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Ecco a Voi:
ORGANIUM 56
«È l’unica soluzione, Nicolas?» chiese l’anziana, la fronte sull’incavo della mano rugosa e il seno nudo appoggiato sul tavolo trasparente. «Vorrei non lo fosse, Matilde. Cos’altro possiamo fare?» L’uomo, in piedi davanti all’assemblea, alzò le spalle e aprì le braccia, il pene fece capolino dal ciuffo di peli neri sotto la pancia prominente. Tutti gli occhi si spostarono sul vetro luminoso accanto la lavagna. Le immagini si alternavano ciclicamente: un cadavere coperto di sangue tra le gambe e sul petto, un seno abbandonato sul marmo scuro di un marciapiede. L’anziana e molti altri distolsero lo sguardo con una smorfia. «Per loro c’è pericolo?» chiese Matilde. «No. Le Organium cinque sei restituiranno loro solo ciò di cui sono stati privati…» «E la loro libertà? Chi ha detto che lo vogliano?» irruppe Abele, aveva le mascelle contratte e il petto muscoloso sul quale i peli biondi e ricci brillavano di sudore, nonostante l’ambiente climatizzato. «Vorrei in questa sede ricordare la legge dei Fattori: “È obbligo del Consiglio attuare tutte le azioni necessarie per preservare l’equilibro. Tale obbligo inderogabile è perseguibile con ogni mezzo reputato necessario, fermi restando i Principi Massimi”» intervenne la donna. Attorno alla scrivania molti annuirono; Abele sbuffò. «Fratello Abele, nessuno sta dicendo che sia semplice…» aggiunse. «Dunque, come dicevi, la strategia sarà congiunta…» chiese l’uomo dominando la sua rabbia. «Sì. La situazione ci impone di agire sia dall’aria che da terra. Manderemo cinquemila Dromus RVJ-X allestiti per lo scopo… Dimmi, Cleo» disse Nicolas. «È proprio necessario mandare i droidi?» chiese la ragazza, le sopracciglia arcuate e un capezzolo piccolo e rosa che apparve da sotto il tavolo quando aveva alzato il braccio. «Come ho detto in precedenza le onde della Organium potrebbero venire schermate. Se vogliamo che l’azione abbia effetto certo, non abbiamo altre possibilità. E poi occorre la rieducazione…» «Quindi dobbiamo anche convertirli? Anche questo rispetta i principi dei Fattori?» intervenne Abele. Aveva lo sguardo su Matilde; la donna rimase in silenzio. «Gli togliamo ciò in cui credono e li pieghiamo alle nostre necessità convertendoli ai nostri principi. Siamo consapevoli di ciò che sta accadendo attorno a questo tavolo?» proseguì l’uomo guardandosi intorno; si era messo in piedi, le braccia muscolose conserte, gli occhi duri e risoluti. «Abele, hai visto le immagini. Hai visto cosa hanno fatto» disse Matilde, paziente. «Ho visto cosa hanno fatto alcuni di loro. D’altra parte li teniamo confinati!» ribatté l’altro. Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Nicolas si schiarì la voce e precisò: «Prima della votazione, vorrei far rilevare che i droidi saranno distrutti dopo l’utilizzo.» «Come se il problema fosse questo...» esclamò Abele sbuffando. Matilde fece un gesto secco della mano. «Non ho dubbi che i presenti abbiamo compreso la portata della decisione. La delicatezza dell’argomento mi obbliga a formulare chiaramente la proposta prima di metterla ai voti.» La donna si alzò, la voce si fece decisa; la sua figura spiccò, sottile ma vigorosa, su di loro. Le parole iniziarono a scorrere sul vetro del tavolo. «Proposta datata due F, G sei, venti zero zero uno. Oggetto della riunione è l’applicazione di un protocollo speciale di attacco contro i Vestiti. Esso comprende il bombardamento del loro territorio con ordigni denominati Organium cinque sei e l’intervento di cinquemila Dromus RVJ-X. Il congegno ripristinerà il funzionamento delle sinapsi sensoriali dei Vestiti. Previo prelevamento, da effettuarsi con mezzi non traumatici, per tutti i soggetti saranno predisposti opportuni interventi di recupero e rieducazione.» «Non potremmo, almeno, far fare alla natura? Lasciamogli un po’ della loro libertà…» intervenne Abele. «Saremmo a rischio di rappresaglie» disse Nicolas indicando il monitor. «La proposta è chiara?» tagliò corto Matilde. «Sì» risposero tutti in coro. «Bene, votiamo.»
*** Serse aprì gli occhi, il respiro mozzato, il sangue che gli rombava nelle orecchie, il battito cardiaco sordo e ovattato che scadenzava quei primi attimi di coscienza. Milena non si mosse, le connessioni neuronali negli incavi delle braccia e sulle tempie le garantivano un sonno tranquillo. L’uomo respirò a fondo, poi con un gesto fluido staccò gli spinotti. La scritta “Immissioni dati fallita” iniziò a lampeggiare sul monitor di controllo del suo Sistema Sonno . Si sedette sul letto, rabbrividì al contatto col pavimento gelido. Con la punta di un dito sfiorò il display, la stanza rimase al buio. Chiuse gli occhi: la sua mente iniziò a vagare.
Quella mattina sarebbe diventato un K’lembat. L’eccitazione gli rendeva le mani fredde e viscide, sentiva uno sciame di farfalle svolazzargli dentro. «Forza, ripeti la formula!» gli disse. «Ma, mamma, la so!» La donna gli scoccò uno sguardo che lo fece rabbrividire. «Ripetila!» lo incitò con voce dura. «Io, Serse, dichiaro la mia voglia di diventare un Puro» «Di nuovo!» «Io, Serse, dichiaro la mia voglia di diventare un Puro!» ripeté. La donna annuì continuando a legarsi i capelli nella sua solita crocchia ingrigita. «Mamma, cosa succederà in questo posto importante?» le chiese mentre, nel suo vestito lungo e pesante color smeraldo, lo prendeva in braccio. «Diventerai, uno di noi. E quando uscirai da lì indosserai quello» rispose, senza guardarlo, indicando una tunica candida appoggiata sul letto della Stanza della Vestizione. Quello sarebbe stato il suo Primo: rabbrividì attraverso la pelle nuda. «E quando diventerò un K’lembat potrò tornare a casa? Con te e papà?» chiese, avvicinando il proprio volto al suo. «Stai fermo! Non ti hanno insegnato nulla?» «Scusa, mamma…» La donna percorse il corridoio che portava all’esterno. Lo squadrò. «Starai a casa nostra per tutta l’estate poi, andrai nella Colonia di Livello Uno.» Sorrise: un’intera stagione a casa!
Il suono intermittente dell’S.S. di Milena lo scosse. Dopo qualche istante la moglie si grattò la fronte. L’uomo si alzò e con pochi gesti sul display predispose la colazione poi, in un gesti istintivo si accarezzò il piccolo neo sul collo. Da quel giorno la sua vita non era stata più la stessa: aveva cominciato a percepire il mondo come un contenitore sterile. Era cresciuto, si era legato, aveva depositato il suo seme per procreazione, tutto secondo gli Insegnamenti. “Non preoccuparti, tutto si incanalerà nella giusta direzione” gli aveva detto il suo responsabile, poco dopo l’unione con Milena. Ma erano passati anni e i ricordi delle sensazioni pregresse erano sempre lì a sporcarlo, a renderlo incompleto e degno di biasimo. Chiuse gli occhi.
Odore di pulito, la luce chiara che filtrava dalle vetrate sulla cupola e il freddo del marmo nero su cui sua madre lo appoggiò. Demetrio gli si era avvicinato e nella sua tunica bianca col simbolo della fede aveva parlato con voce cavernosa. «È pronto?» «Sì» rispose la madre. Il viso rasato segnato dalle rughe, le dita sottili, gli occhi fissi sui suoi. Alzò il braccio, imponendogli l’altra mano sulla testa. «Bene! Possa tu assurgere a nuova vita. Possa la rinuncia alle mere sensazioni del corpo portarti all’apice della tua essenza.» Non aspettò che voce si estinguesse tra il marmo delle pareti: altre mani forti lo misero supino costringendolo sul marmo. Non trovò nemmeno la forza di urlare: avvertì solo dolore; per sua fortuna arrivò il buio a salvarlo. Trascorse l’estate a casa, tra l’indifferenza del padre e la freddezza della madre, l’isolamento nella Colonia di Livello Uno fu un sollievo.
Osservò Milena respirare: viso regolare, occhi dal taglio stretto e capelli castani, lisci e lunghi. La bocca con le labbra socchiuse le dava un’aria imbronciata. Si alzò e si incamminò verso il soggiorno. Il rito era stato semplice: nella stanza dei Legami il loro giuramento era durato pochi istanti. “Io, Serse, dichiaro a te Milena la mia volontà di diventare il tuo compagno. Dichiaro la mia sanità procreativa.” Lei aveva risposto con un cenno del capo e la formula di accettazione. Avevano avuto quattro figli. Tutti sani, tutti cresciuti come perfetti Vestiti nella Colonia di Livello Uno. Sorrise: aveva usato lo stesso appellativo con cui i Nudi, chiamavano quelli come lui. A quel pensiero due rughe severe comparvero, di nuovo, sulla fronte. Perché non stava funzionando come il Verbo pretendeva? In cosa era manchevole? Colmo di pensieri e indeciso sulle loro destinazioni, appoggiò il palmo della mano sul pannello di ricezione; il monitor si illuminò saturando l’aria delle immagini truculente dell’attacco di due giorni prima.
*** «Siamo sulle coordinate» disse il maresciallo dell’aria Belisarius. «Affermativo» rispose il collega, le mani sulla cloche, lo sguardo verso l’orizzonte. Belisarius diede l’ennesima occhiata al computer di bordo che gli proiettava sul casco i dati di volo. «Nulla da segnalare» aggiunse. «Confermato» disse Dario muovendosi sul sedile per quanto gli permettevano le cinture. «Ma come fanno i Vestiti? Sono in questa tuta da meno di un’ora e già non ce la faccio più!» esclamò Belisarius aprendosi un po’ la cerniera sulla casacca. Dario sorrise. «“Gli abiti che indossano sono il riflesso della loro vita. Coprono il loro corpo come tengono coperte le loro menti. Impermeabili alle passioni sessuali, si aggirano sul pianeta, cercando di uniformare tutti alla loro pochezza”» recitò tutto d’un fiato. Belisarius applaudì. «Bravo, maresciallo. Conosci il manuale a memoria!» aggiunse ridendo. Dario fece un leggero inchino, ridendo a sua volta. «Tempo meno quattro punto due per l’obiettivo. Corridoio di avvicinamento» esclamò, ancora un accenno di sorriso sulle labbra. «Affermativo» rispose l’altro. «Pensi che funzionerà?» chiese Dario. Il collega alzò le spalle. «Sai, prima di partire ho dato un’occhiata al database. Pare che distruggeranno l’impianto che installano nel collo ai Vestiti » disse Dario. «Rotta due tre cinque. Velocità due zero due. Vento tre uno cinque» «Affermativo» disse Dario, digitando sullo schermo traslucido davanti a loro, i dati di volo. Le ali del velivolo si inclinarono sul cielo blu scuro: Delta Draco era tramontata. Tra poco sarebbe sorta Idria; il suo fulgore giallo avrebbe illuminato la strada verso casa. «Chissà com’è vivere senza istinti sessuali: essere tanto inibiti da considerare la nudità e il piacere dei mali da escludere dalla vita» disse Belisarius. Dario scosse la testa. «E noi gli restituiremo tutto in pochi secondi, mentre li teniamo come i Fattori segregavano i mammiferi da carne…» Il collega non rispose e sospirò; l’ombra del dubbio rendeva il suo sguardo pensoso.
*** «Come ti senti stamattina?» chiese Milena; era già vestita, anche i capelli, legati in un treccia, erano perfetti. Serse non rispose. «Oggi devi depositare. Il contatore Progenies dice che sono fertile» aggiunse la donna, bevendo un bicchiere di Nutritivo Tredici, pastoso e dolce. L’uomo rimase in silenzio. Milena diede un’occhiata alle immagini che si ammonticchiavano sul display: in quel momento in primo piano c’era un seno nudo e sanguinante. Scosse la testa, rabbrividendo: «Certe volte mi dispiace per loro» disse. Serse ancora una volta non parlò, osservava un punto imprecisato davanti a sé. «Eppure questo è il prezzo per costringerci in questo ghetto, cercando di corromperci con le loro bestemmie» proseguì Milena. Serse osservò il profilo della moglie, indugiò qualche istante sul neo che risaltava sulla pelle chiara. Lei insistette. «“Non coprendosi agli occhi degli dei ostentano la loro bestialità innaturale, lasciandosi alla mercé dell’Impuro. L’assenza di vergogna diventa un premio per la loro brutalità”» recitò. Guardò Serse che perseverava nel suo silenzio e riprese alzando un sopracciglio: «Non c’è nulla che ti scuota oggi, mi pare…» aggiunse. L’uomo sbatté le ciglia due volte; ripensò all’inverno precedente durante la Festa degli Insegnamenti: l’ultima volta che si erano toccati. Stavano percorrendo, insieme a decine di altre coppie legate, il Corridoio delle Promesse. Arrivati alla fine davanti la Fontana, avevano sciolto le dita e si erano parlati l’una di fronte all’altro, le parole incorniciate dallo scroscio leggero dell’acqua, sotto le guglie del Tempio. “Compagno mio, ti prometto la mia eterna devozione.” “Con l’aiuto degli Insegnamenti, la tua promessa unita alla mia, risuoneranno nel cielo degli Antichi.” «Milena, non hai mai dubbi?» chiese d’un tratto. «Dubbi? Su cosa?» rispose la donna. L’uomo la osservò, la pelle chiara e luminosa, le scarpe bianche e il vestito che morbido la copriva dal collo in giù. «Credi che tutto funzioni?» chiese. «Che vuoi dire?» «Pensi di essere nel giusto?» «Eh?» chiese la donna. «Riguardo a noi. Alla nostra vita» Serse fece una pausa, poi riprese «Anche riguardo a quello. Tutto va’ come…» si interruppe indicando il monitor dove le immagini dell’attacco erano state sostituite dal programma pubblicitario: il nuovo Nutritivo, il quattordici, era stato lanciato sul mercato da pochi giorni. Milena lo squadrò. «La nostra vita? Che c’entra? In cosa ti senti manchevole? Stiamo compiendo il nostro dovere di K’lembat adulti. Cosa potremmo pretendere di più?» «Ma…» «A meno ché tu non creda che i Nudi facciano bene a costringerci qui!» Lo sguardo tra l’interrogativo e lo stupito smontò ogni ulteriore possibilità di discussione. «Lascia stare, perdonami. Sono un po’ confuso stamattina… Vado a depositare» Andò nella stanza dei prelievi. Chiuse la porta e si accomodò a gambe larghe sulla panca d’alluminio. Prese il tubo trasparente e lo appoggiò sulla punta del pene, poi sentì il tubo che si faceva strada nell’uretra. Rimase a fissare la fialetta che si riempiva del suo seme fino a quando il monitor non gli segnalò “Prelievo effettuato”. Mentre si alzava sentì gli sbuffi dell’aria compressa: le procedure di controllo e preparazione si erano avviate. Sua moglie ne avrebbe usufruito da lì a poche ore.
*** «Siamo sull’obiettivo» I due piloti, d’istinto, sbirciarono fuori dai finestrini. Sotto le ali arcuate, scorsero la schiera incessante di metallo e vetri che costituiva l’Area di Contenimento. «Distacco predisposto» disse Dario, armeggiando con un pannello alla sua destra che era emerso da un bracciolo. Sul monitor anteriore comparve un conto alla rovescia. Belisarius e Dario non ebbero bisogno di vederne il completamento, intuirono subito quando il primo ordigno si sganciò.
*** La porta dell’abitazione si era appena richiusa quando Serse vide il lampo che mutò la luce di Idria per qualche istante. Alzò lo sguardo, una macchia rossa era comparsa nel cielo. Strizzò gli occhi, proteggendoli con un braccio. «Cosa…» Arrivò un secondo bagliore. Spaventato, appoggiò la mano sul pannello; ubbidiente, la porta si spalancò, ma l’uomo non ebbe il tempo di rientrare: una fitta gli perforò il collo. «Ahhhhh!» gridò con tutta la forza che i polmoni gli concedettero. Si inginocchiò per poi rotolare sul metallo freddo. Percepì l’odore della sua carne che bruciava mentre il corpo si contorceva cercando una posizione che attenuasse il dolore. Si mosse a scatti, come una marionetta, gridando e piangendo. Osservando l’interno della sua casa, lontanissimo e irraggiungibile, percepì il cuore accelerare i battiti mentre il respiro si spezzava. Si ritrovò sommerso da decine di sensazioni disordinate: caldo e freddo, agitazione e languore, gli ondeggiarono dentro come la risacca; sentì la necessità di sincronizzarsi alle oscillazioni della sua anima. In principio provò a non perdersi, a mettere ordine in quel tumulto di sensazioni, con la consapevolezza. Bastarono pochi istanti per intuire che quella tempesta era irresistibile; non poté fare altro che lasciarsi andare. Pochi attimi e il suo ventre selezionò un ritmo tra le decine che gli affollavano la mente. Non poteva evitarlo: doveva muoversi, doveva spingere, doveva sussultare, contrarre i muscoli. Sempre più veloce. Digrignò i denti, mentre il suo corpo si muoveva con migliaia di immagini nude che gli turbinavano nella testa: sessi di uomini, di donne, bocche, seni. Più veloce. Apparve Milena con le spalle scoperte. Ancora più veloce. Sua madre nuda. Ancora di più. Un seno che gli si avvicinava alle labbra. Decine di immagini si inseguivano per un brandello di attenzione, vogliose di mostrarsi e sedurlo; non sapeva da dove venissero, eppure lo saziavano impedendogli ogni contatto con la realtà. Aprì e chiuse la bocca, i denti si colpirono in un suono secco. Era sull’orlo di un baratro sconosciuto: fu lì che il permise al suo corpo di arrendersi a sé stesso proseguendo nella danza solitaria fatta di sospiri e contrazioni. Quando ricevette la sensazione del fiotto liquido e caldo sui pantaloni, urlò. E continuò per lunghi ed eterni secondi. Era ancora a terra, umido e svuotato, la mente che vagava tra suoni ovattati, quando vide un essere metallico che con una dolcezza impensabile per un duro ammasso di acciaio, fili elettrici e martinetti idraulici lo sollevò. Serse guardò lo scenario capovolgersi e ondeggiare per qualche istante, poi si sentì adagiato su qualcosa morbido. Si addormentò colmo di sé stesso e di ciò che gli era accaduto.
*** La prima cosa che percepì fu il freddo, poi la luce bianca dei neon. Scosse la testa e si passò la mano sul petto. Il tocco della pelle lo fece sobbalzare. Si mise a sedere osservando il suo corpo nudo. Scattò in piedi. Era dentro una stanza rettangolare illuminata a giorno. Il bianco delle pareti e del pavimento quasi accecanti. Il letto, appoggiato a una parete, era l’unico mobilio, non c’erano aperture. Prigioniero in quella scatola candida, chiedendosi dove fosse, si incamminò verso una parete; provò a sfiorarla, cercando un passaggio o quantomeno un comando. Niente. «C’è nessuno?» esclamò Serse, guardando la porzione di bianco davanti a lui. «Siamo felici che ti sia svegliato» disse una voce gentile e indistinta riecheggiando nel vuoto dell’ambiente. L’uomo sobbalzò. «Dove sono?» chiese scrutando il soffitto. «Non è fondamentale che tu lo sappia» disse la voce, calma. «Lasciatem…» provò a dire. «No, Serse. Prima di ogni cosa credo sia il caso di farti vedere qualcuno» disse la voce. Sulla porzione della parete alla sua destra apparve il profilo nero di un’apertura. Poi la lastra si staccò dal muro e avanzò di pochi centimetri, quindi scivolò di lato intanto che i neon diminuivano di luminosità. Serse vide Milena entrare nella stanza. Era nuda. I seni rotondi e il triangolo scuro del ventre che spariva nella penombra. L’uomo deglutì. «Milena…» riuscì a dire con voce roca, mentre lei si avvicinava. La moglie sorrise poi gli prese le mani e le appoggiò a coppa sui suoi seni. Gli sorrise di nuovo. Serse le guardò muoversi nervose sulla pelle candida mentre Milena gettava la testa all’indietro, i capelli lisci diventati una cascata ramata. L’uomo fece risalire il suo tocco fin sul collo. «Il tuo neo è…» esclamò colpito da una frustata di consapevolezza. Si frugò: anche il suo non c’era più. «Ma…» provò a chiedere. Milena gli appoggiò l’indice sulle labbra e sorrise. Lo tirò a sé. Serse le affondò le mani tra i capelli odorandone la fragranza gentile. «Amore» la sentì sussurrare mentre lo abbracciava.
*** Cleo si stiracchiò sulla poltrona, una gamba che penzolava indolente dal bracciolo e un dito che giocava con un ricciolo nero appoggiato sul seno. Sorrise vedendo i corpi dei due che si allacciavano dopo poche carezze frenetiche e goffe. Li osservò per qualche minuto, mentre i sensori nella stanza acquisivano i loro dati vitali. Parlò solo quando fu certa che tutto fosse andato per il vesto giusto; quando si sdraiarono sul letto e iniziarono a dondolare l’una tra le braccia dell’altro. «Operatore cinque, tre, quattro, due, due. Rapporto. Coppia settanta, tredici, due barra tre. I soggetti interagiscono come programmato.» Fece una pausa osservando i monitor sopra la sua postazione. I tracciati disegnavano contorti arabeschi tra numeri e diagrammi. «Alla luce dei dati attinti e dai rilievi svolti si può ritenere la fase riabilitativa due completata. Si resta in attesa di istruzioni.» Le parole comparvero, verdi e nette, sul monitor.
FINE
Edited by Alessanto - 2/10/2011, 17:03
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