finale aperto, in cui al lettore restino in testa delle domande, anziché delle risposte. Il problema è che una cosa del genere bisogna farla bene... Comunque confido di riuscire a ottenere una sensazione migliore nel finale equilibrandolo meglio. Vediamo un po'...

    CITAZIONE
    Credo che dovresti focalizzare meglio lo scopo del racconto. Al momento io ne individuo due: da una parte vuoi raccontare della triste condizione dell'antropocervo e dei rapporti che questo riesce a creare con gli esseri umani, dall'altra, però, tendi a dare prevalenza (specie nel finale) a una sorta di crescita umana di Mauro. Non so, magari sono solo mie impressioni. Riflettici su, va!

    Sì, sì. Ci rifletto. :sospysi:
    La crescita umana di Mauro non deve avere tanta importanza, comunque. Lo scopo del racconto per me è chiaro, in realtà: è far venir fuori una serie di connessioni tra i personaggi, in primo luogo Doody e Monìche, e di lasciare delle suggestioni sui rapporti uomo-animale e uomo-uomo (l'animale è qualcosa di Diverso, ma in fondo anche un uomo può essere qualcosa di Diverso per un altro uomo, neanche gli uomini sono solo intelletto, anzi, ciò che non passa attraverso il filtro dell'intelletto è importante, ecc.). Anche per questo voglio cercare di far funzionare un finale di questo tipo, per tenere alta la concentrazione non tanto sull'intreccio di per sé, ma sui personaggi e su certe "suggestioni".
    Grazie del commento!

    Gargaros
    CITAZIONE
    Lo psicologo resta irrisolto, tanto per dirne una: un personaggio a tutto tondo che però non partecipa, se non in modo marginale, da comparsa.

    Lui dovrebbe essere un osservatore, nella revisione fatta prima di postare ho lavorato un po' sulla sua psicologia proprio per non renderlo una comparsata piatta, ma di base vorrei che Monìche e il cervo restassero i personaggi più importanti, al di là dei caratteri concessi, e Mauro un osservatore (e un collante fra i vari personaggi).

    CITAZIONE
    Gli studi che fanno restano in sospeso, tanto per dirne un'altra.

    Restano in sospeso perché non possono avere sbocco: sono studi sbagliati, a livello metodologico: vogliono ottenere forzatamente da un animale prove di raziocinio umano, l'unico risultato che raggiungono è nefasto. Però mi sa che dovrei riuscire a suggerire meglio che questi sono senza sbocco, potrei aggiungere una battuta nel finale (cercando di non fare infodump).
    CITAZIONE
    Il finale tronca ogni possibile sviluppo...

    Eh, sì, infatti. Come dicevo ad Attilio vorrei cercare di far funzionare il racconto così. Di base è nei presupposti del racconto che non trovino sbocchi (se non disgraziati) le ricerche del professore, e che si arrivi a un finale con poche (e non particolarmente buone) prospettive. L'idea era di far reggere il finale aperto tra la ripresa della psicologia di Mauro, l'immagine del faccia a faccia cervo-Mauro e il nuovo legame cervo-Monìche. è una soluzione piuttosto anomala anche per me, difatti quest'USAM mi sarò parecchio utile per capire se funge o non funge e come modificarla.

    Grazie dell'utile commento, rifletterò sul tutto. :)

     
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  5. RobertoBommarito
     
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    Ciao Snow2,

    SPOILER (click to view)
    Bel racconto. Bella l'idea dell'antropocervo, ed è una buona metafora per evidenziare 1. la tendenza dell'uomo ad antropomorfizzare gli animali (sebbene questi condividano con noi emozioni, sentimenti e alcuni anche senso dell'io) 2. le complessità che possono nascere quando un individuo in qualche modo differente dallo standard si trova isolato, solo. Perlomeno, queste sono le due cose principali che sono arrivate a me.
    Ciò che non mi convince invece è il ritmo del racconto, ovvero: sembra procedere troppo lentamente, le scene scorrono lente, e a tratti, leggendolo, ho avuto la sensazione che se venisse un po' "ristretto" il racconto ne beneficerebbe. Manca, a mio avviso, un senso di equilibrio, nel racconto. Procede troppo piano. Il risultato è che non coinvolge quanto dovrebbe. Metto un 3 pieno, ma restringendolo un pochino credo che il racconto potrebbe fare un salto di qualità.

    Note:

    QUOTE
    Il Monolli disse: «Buona cena» in tono composto, passandosi una mano sulla pelata punteggiata di nei come un guscio di coccinella.

    bel passaggio!

    QUOTE
    «Lasciatelo in pace», disse allora Monìche.

    non amo per nulla i punti esclamativi, ma qui, dopo "pace", un punto esclamativo credo che ci andrebbe bene.

    QUOTE
    Sei a capo del progetto adesso, e depresso non servi a nessuno. Non puoi fare questo lavoro se sei depresso, hai capito?»

    ripetizione

    A rileggerci!
     
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  6. kaipirissima
     
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    Le prime impressioni che ho avuto a lettura finita sono state principalmente tre:
    sensazione che fosse troppo lungo, nonostante la prosa pulita deaffaticante.
    sensazione che i primi due segmenti della IV parte fossero inutili, soprattutto quello di Susanna, vabbé che si lega al finale di lui che prende una decisione (sempre però spinto da una donna), ma mi sembra più una caratterizzazione applicata sopra, come un vestito, più che propria del personaggio. La parte di Monìche potrebbe esse sintetizzata in qualsiasi altro scambio di battute tra i due.
    Sensazione che il finale non fosse quello giusto.

    Per questo il mio voto è 2, perché mi ha lasciato la sensazione di incompletezza.


    La storia si dipana con semplicità, così com’è giusto che sia, tra i personaggi della vicenda Monìche e Doody sono i più riusciti. Stereotipato il professor Monelli e ancor di più il supervisore dell’istituto, Francini, (la cui descrizione fisica mi è del tutto indifferente, piuttosto una maggiore caratterizzazione nei gesti o nelle frasi sarebbe più interessante) sono statici ma così funzionano benissimo. Il problema è Mauro, che non riesco proprio a sentire, certo, lo percepisco come un ricercatore diverso, migliore, ma non esce del tutto, e la parte in cui Mauro racconta di sé e di Susanna non mi è piaciuta, ha creato una pausa nel racconto, (soprattutto è posta dopo una sequenza ricca di azione e suspence) inserito un personaggio che non c’entra nulla, senza per altro riuscire né a mettere Mauro più a fuoco, né a costruire un legame con lui, come invece è stato immediato con Doody e Monìche.

    La prima parte in cui s’invertono le parti tra chi osserva e chi viene osservato mi è piaciuta e mi ha avvinta (a proposito ottima prosa, veloce, senza orpelli. La giusta misura).
    La psicologia di Doody è più lasciata all’immaginazione del lettore, che deve immedesimarsi nell’esperimento, fondere razionalità e istinto. Nonché la rabbia, la ribellione immaginabile in una cavia cosciente di esserlo.
    Ora tutto questo non detto, mi sta anche bene, perché posso estenderlo nella mia immaginazione fin dove voglio, ma il finale non mi soddisfa.
    Per fortuna che Mauro è cosciente delle difficoltà di “stendere sul lettino” l’antropocervo, avrei preferito come finale però che avesse tolto la cinepresa e l’avesse lasciato libero, in fondo anche noi uomini siamo capaci di vivere fuori dal consorzio degli uomini, se poi hai anche un istinto animale più sviluppato o meglio, non svilito dalla civiltà e dalle convenzioni, tanto meglio.
    Forse esaltare la libertà del cervo, dell’uomo, sarebbe uno spunto di riflessione per tutti noi, che ci crediamo liberi quando invece siamo prigionieri, per citare Pirandello. E si credono vivi, poiché non si riconoscono come morti.

    CITAZIONE
    Poi chiamò il professore, che con malcelata eccitazione gli disse di andare pure in città, chè tanto Doody continuava a correre su, verso il rifugio.

    CITAZIONE
    Gli spari un tranquillante, prima
    Un tranquillante…Ma lo sai per quanto tempo falsano i diagrammi? No, perché dovresti saperlo.

    Gli spari un tranquillante, prima
    Non è possibile, sai benissimo per quanto tempo falsano i diagrammi, o almeno dovresti.

    CITAZIONE
    … visto il corpo del professor Monelli ridotto a un lungo sputo di sangue sulle rocce più in basso.

    CITAZIONE
    Era sui quarantacinque anni, capelli dorati a spazzola…

    Aveva circa quarantacinque anni, capelli dorati a spazzola…
    CITAZIONE
    Puoi farlo, sei sempre un dottore no? Proviamo a curare quel cervo.

    Puoi farlo, sei un dottore no? Prova a curarlo.

    CITAZIONE
    Aspetta lo vedi? Non è aggressivo. Prova a curarlo. Fa’ qualche tentativo, anche se non può guarire.
    Doody si avvicinò a Mauro fino a portare…

    Aspetta lo vedi? Non è aggressivo.
    Doody si avvicinò a Mauro fino a portare…

    CITAZIONE
    Ci proverò. Ma solo perché lo decido io. Hai capito?

    Ci proverò. Ma solo perché l’ho deciso io. Hai capito?
     
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  7. Snow2
     
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    Roberto
    CITAZIONE
    Ciò che non mi convince invece è il ritmo del racconto, ovvero: sembra procedere troppo lentamente, le scene scorrono lente, e a tratti, leggendolo, ho avuto la sensazione che se venisse un po' "ristretto" il racconto ne beneficerebbe. Manca, a mio avviso, un senso di equilibrio, nel racconto. Procede troppo piano. Il risultato è che non coinvolge quanto dovrebbe. Metto un 3 pieno, ma restringendolo un pochino credo che il racconto potrebbe fare un salto di qualità.

    Ho snellito abbastanza il tutto, allungando di un po', al contempo, l'ultima parte. Secondo me così va già un filo meglio, anche se mi pare si possa snellire ancora (e migliorare il finale...).
    Grazie del commento! :)

    Kaipirissima
    CITAZIONE
    sensazione che fosse troppo lungo, nonostante la prosa pulita deaffaticante.

    Ho dato una prima sfoltita al testo. :)
    CITAZIONE
    sensazione che i primi due segmenti della IV parte fossero inutili, soprattutto quello di Susanna, vabbé che si lega al finale di lui che prende una decisione (sempre però spinto da una donna), ma mi sembra più una caratterizzazione applicata sopra, come un vestito, più che propria del personaggio.

    Eh sì, ti pare benissimo: è stata applicata "sopra" durante la pesante revisione cui ho sottoposto il testo (che avevo scritto qualche mese fa) prima di postarlo.
    CITAZIONE
    La parte di Monìche potrebbe esse sintetizzata in qualsiasi altro scambio di battute tra i due.

    Ho abbreviato tanto la parte dedicata a Monìche quanto quella dedicata a Mauro. Così dovrebbero sembrare meno "appiccicate lì". Post usam quando rivedrò il testo a freddo cercherò di spostare una delle due parti, inserendola nel testo in altro modo. :)
    CITAZIONE
    Sensazione che il finale non fosse quello giusto.

    Eh, non soddisfa neanche me. Ho postato una prima revisione ma il finale resta problematico.
    CITAZIONE
    avrei preferito come finale però che avesse tolto la cinepresa e l’avesse lasciato libero, in fondo anche noi uomini siamo capaci di vivere fuori dal consorzio degli uomini, se poi hai anche un istinto animale più sviluppato o meglio, non svilito dalla civiltà e dalle convenzioni, tanto meglio.
    Forse esaltare la libertà del cervo, dell’uomo, sarebbe uno spunto di riflessione per tutti noi, che ci crediamo liberi quando invece siamo prigionieri, per citare Pirandello. E si credono vivi, poiché non si riconoscono come morti.

    Avevo pensato a un finale liberatorio in tutti i sensi, ma c'è il problema che Doody lasciato libero forse potrebbe perfino ammazzarsi: non viene accettato dai suoi simili, ha rapporti a dir poco tortuosi con gli umani, è solo anzi solissimo: lasciarlo libero non sarebbe poi una soluzione particolarmente positiva, a conti fatti. Credo che userò qualche altra riga nell'ultima parte per parlare proprio di questo: la cosa più responsabile e giusta da fare a quel punto è non negargli l'amicizia di Monìche e le cure di Mauro.
    Presto posto una versione con nuovo finale, intanto grazie mille Kaipi per il bellissimo commento! Davvero utile! ^_^
     
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  8. Olorin
     
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    Ciao Snow2.

    Dunque, devo fare un certo sforzo per non farmi determinare dalla delusione subita nel finale e formulare in maniera il più equilibrata possibile la mia opinione sul racconto... no, lo sforzo è troppo grande! Il finale che non finisce o che infila tutto in fretta e furia nella valigia per scappare via, non riesco a metabolizzarlo! ;) :D
    Secondo me l'idea su cui si basa il racconto, pur non essendo proprio originale (il film 'blu profondo' la ricalca pari pari per il grande squalo bianco), fino a circa metà brano era stata ben sostenuta. A mio parere la narrazione si perde un po' in lungaggini che potrebbero essere evitate, anche perché lasciano troppo tempo al lettore per farsi un'idea più o meno corretta, circa il destino dei personaggi, come avviene guardando quei Bfilm americani dove tutti grigliano sereni e felici nel giardino della villa, ma già puoi individuare quelli che di lì a poco sgronderanno sangue dalla bocca agitandosi intorno a un forcone che gli spunta dalla pancia.

    Doody viene investito di un enorme alone di mistero (gli occhi coi vortici ecc) che poi si arena sugli psicofarmaci, Francini lascia intendere l'esistenza di un progetto segreto che sottenda alla ricerca (visto il giudizio positivo che dà di quello che appare come un tragico fallimento) ma quest'accenno rimane tale, il legame di Monique con Doody - di natura misteriosa quanto quella di quet'ultimo - trova una spiegazione un po' spicciola e banale (la solitudine di entrambi i personaggi) così come l'esito in cui sfocia (una sorta di rapporto cane/padrone) e la questione della personalità remissiva di Mauro sembra quasi posticcia, ma mai quanto la soluzione che tale atteggiamento trova nel finale.

    Tutte idee anche buone, ma non so perché mi hanno dato l'impressione di essere state ficcate dentro con poca naturalezza e organizzazione. Lo spazio di miglioramento, visto il pathos che hai creato in acuni passaggi del racconto, è troppo ampio perché io possa andare oltre il 2.

    Del tutto personale anche il mio non eccessivo gradimento dell'utilizzo dell'articolo prima del cognome (tipico di noi milanéss).

    Alcune osservazioni di poco conto (come anche le precedenti, comunque):

    CITAZIONE
    un suo simile che incedeva fra la vegetazione

    Secondo me un meno impegnativo ‘avanzava’ sarebbe stato meglio.
    CITAZIONE
    sembrava incerto, come se non fosse sicuro di appartenere alla loro specie. Dissociato e depresso.

    Avrei lasciato la sentenza ‘dissociato e depresso’ attaccata alla precedente descrizione con una virgola.
    CITAZIONE
    elettricità, metano e solare

    ‘energia’ solare

    CITAZIONE
    Forse è davvero una persona debole

    ‘Forse era davvero una persona debole’ il tempo presente confonde, sembra che il pensiero in merito a Mauro sia passato a un’altra persona, invece è sempre lui che ragiona su sé stesso
    CITAZIONE
    No, perché dovresti saperlo».

    ‘il perché’
     
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  9. Jackie de Ripper
     
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    Sono perplessa. Il racconto mette tanta carne sul fuoco, ma finisce con tanto fumo e poco arrosto. È un peccato perché tutta la prima parte, tranne la conclusione, crea molte aspettative e l'introspezione dei personaggi è notevole.
    Non è facile mettere assieme così tanti elementi, tra i più disparati, e amalgamarli come se non stonassero l'uno accanto all'altro (la donna di colore, le montagne ecc.), ma l'impressione alla fine è che siano stati scelti un po' a caso, ovvero che non ci fosse una ragione particolare perché la donna fosse d'origine etiope o altro.
    Di certo, in questo modo, il racconto è ben caratterizzato e originale, ma diventa ancora più stridente la conclusione, così tirata via.
    Secondo me devi trovare uno scopo al racconto. Forse per te una finalità ce l'ha già, ma al lettore sfugge, rimane con un senso d'incompiutezza che è un vero peccato per una storia condotta così bene fin dall'inizio.
    Per i personaggi ben caratterizzati (compreso l'antropocervo) e il crescendo d'aspettative che suscita la narrazione arrivo a 3. Per il 4 ci vuole un finale che sia allo stesso livello del resto.

    Voto: 3.

    Edited by Jackie de Ripper - 13/8/2011, 13:36
     
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  10. Peter7413
     
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    Eccomi!
    Bel racconto con un unico difetto: il finale. Come già altri ti hanno detta, sembra quasi buttato via, troppo accelerato e poco incisivo. In ogni caso non è un gran difetto, visto che tutto il resto funziona alla grande. Ti basta metterlo a posto e ti ritrovi con un racconto da quattro. Intanto che ci sei potresti anche rimpolpare il resto qua e la cercando di creare più tensione intorno al cervo: è un personaggio fantastico e potresti svilupparlo ancora di più. Buoni anche gli altri, un po' meno Mauro perché lo spieghi troppo, forzi in modo eccessivo sul dirci com'è invece che mostrarcelo. Per me è un 3 abbondante con tante potenzialità inespresse.

    Alla prossima!
     
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  11. Snow2
     
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    Olorin
    CITAZIONE
    Dunque, devo fare un certo sforzo per non farmi determinare dalla delusione subita nel finale e formulare in maniera il più equilibrata possibile la mia opinione sul racconto... no, lo sforzo è troppo grande! Il finale che non finisce o che infila tutto in fretta e furia nella valigia per scappare via, non riesco a metabolizzarlo! ;) :D

    Cazz di finale, proprio brutto. :lol:
    CITAZIONE
    Secondo me l'idea su cui si basa il racconto, pur non essendo proprio originale (il film 'blu profondo' la ricalca pari pari per il grande squalo bianco), fino a circa metà brano era stata ben sostenuta. A mio parere la narrazione si perde un po' in lungaggini che potrebbero essere evitate, anche perché lasciano troppo tempo al lettore per farsi un'idea più o meno corretta, circa il destino dei personaggi

    Ho snellito non poco il testo fino al finale, che invece ho allungato.

    CITAZIONE
    Doody viene investito di un enorme alone di mistero (gli occhi coi vortici ecc) che poi si arena sugli psicofarmaci,

    Questa cosa degli psicofarmaci non pareva bella neanche a me, era una scelta in linea col finale "senza molte speranze" (difatti lo stesso Mauro era molto scettico su un eventuale miglioramento/guarigione di Doody). Ho cambiato parecchio le cose (anche perché non era molto in linea con il personaggio di Monìche, tirar fuori dal nulla l'idea degli psicofarmaci. Magari ci stava perché lei voleva guarirlo, ma non era troppo convincente). Ora si parla di farmaci solo per tenere buono Doody, come misura di sicurezza visto che non potevano stargli tranquillamente a fianco subito dopo l'uccisione del professore...
    CITAZIONE
    Francini lascia intendere l'esistenza di un progetto segreto che sottenda alla ricerca (visto il giudizio positivo che dà di quello che appare come un tragico fallimento) ma quest'accenno rimane tale

    Il supervisore vuole solo ottenere qualche risultato: tutti gli animali di base rifiutano le possibilità intellettive che hanno loro innestato, per questo un risultato, per quanto tragico, per Francini è comunque qualcosa.
    CITAZIONE
    il legame di Monique con Doody - di natura misteriosa quanto quella di quet'ultimo - trova una spiegazione un po' spicciola e banale (la solitudine di entrambi i personaggi) così come l'esito in cui sfocia (una sorta di rapporto cane/padrone)

    l'idea era di farlo sfociare in un rapporto intraspecie, tipo animali dello stesso branco, oppure affettivo, come membri di una stessa famiglia. Spero nel nuovo finale sia più chiaro.
    CITAZIONE
    e la questione della personalità remissiva di Mauro sembra quasi posticcia, ma mai quanto la soluzione che tale atteggiamento trova nel finale.

    Nel finale allungato appare meno importante, anche se boh, mi sa che ancora si potrebbe migliorare il modo in cui viene fuori.

    Grazie mille per il commento, Olorin, ne ho tenuto conto mentre revisionavo. Grazie anche per le segnalazioni, le andrò a confrontare nel testo ASAP! :)


    Jackie
    CITAZIONE
    Non è facile mettere assieme così tanti elementi, tra i più disparati, e amalgamarli come se non stonassero l'uno accanto all'altro (la donna di colore, le montagne ecc.), ma l'impressione alla fine è che siano stati scelti un po' a caso, ovvero che non ci fosse una ragione particolare perché la donna fosse d'origine etiope o altro.

    Volevo fosse extracomunitaria in modo che fosse chiaro fin da subito che Monìche era una outsider, una persona spiantata e sola, in modo che venisse fuori il parallelo con Doody, che per citare Balto: Non è cervo non è uomo, sa solo quello che non è. (Anche se Doody al contrario di Balto è pieno di turbe psichiche e ammazza pure un cristiano...).
    CITAZIONE
    Di certo, in questo modo, il racconto è ben caratterizzato e originale, ma diventa ancora più stridente la conclusione, così tirata via.

    CITAZIONE
    Secondo me devi trovare uno scopo al racconto. Forse per te ce una finalità ce l'ha già, ma al lettore sfugge, rimane con un senso d'incompiutezza che è un vero peccato per una storia condotta così bene fin dall'inizio.
    Per i personaggi ben caratterizzati (compreso l'antropocervo) e il crescendo d'aspettative che suscita la narrazione arrivo a 3. Per il 4 ci vuole un finale che sia allo stesso livello del resto.

    Negli ultimi giorni ci ho riflettuto su (si è trasformato in un rompicapo, questo finale). Nella nuova versione tanto per cominciare l'ho allungato. Ho provato a descrivere meglio l'ingresso di Doody nella capanna, ho cambiato il tipo di intervento che progettano di fare (sfanculare il monitoraggio, blandirlo e tenerlo vicino. Prendersi cura di lui standogli accanto, facendoselo amico). Ho aggiunto delle spiegazioni su come si prospetta il prossimo futuro per i tre, in rapporto all'Istituto.

    Ancora mi sa che non è perfetto ma almeno dovrebbe essere più chiaro, meno repentino e drastico.
    Grazie del commento, Jackie!


    Peter
    Maurizio, grazie del commento. Sono tornato sul finale cercando di renderlo meno brusco, meno misterioso, più chiaro. Prima o poi, magari non troppo poi, spero di riuscire a tirar fuori le potenzialità inespresse del testo.
    Ciao! :)



    Edited by Snow2 - 13/8/2011, 11:57
     
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  12. Peppino1982
     
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    Ciao Snow2, purtroppo ho letto solo oggi il tuo racconto e quindi il mio giudizio si baserà su quest’ultima versione.
    Racconto bello e interessante.
    Ben caratterizzato il personaggio di Mauro. A livello caratteriale tende a farsi mettere i piedi in testa un po’ da tutti e soprattutto dalle donne. Nonostante la differenza di status, lui ha un ruolo importante nel progetto, alla fine si fa comandare da Moniche, un’eremita del luogo. Come ha fatto uno così, che non sgomita per affermarsi, a raggiungere un ruolo così importante in un progetto scientifico?
    Inoltre a volte ho pensato che Mauro fosse più interessato a studiare Moniche che non il cervo.
    Secondo me il racconto è ben equilibrato nelle sue varie parti.
    Il fatto che il cervo si senta scombussolato e diverso dagli altri cervi per via della sua intelligenza mi ha ricordato una puntata di Futurama che si intitola Università marziana. Li c’era però una scimmietta che diventava intelligente grazie ad un cappello e che proprio per questo andava in tilt e non accettava la sua condizione.
    Bella storia.
    Voto: 4

     
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  13. kendalen
     
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    Ciao! Passo al tuo racconto.

    Trama, personaggi e ambientazione un po' da B-movie - o da direct-to-video, con qualche idea interessante. Giudizio impietoso subito per cominciare, mi spiace.
    Lo stile non è male e il racconto si lascia leggere, ci sono però alcune cose che mi hanno fatto un po' storcere il naso.
    Intanto la definizione stessa di "antropocervo": ok che ha del codice genetico umano, ma messo così mi ha subito fatto pensare a una specie di mostro, che so, un centauro con le corna (povero!) o un minotauro con la testa di cervo. Secondo me si poteva usare un termine più neutro, limitarsi a "cervo" (non uno qualsiasi, il "loro"), specificando in seguito in cosa si differenzia, come già hai fatto.
    Poi, qualche dubbio sui nomi: la scelta semidialettale di chiamare alcune persone con l'articolo (il Monolli, il Francini, scelta a mio avviso adatta solo nel momento in cui la metti in bocca a Francini, alla fine), il fatto di dare un nome al professore solo una volta, in tutto il racconto (come se l'avesse solo nel momento in cui muore).
    L'apparizione dal nulla di Susanna: funzionale per preparare il finale, d'accordo, ma appare posticcia, evocata apposta solo per quello, invece che essere qualcosa di davvero macerante per il protagonista. Come già per Panta Rei di rehel, ti consiglierei di introdurla prima, magari dando qualche indizio di come Mauro soffra ancora per quella relazione mentre è lì a dare una mano a Monolli (senza l'articolo :P): in questo modo, secondo me, riuscirai a dare anche più profondità al protagonista.
    Ecco, il protagonista: oltre al nome, lo chiami in pochissimi altri modi. È tutto un Mauro fece questo e Mauro fece quest'altro. E alle volte non serve nemmeno specificarlo. Ti faccio un esempio:
    CITAZIONE
    Mauro e Monìche videro la camera volare contro il petto del professore come una palla di cannone.

    => qui sappiamo che Mauro e Moniche sono insieme e, d'altra parte, sono gli unici altri personaggi umani oltre al professore: credo si possa togliere.
    Molto misterioso, se non fumoso, il ruolo della donna, ma non è un grosso problema. È piuttosto un problema il fatto che la ribellione dell'antropocervo sia molto "telefonata": la scena in cui il professore esce per andare a "sbrogliarlo" e non segue il consiglio di Mauro è la classica scena da B-movie, non c'è pathos, non c'è tensione. C'è solo lo stanco aspettare l'inevitabile.
    Alcune osservazioni sparse:
    CITAZIONE
    (un bagno, tre stanzette e una sala)

    => è utile avere queste informazioni, oltre tutto tra parentesi?
    CITAZIONE
    dovette sprizzare gli occhi

    => è un aperitivo? :D No, forse è un refuso: "strizzare" ;)
    CITAZIONE
    una giacca bombata azzurra che in verità non le donava affatto

    => un inciso che in verità non serve a granché.
    CITAZIONE
    Al centro dello video

    => refuso, del.
    CITAZIONE
    Forse in questo momento sta odiando me e lei e si chiede perché gli facciamo del male

    => probabilmente è meglio "Forse in questo momento si chiede perché gli facciamo del male e ci odia per questo"
    CITAZIONE
    Era alto due metri alle corna e lungo altrettanto, pesava centotrenta chili e aveva occhi mobili, inquieti.

    => ecco, nel momento in cui sono in macchina e se lo trovano davanti, la precisa enumerazione di altezza e peso non ha molto significato: potevi restare più sul vago, insistendo su quanto sia più grosso della macchina. Bene invece per il dettaglio degli occhi.
    CITAZIONE
    Il corpo del professore roteò sullo sfondo dei picchi in lontananza, restando sospeso a testa in giù per un attimo. Poi sparì in basso, fuori dall’inquadratura.
    I piedi per ultimi.

    => poco credibile la descrizione, sembra quasi un pezzo di un cartone della Warner Bros, con Wile Coyote che si ritrova il vuoto sotto di sè e scompare in una nuvoletta. :P
    CITAZIONE
    Mauro prese la mira con calma e riuscì a centrarlo con un dardo dalla finestra del rifugio.

    => invertirei un paio di cose: "Da una finestra del rifugio, Mauro prese la mira con calma e riuscì a centrarlo"


    Ti metto un 2, non me ne volere (lo so, sono stato un po' troppo cattivo). Il racconto comunque è ancora migliorabile.
     
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  14. Nozomi
     
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    Ciao!

    Bel racconto, mi ha coinvolta dall'inizio alla fine. Belli i personaggi, dotati di spessore, bella la forma, buona la trama.
    La storia è decisamente originale, inoltre mi è piaciuto molto come hai descritto la personalità di Doddy: in molto oggettivo, quasi descrittivo, senza dare troppi fronzoli, lasciando alla fantasia del lettore il modo di colmare il resto. In questo modo la figura dell'antropocervo è risultata molto più misteriosa ed enigmatica. Ottima inoltre l'idea dell'infelicità nel DNA di Doddy che solo la presenza di Moniche, altro personaggio ben riuscito, può cercare un po' di attenuare.
    Difetti? Ne vedo pochi. Forse l'intreccio è qualitativamente meno buono ma regge senz'altro. Per esempio mi appare un po' deboluccia la dinamica della morte dello scienziato.
    nel compenso è un ottimo racconto, che si legge volentieri e che "acchiappa" assai.
    Romantica come sono, speravo in una storia d'amore tra Moniche e Mauro, indipendentemente dalla differenza d'età. Ho tifato almeno per un bacio che non è mai arrivato. Pazienza! Per me è un 3,75, dunque un 4.

    Baci, G! :wub:
     
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  15. Cattivotenente
     
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    User deleted


    Ciao, eccomi a commentare.
    Allora, premetto che, fino a un certo punto, l'idea del racconto mi aveva davvero preso. C'è però stato un giro di boa oltrepassato il quale, ti confesso il mio entusiasmo si è spento. Il problema principale è, dal mio punto di vista, che mi sarei aspettato che la trama prendesse una piega diversa. Il fatto che le mie previsioni si siano rivelate errate, in questo caso, mi ha deluso invece che sorprendermi. Mi spiego: tutto lasciava presagire che il cervo avrebbe fatto pagare agli umani il prezzo della loro arroganza, la hubrys dimostrata nel giocare con la natura. Morale trita e trama già vista, mi dirai. Vero, ma la tua alternativa non mi ha convinto. Avrei preferito mille volte l'antropocervo in versione cujo, rispetto alla conclusione che hai dato al racconto. Tra l'altro, le premesse c'erano tutte, il mastodontico cervo dal naso umido (mi pareva di vederlo, bravo) si prestava inaspettatamente molto bene al ruolo di mostrazzo. Come tu stesso dici nel racconto, sembrava mostruoso, appunto. Questo te lo riconosco, aver caratterizzato in maniera paurosa una creatura che esula completamente dall'immaginario collettivo horror più diffuso. Però poi mi annacqui tutto subito dopo! Non si fa, e che diamine. Quindi, ricapitolando, meglio un canovaccio classico ma reso bene che l'innovazione fine a sé stessa. Certo, si potrebbero immaginare molti sviluppi e finali lontani da quello più prevedibile, la difficoltà sta proprio nell'imbroccare qualcosa che sorprenda ma non deluda. Che so, butto lì le prime cose che mi vengono in mente: dopo l'iniziale diffidenza dei suoi simili, ne diviene il leader e si rivolta contro gli studiosi; si deprime a tal punto da suicidarsi; sviluppa una rudimentale capacità di articolare parole e chiama Monique "mamma" (o qualcosa di simile), la donna sviluppa un senso di protezione materno per l'animale e, anche se si rivela uno spietato assassino, lo difenderà fino all'ultimo, quando dovrà scegliere fra l'amore per lui e la sua stessa umanità. Ok, forse l'ultima ipotesi è un tantinello delirante, però spero di aver reso l'idea.
    Così, invece, mi ritrovo con un cervo mezzo assassino e mezzo animale da compagnia e non so che farmene.
    Ma andiamo avanti.
    Mi è abbastanza oscuro anche il motivo della trappola che l'animale tende al professore. Non si capisce il perché di tutto quell'odio, o almeno io non l'ho proprio capito. So che hai scritto che da quando è nato soffre e sente il suo odore, ma mi pare veramente troppo poco per quello che accade, avrei calcato un po' più la mano, magari aggiungendo qualche dettaglio sulla vita in laboratorio dell'animale o sul Monolli come aguzzino di cavie. Così cado un po' dal pero
    Io, inoltre, taglierei alcune divagazioni. Esemplifico:

    CITAZIONE
    Qualche minuto dopo raggiunsero le auto in uno spiazzo collegato all'asfalto da una pista di terra. Immerse nella natura le ibride Volkswagen facevano uno strano effetto: modelli polialimentati a elettricità, metano e solare con forme arrotondate che riprendevano quelle dell’antico Maggiolino.
    I due entrarono nella prima auto e si slacciarono i giubbotti.
    Mauro accese il computer di bordo, lo impostò su “Metano” e attese il report del computer sulle condizioni della vettura.
    Tutto okay.
    Digitò rapido sulla tastiera e sul display apparve la visuale in prima persona dalla testa di Doody.
    «Così vediamo dov’è», spiegò a Monìche.
    L’auto scese silenziosa fino alla strada provinciale, poi Mauro accelerò e il computer prese a mandare dei piccoli “bip” ogni volta che veniva scalata una marcia.

    Tutta la storia delle auto, con i dettagli sul bip del computer di bordo a ogni scalata o il report delle condizioni della vettura, mi pare inutile e, secondo me, appesantisce e rallenta il ritmo. Nessuna di quelle informazioni è funzionale alla storia né, tantomeno, ne arricchisce in qualche modo l'atmosfera. Mi limiterei alla spunto sull'auto multi ibrida. Stesso dicasi per l'interesse della donna alla figura del tecnico dei computer, che non vedremo mai nel racconto e di cui mai più sentiremo parlare. A che serve? Taglia senza pietà.

    Anche il rapporto fra Monique e il professore mi ha lascito un po' perplesso; nella prima scena vediamo la donna che fa di tutto per irritarlo sorbendo rumorosamente la minestra. Perché? Non ci è dato conoscere alcun antefatto a quell'atteggiamento, nemmeno de relatu. Procedendo, inoltre, questo aspetto di conflittualità è completamente accantonato, il che mi fa pensare che, se non era così importante da riprenderlo o da essere un elemento funzionale alla trama, avresti potuto direttamente ometterlo fin dall'inizio. Quel che voglio dire è che, a mio avviso, non basta descrivere delle dinamiche quali che siano fra due personaggi, per dar loro spessore e credibilità, se poi torniamo a renderli bidimensionali non rispettando quelle stesse dinamiche o trascurandole completamente, quasi non fossero mai esistite. Il loro battibeccare, ad esempio, potrebbe essere spiegato con il racconto o il ricordo di un episodio pregresso, che magari marchi nettamente le differenze di visione dei due personaggi. Ancora meglio, poi, se queste differenze introdotte dalla scena, si rivelassero in qualche modo fondamentali. Monique potrebbe scegliere di non aiutare il professore in caso di bisogno, ad esempio, perché ne odia il cinismo; o al contrario potrebbe andare in suo soccorso proprio per dimostrargli che i suoi preconcetti erano sbagliati. Insomma, spero di essermi spiegato.

    Mi associo poi al coro sulla psicologia del personaggio principale: se l'intento era redimerlo sul finale dalla sua mancanzadipallite cronica, non ti è riuscito. Quel "soltanto perché l'ho deciso io" (o qualcosa del genere), suona infantile e grottesco. Fagli prendere per davvero in mano le redini della situazione. E, scrivendo queste ultime parole, mi viene in mente un altro possibile sviluppo: il nostro eroe, vessato dal Monolli, sfrutta il legame cervo-donna per scatenare la rabbia dell'animale contro il professore e farglielo fare fuori. Il cervo comincia a vedersi come membro della famiglia ideale di reietti composta dal lui, dal protagonista e Monique. Ecco, questo sviluppo malato non mi dispiacerebbe. Coniugherebbe bene, a mio avviso, necessità di trama e evoluzione psicologica dei personaggi con un guizzo di originalità. Pensaci.

    Mancano inoltre ancora due tasselli alla mia comprensione del testo: lo scopo dell'esperimento, solo vagamente accennato ("per migliorare le persone"; come? Perché? Da parte di chi?) e il tuo chiarimento sui risultati che, secondo il tizio giunto a fine racconto, l'esperimento avrebbe portato. L'unico risultato evidente, è stato l'omicidio del professore. È stato questo a determinare tutto quell'interesse? E, se si, perché? Queste domande mi riportano allo scopo del progetto, e mi viene in mente che l'animale avrebbe forse potuto essere stato concepito a scopi militari, ma non ci sono certezze in merito. Un serpente che si mangia la coda. Se non si fosse capito, amo gli spiegoni (ben fatti).

    Va beh, spero di averti fornito qualche spunto interessante. Ti lascio precisando che, comunque, il racconto mi è piaciuto (!). MI sarebbe potuto piacere molto di più, ma mi è piaciuto. Quando commento, mi focalizzo su quello che a mio modo di vedere non va o potrebbe essere migliorato, quindi perdonami se non ho parlato di tutto ciò che mi ha positivamente colpito, a cominciare dalla prosa davvero efficace, tant'è che non segnalo nessuna parte da rivedere profondamente. Scusa refusi e corbellerie. Un saluto.

    Ah, voto tra il 2 e il 3, perfettamente in bilico, a differenza del Monolli... :asd:

    Edited by Cattivotenente - 16/8/2011, 23:04
     
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23 replies since 2/8/2011, 10:21   409 views
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